La Pattuglia dell’Alba
Da Bruxelles a Parigi entro il tramonto
«Certe bellezze sono riservate a chi si alza presto.»
Sono le sei del mattino e pedaliamo da quasi due ore verso il confine con la Francia. La riflessione del Cartografo è improvvisa, come lo scatto del sole per scavalcare la frontiera della notte. L’alba è come la prima, vertiginosa discesa alpina: alla minima distrazione si rischia di terminarla, senza averne apprezzato le curve e i colori. Mettiamo il piede a terra, non per arrenderci ma per rendere omaggio allo schiudersi del giorno. Ci chiamano la Pattuglia dell’Alba e abbiamo poche regole non scritte. Una di queste è: la bellezza naturale esige contemplazione.
Pedalare, come il ricorrere delle albe e dei tramonti, è un gesto ripetitivo ma sorprendente; è fatto di emozioni imprevedibili a cui ci si può preparare, ma che è difficile prevedere. Un momento di euforia seguito da crampi; una giornata di agile inerzia dopo una notte insonne; un colpo di vento contrario che esalta invece di sfiancare. Così, le prime luci infondono alla monotona campagna belga delle tonalità minerali: mucche di ossidiana si levano pigre tra campi smeraldati e il cielo sembra una nebulosa di zaffiri e ametiste. Poi l’azzurro opaco della quotidianità nordica sopraggiunge e, con esso, torna la noia della pianura. È ora di andare: dobbiamo arrivare a Parigi per agguantare il tramonto.
L’idea di andare a Parigi in bicicletta è del Leader Maximo, in arte Massimo: padrino, benevolo provocatore e diabolico istigatore della Pattuglia dell’Alba. Un anno fa, con tono giocoso e dunque impossibile da non prendere seriamente, ci disse: «Perché non andate a prendere un caffè a Parigi?».
Bruxelles-Parigi: oltre 300 chilometri di distanza e quasi 2.000 metri di dislivello. All’epoca, pedalavo a malapena da un anno, ancora vergine di cicloviaggi. Il mistero di quella distanza mi intimoriva. Ma, come le migliori ossessioni, ha continuato a risuonare come un diapason nel retro della mia immaginazione e di quella del Cartografo. Cosa si prova per tutte quelle ore in sella? Che sensazioni vivranno le gambe all’ennesima rivoluzione? Si ribelleranno? Si rivolteranno? Si ipnotizzeranno? È per vivere le risposte a queste domande che siamo partiti alle 4.20 di questo venerdì, con l’idea di alzare le bici al tramonto davanti alla Tour Eiffel, senza sapere se ne saremmo stati capaci.
Siamo in tre. Il Cartografo, esperto di geografia romantica, archeologo di strade estetiche, ottimista anche agli improbabili incroci autostradali in cui sfociano certe piste ciclabili mal progettate. Il Dottor Stravamore, teutonici polpacci e mediterranea passione che si esprimono in ogni segmento di salita. L’Alchimista: alla ricerca del carboidrato filosofale per indorare la gamba fino all’ultimo chilometro, da quando un’indigestione di fettuccine ai funghi lo perseguitò sul Passo del Gavia. Tre gregari senza capitano, che si accompagnano alla ricerca di emozioni sconosciute da cui farsi guidare.
Ma la Pattuglia dell’Alba è ben più numerosa di noi tre. Nell’oscurità del mattino, le luci bianche delle bici diventano arancio fluorescente quando si infrangono sui gilet degli operai che, ogni mattina, si scortano in cantiere. File infinite di camion dalle forme sconosciute condividono la strada con noi ciclisti, protetti solo da segnali stradali che indicano piste ciclabili mai costruite. C’è la panettiera di Mons, sorridente ma senza caffè, e il barista di Bavay, con il caffè ma senza sorriso. Le albe del Nord hanno anche il sapore secco del vento contrario, delle vastità pianeggianti attraversate da una sola strada senza ripari. Qui, ci si sente meno soli quando si riconosce la stessa fatica negli occhi degli altri.
Ben diversa è la situazione a Compiègne, 160 chilometri più tardi. Ci sono balconi fioriti che rivaleggiano con vestiti estivi e vetrine ricolme di dolci. Si sente che Parigi è più vicina. Ma non troppo: mancano meno di 100 chilometri, ma non molti di meno. Abbiamo già attraversato una pioggia breve ma intimidatoria, canali lisci come seta, foreste mitologiche e distese di girasoli. Ci è scappato anche uno scatto in salita, cantando a squarciagola Siamo dentro l’happy hour ... vivere costa la metà! È così che ci sentiamo, ancora... Quando arriveranno le crisi? Io prima di oggi non avevo neanche mai fatto 200 chilometri e ormai sono sveglio da tredici ore. A colazione ho riguardato la sfida sul Mont Ventoux tra Armstrong e Pantani, per trovare ispirazione nei momenti di vuoto che, per ora, non sono arrivati. Mi insospettisco, ma non c’è tempo: è ora di rimettersi in sella.
