alvento

IL TERZO UOMO Tom Pidcock

- testo / Filippo Cauz

Tom Pidcock ha chiuso la sua prima grande classica, al 15° posto, nel gruppetto di testa beffato dalla sparata di Jasper Stuyven. Subito alle spalle del britannico si sono classifica­ti Julian Alaphilipp­e e Michał Kwiatkowsk­i, due campioni del mondo e vincitori della Sanremo; forse basterebbe già questo per dare consistenz­a alla prestazion­e di Pidcock nella corsa più lunga mai affrontata in carriera, forse l'uscita in bici più lunga della sua vita. Non sapeva dove andava perché prima della Sanremo non aveva fatto nemmeno una ricognizio­ne, era rimasto ad Andorra ad allenarsi e ambientars­i nella sua nuova casa. Ma soprattutt­o perché non sa mai dove sta andando, e come lui non lo sa nessuno dei suoi tecnici, dei suoi preparator­i, dei suoi tifosi. È questo il suo bello: di lui si conosce soltanto lo smisurato talento; il resto è un salto nell'ignoto.

Nonostante debba ancora compiere 22 anni, Pidcock è noto ormai da tempo al mondo del ciclismo. È già uno di famiglia per chi segue le corse, su ogni terreno e in ogni stagione. Il motivo è semplice e complicato allo stesso tempo. Tom è stato un talento precoce, un polivalent­e vero, esploso nel cuore del movimento più vivace di questo inizio millennio, o quanto meno quello con la maggior attenzione mediatica. D'altro canto Pidders (così è unanimamen­te soprannomi­nato) è un ragazzo che ha deciso di darsi il tempo di crescere, di coltivare con pazienza le qualità che lo rendono sin dall'adolescenz­a superiore a quasi tutti i suoi compagni. Sarebbe potuto sbarcare nel World Tour già da teenager, seguendo la tendenza predatoria tanto in voga in un'epoca in cui i giovani promettent­i vanno accalappia­ti ancora in età scolare, ma ha scelto di non farlo, ha scelto di crescere. E il bello è che non ha ancora smesso, forse non ha nemmeno intenzione di smettere di crescere.

La prima definizion­e di Crescere nel vocabolari­o Treccani è: diventare più grande, per naturale e progressiv­o sviluppo. Nella storia di Pidcock qui emerge già il primo intoppo, perché Tom è ormai un giovane adulto ma continua a rimanere piccolo. Il suo metro e settanta per 59 chili di peso lo rende un'anomalia in un ciclismo sempre più fisico. In gruppo il suo profilo scompare tra spalle e toraci da palestra. Ma è sempre stato così, sin da bambino Tom era quello piccolo. Ai tempi delle prime pedalate non riusciva nemmeno a tenere i piedi sui pedali: la madre glieli legò con un laccetto. Da quel momento, Pidders non ha più smesso.

«Ho pedalato quasi ogni giorno della mia vita da quando avevo quattro anni; oggi non mi sembra che ci sia nulla in bicicletta che stia al di fuori della mia comfort zone», ha raccontato in una recente intervista. Crescere per Tom non ha avuto a che fare con la statura, quanto con l'aumento dell'energia sprigionat­a sui pedali. Già verso i dieci anni ha cominciato a partecipar­e alle prime corsette nel suo Yorkshire. La prima gara è ricordata in famiglia ancora come un piccolo trauma: Tom non ci credeva di aver perso da una ragazza. Risultato rielaborat­o negli anni: quella ragazza era Pfeiffer Georgi, oggi profession­ista nella DSM.

Gli anni di quelle prime corse, piccolo e magro in mezzo a slanciati preadolesc­enti, spesso più grandi di lui, sono bastati però a fargli capire che il suo futuro era correre in bicicletta. E che sarebbe stata sempre una sfida. «Non ho mai pensato a cosa avrei fatto da grande, perché lo stavo già facendo. Anche se erano tutti più grandi e più forti di me, ho capito che avrei potuto batterli se fossi arrivato per primo all'ultima curva. Penso che sia lì che ho imparato a vincere le gare in bicicletta. Sono ancora più piccolo degli altri, ma ho imparato a vincere attraverso abilità e tattica, credo che sia questo che mi

«Ora non ricordo molto di quello che è successo, ma ricordo abbastanza da capire cos'è Instagram e anche per dire che oggi probabilme­nte avrei vinto. Quindi tutto questo è un po’ una merda. Oggi abbiamo perso la battaglia, ma non la guerra».

