Dove le pietre restano pietre
Giro delle Fiandre 1996: il racconto del trionfo di Michele Bartoli.
Non parla di crescita, il manager britannico, ma l'approccio con cui la squadra ha accolto Pidders e il fatto che gli abbia subito affiancato il suo allenatore sembra il più rispettoso possibile verso un giovane adulto che si sta ancora formando.
Pidcock è stato lasciato libero di correre come gli pareva la stagione del ciclocross. Ha potuto trascorrere l'inverno in Belgio, obbligato da Brexit e tamponi a festeggiare il Natale via chat con la famiglia, senza viaggiare per ritiri. Il suo contratto ufficialmente sarebbe dovuto scattare il 1 marzo, ma lo stesso Tom ha voluto anticiparlo di un mese. Il 31 gennaio ha concluso la stagione del ciclocross, il giorno dopo era già un Grenadier pronto a lanciarsi su strada. Stanco? Appagato? Neanche per sogno. C'è un mondo nuovo da conoscere e conquistare, prima di cambiare nuovamente maglia e bici e dedicarsi alla mountain bike nei mesi estivi, fino alle Olimpiadi. Secondo Bogaerts, Tom non ha ancora finito di svilupparsi. Non crescerà oltre il suo metro e settanta, ma deve ancora adattarsi agli sforzi prolungati, la sua muscolatura non ha finito di formarsi. A guardare i risultati di Pidcock nei suoi primi mesi da pro verrebbe da pensare tutt'altro.
Quella discesa nel mistero alla Sanremo è stato solo un episodio di una primavera che l'ha visto subito sul podio nel weekend di apertura (terzo alla KuurneBruxelles-Kuurne) e poi quinto alla Strade Bianche e ancora protagonista al Fiandre, dove avrebbe potuto ripetere il non sapevo dove stavo andando dopo essere finito dal lato sbagliato delle transenne mentre cercava di sfuggire al pavé sull'Eikenberg. Ma il non sapere dove si va è un passaggio obbligato per un esploratore, e il salto nell'ignoto di Pidcock lo ha condotto già a conquistare nuove terre. Non è stata l'amata Roubaix (rinviata ad ottobre), ma la Freccia del Brabante la prima succosa preda, dopo un pomeriggio di attacchi tra muri e côtes e uno sprint vinto con astuzia, tempismo e fiducia. Non è una dote da poco la fiducia in sé stessi per chi deve ancora conoscersi, ma Tom ha già compreso che di qualcosa può fidarsi: delle sue gambe. Una fiducia che gli è bastata per battere van Aert sulla strada, quattro mesi dopo aver sconfitto van der Poel nel fango. Di colpo, si è trovato nuovamente maggiorenne. Ed è mancata
una minuscola frazione di secondo perché il risultato non finisse presto replicato. È sembrato davvero più maturo Pidcock all'Amstel Gold Race, quattro giorni più tardi. Ha limitato l'irruenza e replicato una volata quasi perfetta contro lo stesso avversario, dichiarato vincitore dopo otto minuti di esame del fotofinish. C'è voluto molto più tempo, compresa una pedalata dopo-corsa, per far sbollire la rabbia di Pidcock, che sentiva di aver vinto quanto il rivale. In ogni caso era lì, ancora una volta, e l'immagine millimetrica dell'occhio meccanico non fotografa soltanto l'esito della corsa, ma anche il progresso della crescita accelerata di Pidders.
Un processo ancora in corso, ma che non stupisce nessuno, perché nessuno gli aveva posto dei limiti. Sven Nys lo aveva capito sin dai suoi primi anni nel fango belga: «Tom è un folle, ma di quella follia che ti fa vincere dappertutto».
Eppure quando scende di sella, l'uomo delle sorprese non stupisce mai per la sua follia. Sul sito della Ineos c'è un video in cui Pidcock si presenta rispondendo a una serie di domande incalzanti dell'intervistatore Matt Stephens.
Confessa di non aver mai bevuto un caffé, come qualche anno fa raccontava di annoiarsi alle feste con gli amici. Racconta di non aver mai visto Ritorno al futuro e di aver impiegato due episodi di una serie televisiva per accorgersi che i sottotitoli erano in inglese ma gli attori recitavano in castigliano, pensava fosse un errore di doppiaggio. Ammette di amare Iron Man per il lusso della sua casa e delle sue auto, e di dedicare il suo tempo libero ai videogiochi. Pidcock non è più il ragazzino irriverente che esultava facendo Superman in sella o lasciandosi andare a impennate e scivolate, ma per il resto sembra un semplicissimo teenager, persino un po' annoiato. L'unico tema su cui si anima è il riscaldamento climatico, l'unica preoccupazione che esterna sui social e per cui si spende in iniziative fuori corsa. Tutto il resto è indefinito, incalcolabile, come se anche lui dovesse ancora scoprire se stesso. È questo che lo rende unico. In un ciclismo sempre più ossessionato dallo studio dei dati, dai watt, dalla progettazione, Tom appare come qualcosa di più dell'ennesimo giovane fenomeno. Rappresenta uno squarcio da cui sbirciare tra le nebbie del futuro. Più che il terzo o il quarto uomo, Pidcock è - o sarà - un uomo nuovo.