Qualche chilometro più in là, inizia l’impensabile. Nello sguardo del Cartografo riconosco la stessa sensazione che sto vivendo e che non so articolare. Felicità, ilarità, euforia: tutte parole che sono solo approssimazioni dell’impeto che ci spinge su e giù, a tutta velocità, per il lunghissimo viale alberato che arriverà fino a Parigi. Questa direttissima è una deviazione
di percorso imprevista, dettata non dalla fatica ma dall’impazienza di sfogare quel vigore che si prova quando si smaschera un limite che non esiste. Ho un solo ricordo di una sensazione simile: 27 anni fa, all’asilo, imparai a sospendermi su due ruote a suon di sbucciature. All’epoca, le maestre non capivano perché mi ostinassi a togliere le rotelle. Allo stesso modo, oggi non molti capiscono perché inseguiamo sensazioni, piuttosto che medie orarie, record personali o conteggi calorici. Forse, la libertà non si può insegnare o spiegare, ma solo mostrare e riconoscere nello sguardo dilatato di un fratello con cui si scambiano le ruote.
Persi come siamo nel nostro moto perpetuo, gli ultimi 100 chilometri passano più veloci dei primi e arriviamo a Parigi prima del previsto. O quasi: arrivare da Parigi a Parigi, dalla periferia al centro, è un viaggio nel viaggio. La vera avventura, o disavventura, è vivere in queste città che non hanno più logiche geografiche, ma amministrative. Reti di comunità sconnesse, forzate insieme da apparati burocratici che non si traducono in trasporti, rivestite di messaggi di unità che coincidono solo con i grandi eventi. Che avesse ragione Bernardo Morliacense? Che non ci rimangano che i nomi delle cose, senza la sostanza che le costituisce? Almeno per oggi, per la Pattuglia dell’Alba, Parigi è ben più di un nome o dello slalom di triple file, bus da sorpassare e concatenamenti di tangenziali. Diciassette ore dopo aver percorso il canale di Bruxelles, arriviamo a quello di St. Martin, nella Ville Lumière. Zig-zaghiamo per la città chiedendoci Che cosa abbiamo fatto?, una domanda che è esultanza. Infine, svoltiamo a sinistra per Place de la Concorde.
Non succede spesso che il giorno di Natale superi in bellezza quello della vigilia: nell’immaginazione non esistono compromessi, nelle aspettative di perfezione sì. Noi, però, non sapevamo neanche se ci saremmo arrivati a Parigi. Quindi, questo 21 luglio diventa Natale. Lungo gli Champs-Élisées, le tribune sono già allestite per l’arrivo del Tour de France. Per ora, ci siedono i nostri spettatori in differita. Il Leader Maximo, con il sorriso compiaciuto di chi lancia sfide solo a chi ha il romanticismo per interpretarle. Pascal, artigiano-artista che ci ha iniziato alle bici da strada. Roberto, che non ha mai pensato di chiedere a un bambino perchè volesse togliere le rotelle per pedalare come i grandi.
Questa volta, è l’immaginazione che dirige il mondo circostante. Turisti e traffico si fanno da parte mentre completiamo un semicerchio trionfale intorno all’Arco napoleonico. La processione risveglia anche il Dottor Stravamore, da lungo tempo in letargo a causa della fame. Svolta a destra e discesa verso la terrazza di Trocadero. Poi, di nuovo a destra per l’ultima salita. Indosso abbiamo la maglia blu dell’Italia, quella delle grandi occasioni: l’omaggio al Pirata sulla salita di Campo Imperatore e quello al Campionissimo in cima al Pordoi. Intoniamo:
E volavo, volavo felice più in alto del sole E ancora più su!
I turisti ci guardano incuriositi, dobbiamo sembrargli Super Mario e Luigi che cantano i testi di Modugno per attirare follower. Ma noi non abbiamo neanche i social. E non vediamo altro che la Tour Eiffel, che si accende all’incedere del tramonto mentre alziamo le bici al cielo.
Ma tutti i sogni nell’alba svaniscon perché Quando tramonta la luna li porta con sé Pensare che la mia Bruxelles-Parigi stava per finire a duecento metri da casa, quando ho rischiato di schiantarmi contro un paletto nel buio. Ma non tutti i sogni svaniscono all’alba. Alcuni cominciamo proprio allora. Così continuiamo a pedalare, contro le opinioni ragionevoli, perdendoci nel desiderio di attraversare la notte.