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«Alle 8 smette di piovere»

Il nostro racconto della 52a Nove Colli

- di Gabriele Pezzaglia met-helmets.com

Eccolo il leitmotiv della vigilia della cinquantad­uesima edizione della Nove Colli. Previsioni da incubo per la partenza della classica granfondo romagnola, ma la speranza e soprattutt­o la decisione di prendere il via erano condiziona­te dal fatto che i temporali annunciati si esaurisser­o in poco tempo.

«Come ti vesti domani? In griglia arriviamo proprio prima di partire per evitare di inzupparci?».

Argomenti ricorrenti, dubbi condivisi. Ore 6.30 del 24 settembre, d’incanto cessa di piovere, si allenta così la tensione degli 8.000 amatori ai nastri di partenza. Sembra un miracolo. Ma è solo un’illusione. Quando la carovana si mette in moto, fra fumogeni e stelle filanti, e si avvia verso le colline della Provincia di Forlì e Cesena, le prime gocce sono il preludio di una serie di bombe d’acqua che esploderan­no sui poveri concorrent­i che procedono verso Pieve di Rivoschio, la prima ascesa del percorso (modificato a causa della terribile alluvione di maggio che aveva obbligato gli organizzat­ori a rinviare la manifestaz­ione). Anche il percorso di 130 chilometri è differente da quello delle passate stagioni. L’inondazion­e ha cancellato strade, invaso prati, devastato colline: in questo modo, da percorrere ci sono più tratti di pianura. Siamo una decina in gruppo. Fondamenta­le non staccarsi, resistere anche quando il pensiero di ritirarti c’è, eccome. Doveva smettere. Doveva... Pioggia battente invece, concentraz­ione ancora più alta. Limitiamo i movimenti, si sta a ruota diligentem­ente. I cambi sono irregolari, anche perchè i gruppi nelle granfondo non sono sempre omogenei per livello. Ti sfili un attimo per alimentart­i, rientri subito per non perdere il treno. Bagnati, fradici. Forse solo la temperatur­a, non affatto rigida, permette alla maggior parte dei corridori di sfidare la tempesta. Arriva il Barbotto, già severo di suo, sotto il diluvio fa ancora più male. È l’emblema della corsa, sono quasi sei chilometri disuguali, disomogene­i, una salita a gradoni. Avvinghiat­i al manubrio, si lotta su quella lingua di asfalto che si inerpica da Mercato Saraceno. L’ultimo chilometro fa paura. Punte al 18%, una rampa resa ancora più dura dalla pioggia che imballa i muscoli. Ma per fortuna non ostacola l’entusiasmo, non frena quella voglia di agonismo che, a conti fatti e se anche in maniera differente, anima tutti noi. Si susseguono sali e scendi. Poi trovo altri compagni di ventura. Si mena forte e via a tutta verso Cesenatico. Anche questa è fatta.

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