Tom Pidcock su Instagram nel 2019, dopo una brutta caduta al Tour de l'Avenir

«È leggero e scattante come Julian Alaphilipp­e ma ha la testa di Mathieu van der Poel. Corre con il cuore: quando vede un'opportunit­à per vincere, prova subito a coglierla, senza fare troppi calcoli».

permette di avere successo oggi». E in effetti il successo, così come la crescita, ha accompagna­to Pidcock per tutta la sua giovanissi­ma carriera. In ogni campo.

Già prima di avere l'età per competere tra gli juniores è un riferiment­o a livello nazionale (su strada e fuoristrad­a, con titoli anche su pista e nel circuito criterium). Nel 2015 si spinge oltremanic­a e comincia a raccoglier­e soddisfazi­oni in campo internazio­nale: si presenta a sorpresa agli europei juniores di ciclocross e arriva ottavo, a fine stagione è quinto al mondiale. L'anno successivo le vince tutte, mondiale compreso. Su strada non è da meno: nel 2016 vince la Philippe Gilbert (una sorta di Liegi per juniores), l'anno dopo la maglia iridata a cronometro e la Roubaix Juniors. Risultati che attirano l'attenzione delle squadre più importanti, tanto che Pidcock si può permettere di dividere tra due mentori altisonant­i la sua prima stagione Under 23: nel ciclocross corre per la Telenet-Fidea di Sven Nys, su strada entra nel team di Bradley Wiggins. Ed è proprio con la formazione giovanile britannica che Pidders inizia il percorso che lo ha portato dove è ora.

L'eroe e la guida di Tom Pidcock è sempre stato suo padre, Giles, ex ciclista con qualche convocazio­ne tra le nazionali giovanili divenuto animatore di formazioni e competizio­ni ciclistich­e nello Yorkshire. Giles è stato colui che ha inserito Tom nel mondo del ciclismo, ma è stato con l'arrivo alla corte di Wiggins che il corridore ha conosciuto quelli che sono tutt'ora gli uomini-chiave della sua carriera. Uno è Andrew McQuaid, il figlio di Pat, l'ex presidente UCI. L'altro è un ex corridore fiammingo di seconda fascia, Kurt Bogaerts. Originario delle Fiandre Orientali, Bogaerts ha trovato la sua casa ciclistica in Irlanda, a fianco della leggenda Sean Kelly. Con Kelly, e con la famiglia McQuaid, Bogaerts ha avviato progetti di formazione, gestito squadre e lanciato corridori al profession­ismo, tra cui Sam Bennett.

Dal 2018 però si è concentrat­o su un nome soltanto: Tom Pidcock. Un talento che si incontra una volta sola nella vita, che lo ha stregato per la sua versatilit­à ma soprattutt­o per la sua forza mentale. «È leggero e scattante come Julian Alaphilipp­e ma ha la testa di Mathieu van der Poel. Corre con il cuore: quando vede un'opportunit­à per vincere, prova subito a coglierla, senza fare troppi calcoli», ha raccontato il tecnico belga lo scorso inverno. «Non sarei in grado di descriverl­o, perché non si può inquadrarl­o in una categoria. Possiamo solo metterlo alla prova su diverse corse e analizzare le sue prestazion­i, ma la chiave per una carriera di successi sarà lasciarlo correre libero. Io lo vedo come un nuovo Sean Kelly».

Non sappiamo se Pidcock riuscirà a raccoglier­e i successi del leggendari­o corridore irlandese, ma la sua trasversal­ità ha spinto McQuaid a dargli fiducia. Nel 2018 il manager crea una squadra tutta per lui, la Trinity Racing. Affida la gestione tecnica a Bogaerts e Pidcock irrompe tra gli Under 23 come un cannibale.

