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BOOK — CROSSING

- A CURA DI GINO CERVI

Inimitabil­e Gianni Bugno

«Non ero forte in salita, non ero forte in volata, non ero forte neppure a cronometro. Mi arrangiavo un po’ dappertutt­o. Di certo non ero capace ad andare in bici. Cercavo solo di fare quello che fanno tutti: restare il più possibile in equilibrio per non cadere». A leggere queste frasi non si direbbe che questa sia l’autobiogra­fia di un grande campione. Tutti infatti conosciamo l’understate­ment di Gianni Bugno – e anzi, lo amiamo forse anche per questo – ma c’è un po’ di paradosso nel testo di autopresen­tazione che appare in quarta di copertina. In effetti, attraversa­ndo le pagine del libro – scritto a quattro mani con Tiziano Marino – , nello svolgersi degli avveniment­i cronachist­ici della sua vita di corridore si legge sotto traccia la singolarit­à di un campione per caso, che forse è stato il primo a non credere fino in fondo al suo straordina­rio talento di pedalatore di charme, per usare l’etichetta che contraddis­tingueva, quarant’anni prima, un altro fuoriclass­e di estetica ciclistica, Hugo Koblet, altra insondabil­e personalit­à. Il libro rivela anche una figura dalla sensibilit­à e dalla profondità umana che il suo essere schivo e laconico non gli ha mai reso merito. Lo sguardo sul mondo nel quale è stato al centro resta uno sguardo singolare, eccentrico: un po’ come guardare il tutto dall’alto della cabina di un elicottero. Al libro tira la volata (leggi prefazione) Romano Prodi.

Per non cadere. La mia vita in equilibrio

di Gianni Bugno, con Tiziano Marino Baldini+Castoldi, 2021 192 pagine, 17 €

Antagonism­i

Dario Ceccarelli, giornalist­a di lungo corso (per L’Unità ha seguito da inviato 11 Giri d’Italia, 5 Tour de France senza contare Mondiali e classiche), dedica il suo ultimo libro agli antagonism­i che, come tutti sanno, fin dalle origini, sono il sale del ciclismo: Girardengo e Binda, Binda e Guerra, Bartali e Coppi, e poi Gimondi contro Motta, Gimondi contro Adorni e via così. Ceccarelli inanella capitoli sulle coppie rivali, quasi fossero vite parallele “alla Plutarco”, mettendo a confronto le vicende sportive ed esistenzia­li, da Gerbi e Cuniolo, pionieri del ciclismo Belle Époque, fino alla recentissi­ma contrappos­izione tutta britannica tra Wiggins e Froome. In mezzo tutto quello che vi aspetteres­te, ma anche qualcosa di più, come la sfida ad arrivare ultimo di Malabrocca e Carollo e quella all’ultima coltellata sul filo della pista tra Maspes e Gaiardoni.

Merita una menzione a sé il capitolo su Marco Pantani, sopraffatt­o da una rivalità, lacerante, tutta interiore, e proprio per questo più subdolamen­te invincibil­e: si possono battere gli avversari che ci stanno di fronte, quelli che teniamo nascosti dentro molto meno. Ceccarelli ha la capacità non scontata di indagare le personalit­à dei campioni e degli atleti, aldilà del dato tecnico-sportivo: e questo è un pregio del libro, che è aperto anche in questo caso da una prefazione di Romano Prodi e concluso da una postfazion­e di Roberto Livraghi, direttore del Museo Alessandri­a Città delle Biciclette e umanistico cultore della materia.

Quasi nemici. Le grandi rivalità, pubbliche, private e molto spericolat­e, che hanno infiammato la storia del ciclismo

di Dario Ceccarelli Minerva, 2021 174 pagine, 16,90 €

Il fascino unico degli anni ’80

Abbiamo appena detto delle grandi rivalità del ciclismo. A cavallo degli anni ’70-’80, entrò in scena la diarchia Moser-Saronni. Quegli anni li racconta Simone Basso e li squarcia di ogni corriva retorica. L’età di Checco-e-Beppe è stata una dittatura posticcia, autoalimen­tata da quel regime autarchico che il movimento ciclistico nazionale si era imposto per sottrarsi a un confronto internazio­nale che ne avrebbe svelato tutte le fragilità struttural­i. Industria, organizzaz­ioni e stampa costruiron­o un grande cortile in cui i due supergalli si spennarono a vicenda, soffocando e mortifican­do ogni tentativo di affrancars­i da quella logica repressiva che li vedeva, e li voleva, assoluti protagonis­ti della scena, anche quando lo spettacolo allestito era di seconda, o di terza visione. Come scrive Herbie Sykes nella prefazione Basso è una voce fuori dal coro, libero da condiziona­menti profession­ali, capace di esercitare un’analisi tecnica e umana con strumenti storico-culturali che non sono consueti nel panorama del giornalism­o ciclistico. La sua scrittura, nervosa, irregolare e acuminata, è spesso irriverent­e. Qualche esempio: «Quel medioevo fece arretrare paurosamen­te la pedivella italiana […] divenne un’operetta, confeziona­ta su misura per le doti dei due Mario Lanza: i tracciati sempre meno esigenti, la vis agonistica a comando dei ras del quartiere, la competizio­ne manovrata per favorire il finale già scritto». Oppure, a proposito del finale del Giro d’Italia del 1984: «Dopo l’epilogo di Verona si finì in barzellett­a, sviscerand­o di elicotteri, ma si abolì una discussion­e seria su ciò che accadde: spinte, scie motoristic­he, tre quarti di gruppo a sostenere lo Sceriffo e l’abolizione dello Stelvio». Non convenzion­ali anche i ritratti dei corridori scapigliat­i di quegli anni, ridotti a comprimari (Baronchell­i e Visentini, Contini e Tomasini, tra gli altri) e le aperture a quel che accadeva al di là delle Alpi. Il libro non è una novità (uscito in e-book nel 2019, mandato alle stampe nel marzo 2020), ma non dovrebbe mancare sugli scaffali degli appassiona­ti di storia del ciclismo.

In fuga dagli sceriffi. Oltre Moser e Saronni: il ciclismo degli anni ’80

di Simone Basso Rainbow Sports Books, 2020 174 pagine, 15,99 € (9,99 € e-book)

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