«Alle 8 smette di piovere»
Il nostro racconto della 52a Nove Colli
Eccolo il leitmotiv della vigilia della cinquantaduesima edizione della Nove Colli. Previsioni da incubo per la partenza della classica granfondo romagnola, ma la speranza e soprattutto la decisione di prendere il via erano condizionate dal fatto che i temporali annunciati si esaurissero in poco tempo.
«Come ti vesti domani? In griglia arriviamo proprio prima di partire per evitare di inzupparci?».
Argomenti ricorrenti, dubbi condivisi. Ore 6.30 del 24 settembre, d’incanto cessa di piovere, si allenta così la tensione degli 8.000 amatori ai nastri di partenza. Sembra un miracolo. Ma è solo un’illusione. Quando la carovana si mette in moto, fra fumogeni e stelle filanti, e si avvia verso le colline della Provincia di Forlì e Cesena, le prime gocce sono il preludio di una serie di bombe d’acqua che esploderanno sui poveri concorrenti che procedono verso Pieve di Rivoschio, la prima ascesa del percorso (modificato a causa della terribile alluvione di maggio che aveva obbligato gli organizzatori a rinviare la manifestazione). Anche il percorso di 130 chilometri è differente da quello delle passate stagioni. L’inondazione ha cancellato strade, invaso prati, devastato colline: in questo modo, da percorrere ci sono più tratti di pianura. Siamo una decina in gruppo. Fondamentale non staccarsi, resistere anche quando il pensiero di ritirarti c’è, eccome. Doveva smettere. Doveva... Pioggia battente invece, concentrazione ancora più alta. Limitiamo i movimenti, si sta a ruota diligentemente. I cambi sono irregolari, anche perchè i gruppi nelle granfondo non sono sempre omogenei per livello. Ti sfili un attimo per alimentarti, rientri subito per non perdere il treno. Bagnati, fradici. Forse solo la temperatura, non affatto rigida, permette alla maggior parte dei corridori di sfidare la tempesta. Arriva il Barbotto, già severo di suo, sotto il diluvio fa ancora più male. È l’emblema della corsa, sono quasi sei chilometri disuguali, disomogenei, una salita a gradoni. Avvinghiati al manubrio, si lotta su quella lingua di asfalto che si inerpica da Mercato Saraceno. L’ultimo chilometro fa paura. Punte al 18%, una rampa resa ancora più dura dalla pioggia che imballa i muscoli. Ma per fortuna non ostacola l’entusiasmo, non frena quella voglia di agonismo che, a conti fatti e se anche in maniera differente, anima tutti noi. Si susseguono sali e scendi. Poi trovo altri compagni di ventura. Si mena forte e via a tutta verso Cesenatico. Anche questa è fatta.
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