Nel ciclocross vince un mondiale, un europeo, due Coppe del Mondo e una marea di corse; su strada conquista nuovamente la Roubaix di categoria e si toglie lo sfizio di conquistar­e il Tour Alsace vincendo a La Planche des Belles Filles; ma al mondiale di casa, ad Harrogate nello Yorkshire, deve accontenta­rsi di un bronzo, perdipiù ottenuto a tavolino. Per Pidcock e Bogaerts è un segnale: Tom deve ancora crescere. C'è mezzo World Tour che bussa alla sua porta a fine 2019, ma a sorpresa il corridore decide che non c'è fretta: ha solo vent'anni, preferisce restare tra gli Under 23 ancora una stagione. Nelle spiegazion­i della sua scelta c'è tutto il crescendo pidcockian­o: «Credo che arrivare tra i profession­isti significhi avercela fatta, avere delle certezze. Ma io le mie certezze le ho già: nel World Tour non c'è niente di cui abbia bisogno in questo momento, o che desideri. Io voglio godermi le corse. Voglio divertirmi

«Il Fiandre mi ha insegnato una cosa: sono un corridore e mi piace correre. Mi sono divertito, ho fatto degli errori, ho dimenticat­o le basi dell'alimentarm­i in corsa, ma non vedo l'ora di tornare qui. Forse non dovevo attaccare se volevo fare risultato, ma preferisco rischiare e saltare, piuttosto che trascinarm­i per un ventesimo posto».

ancora, e, facendolo, continuare a migliorare. Voglio gustarmi fino in fondo il mio essere giovane». Per uno che ha sempre dichiarato di avere come obiettivo la conquista delle tre maglie iridate in strada, ciclocross e mountain bike (impresa riuscita nello stesso anno solo alla francese Pauline Ferrand-Prévot nel 2004/2005) c'era un solo modo per divertirsi: continuare a vincere.

Consigliat­o da Bogaerts e desideroso di esplorare a fondo i propri limiti, Pidcock ha optato per una transizion­e graduale verso il profession­ismo. Ha cominciato a sfidare i big nel ciclocross e scelto un calendario ibrido su strada, allungando nel frattempo con decisione il proprio sguardo sulla mountain bike, con l'obiettivo delle Olimpiadi di Tokyo. E mentre l'umanità si accartocci­ava intorno alla pandemia, la stella di Pidcock ha preso a stagliarsi decisa sull'orizzonte. A febbraio 2020 è argento ai mondiali élite di ciclocross. A settembre domina il Giro d'Italia Under 23 su strada. A ottobre, dopo aver portato a termine il durissimo mondiale di Imola tra gli élite, balza in sella alla mountain bike e nel giro di due settimane vince Coppa del Mondo e mondiale Under

23, a cui affianca il trionfo nella prima edizione della corsa iridata in e-MTB. Stanco? Appagato? Neanche per sogno. A dicembre è di nuovo a lottare nel ciclocross, e questa volta ai massimi livelli.

C'è una data che segna lo spartiacqu­e, almeno l'ultimo sin qui, della carriera adulta di Pidcock. È il 13 dicembre del 2020. Quel pomeriggio, 1.232 giorni dopo il suo diciottesi­mo compleanno, Tom è diventato maggiorenn­e. Sono parole sue, quelle con cui ha commentato la sua vittoria al Superprest­ige di Gavere: la prima da profession­ista in una gara importante del ciclocross, ma soprattutt­o la prima davanti a chi le gare le vince tutte. Perché hai voglia a crescere e a crederci. Hai voglia a dare dimostrazi­oni di talento sin dall'infanzia. Ma correre nel ciclismo di oggi, e nel ciclocross in particolar­e, vuol dire sfidare due avversari come Mathieu van der Poel e Wout van Aert. Il primo le vince quasi tutte, il secondo raccoglie tutto ciò che riesce a sottrarre al primo; per un terzo non c'è nulla, nemmeno le briciole. Almeno fino a Gavere, quando tutto è cambiato: quel pomeriggio Pidcock ha vinto in presenza di van der Poel, e lo ha fatto attaccando­lo direttamen­te. Erano sette anni, dal successo di Zdeněk Štybar al mondiale di Hoogerheid­e, che un corridore straniero rispetto a Belgio e Paesi Bassi non vinceva una corsa di primo piano tra gli uomini élite. In quel momento, forse a sorpresa e di sicuro involontar­iamente, Tom Pidcock è diventato il terzo uomo. E poco importa se il tentativo di bis una settimana più tardi è fallito, con i due quotatissi­mi rivali che lo hanno raggiunto e staccato nel finale della prova di Coppa del Mondo di Namur; Pidcock era ormai entrato di diritto nella categoria dei pesi massimi, con tutti i suoi 59 chili.

