alvento

Mìng-wu / Mongolo

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La mano è salda, forte, l’ha gia fatto centinaia di volte, i movimenti sono automatici, delicati, si muove, consapevol­mente cieca. Entra nel piccolo squarcio caldo dell’addome, segue la mappa del sangue, risale veloce, le dita scrutano i tessuti; eccola, il pugno si chiude di scatto sull’aorta, deve fare presto, la vita sta finendo.

Un movimento secco, tutta la forza viene fatta confluire li, l’arteria viene compressa, non c’è sofferenza, nemmeno una goccia persa.

Le pupille della pecora sembrano ancora attente, sembra che la vita le sia stata risucchiat­a troppo velocement­e per lasciarne ricordo. Disossata e sviscerata, verrà poi riempita di pietre roventi, cuocendosi lentamente dal proprio interno.

Le labbra di lui si muovono appena, il respiro si trasforma in una preghiera incomprens­ibile; bassa, sussurrata ma potente, è una canzone di ringraziam­ento agli animali. Nulla verrà buttato, nulla sprecato, anche le ossa avranno il loro uso; brutalità del bisogno più antico, la morte per la vita. È seduto sulle ginocchia, posizione di riposo sì, ma sempre pronto a scattare, pronto all’azione; indossa i Gutul, tradiziona­li stivali dalla punta rivolta verso l’alto in modo da non ferire la Terra e non uccidere i piccoli animali.

Pelle molto chiara tendente al giallo, barba inesistent­e, capelli lunghi, scuri, forti, resistenti. Gli occhi sono piccoli e racchiusi nel tipico guscio di mandorla, segno distintivo e conseguenz­a del bisogno di protezione verso le intemperie, la luce accecante della neve, il freddo.

Il marrone chiaro degli occhi ti guarda fisso, ti scruta e analizza, non distoglie lo sguardo. Sono occhi buoni e accoglient­i ma racchiudon­o anche il più grande impero che l’umanità abbia mai visto.

Il suono delle loro voci esce dalla parte più profonda della gola, una parte che noi non sappiamo più usare; aggressiva e intimidato­ria nei canti di guerra, difficilme­nte sorride. Le zeta sono affilate, le vocali sono basse e sommesse.

Nomadi in un luogo infinito, senza parlare, mettono in dubbio le nostre certezze sulla felicità.

Vuoto estremo che disorienta.

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