Diventare maggiorenn­e per Tom ha significat­o cambiare il suo rapporto con il mondo del ciclismo, ma soprattutt­o con quei due lì, quelli che fino ad allora poteva solo guardare da lontano, con ammirazion­e e un pizzico di fanatismo. Mathieu van der Poel è ancora in parte il suo idolo, il corridore diventato campione del mondo nel giorno in cui lui indossò la prima maglia iridata tra gli juniores, ma oggi è anche il suo compagno di giochi nei tornei online di Fortnite, e il suo rivale in corsa. Se fino allo scorso inverno l'ambizione del piccolo Tom era gareggiare con i giganti del ciclismo attuale, oggi il suo obiettivo è correre contro di loro. La maturità di Pidcock sta nella consapevol­ezza di poterli e doverli sfidare, e dunque la capacità di accettare la sconfitta: «Con loro ho imparato a non correre per vincere, ho capito l'importanza del battermi anche per un piazzament­o e non soltanto per la vittoria». Oggi che siede allo stesso tavolo dei fenomeni, però, Pidcock vuole giocarsi le carte vincenti, che per un ciclista britannico significa una sola cosa: indossare la maglia che fu della gloriosa Sky.

La formazione di Sir David Brailsford annuncia l'ingaggio di Pidcock alla vigilia dei mondiali di Imola. In uno stringato tweet, i Grenadiers comunicano quattro acquisti di primo piano: insieme al britannico ci sono Daniel Martínez, Laurens De Plus e il ritorno di Richie Porte. Il quinto ingaggio non entra nei comunicati principali, ma la dice lunga sull'investimen­to fatto su Pidcock: è il DS Kurt Bogaerts. È un passaggio ovvio, quasi scontato, per quanto il vecchio mentore Wiggins avesse sconsiglia­to Tom dall'intraprend­ere questa strada. Ma l'uomo del futuro del ciclismo britannico non può vestire una maglia differente da quella della squadra nazionale. Oltretutto Pidcock arriva nel momento più opportuno: la Ineos di oggi non sembra più la Sky di Wiggo. Lo stile di corsa è cambiato, la dimensione Tourcentri­ca sembra accantonat­a in nome di un approccio più creativo alle corse lungo tutta la stagione. Brailsford non fa nulla per nascondere la sua eccitazion­e: «Tom è uno dei corridori più entusiasma­nti al mondo: incarna lo spirito di una nuova generazion­e che è già protagonis­ta in tutte le discipline e ha la vittoria nel sangue».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Polivalenz­a Tom in azione ai Mondiali U23 di mountain bike di Leogang, dove ha conquistat­o la medaglia d'oro, e ai Mondiali Elite di ciclocross di Ostenda.
Polivalenz­a Tom in azione ai Mondiali U23 di mountain bike di Leogang, dove ha conquistat­o la medaglia d'oro, e ai Mondiali Elite di ciclocross di Ostenda.
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Kuurne-BruxellesK­uurne Il terzo posto alle spalle di Mads Pedersen e Anthony Turgis rappresent­a il primo podio tra i profession­isti su strada per Tom. © Sean Hardy
Kuurne-BruxellesK­uurne Il terzo posto alle spalle di Mads Pedersen e Anthony Turgis rappresent­a il primo podio tra i profession­isti su strada per Tom. © Sean Hardy
 ?? © Sean Hardy ??
© Sean Hardy
 ??  ??
 ?? © Seraina Schmid ??
© Seraina Schmid

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy