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Di Cristiana Provera
Alle origini di un colosso della cosmesi made in Japan ci sono: una piccola farmacia, una gelateria scenografica, un curry beef che vale la lista d’attesa. E, se pensate che la camelia Art Nouveau, che ne è il simbolo, sia apparsa per la prima volta sulla boîte di una cipria, vi sbagliate. Prima sono venuti certi biscottini al burro. L’ ho scoperto al Shiseido Parlour
Nel resto del mondo, Shiseido vuol dire creme e profumi. In Giappone, invece, il suo lato beauty è solo la punta di un iceberg. Dal 1925, nel cuore dell’iconico quartiere di Ginza a Tokyo svetta, infatti, il Shiseido Parlour, quintessenza di una diversificazione dettata dai criteri estetici della Nouvelle Vague Japoniste di fine Ottocento. Ho avuto la fortuna di aggirarmi tra le sale di questo edificio dalle facciate rosso vermiglio, curiosando, chiacchierando con le persone, ascoltandone la storia. E scoprendo che, al pianterreno, non si vendono preziose lozioni, bensì prelibatezze gastronomiche racchiuse in confezioni che assomigliano a cofanetti portagioie. Il palato è protagonista anche nei ristoranti al terzo e decimo piano, dove si trovano il Salon de Café e lo stellato Faro. Qui il piacere procurato dal cibo è espresso attraverso l’Omotenashi, l’ospitalità nipponica che arriva da tradizioni antichissime, dalla cerimonia del tè al Buddismo zen. Del resto, che Shiseido abbia a che fare con complesse filosofie lo dice il suo stesso nome che deriva dal libro divinatorio I Ching, l’oracolo più antico della civiltà cinese. A sceglierlo, nel 1902, fu Arinobu Fukuhara, fondatore di quella che da piccola farmacia di stampo occidentale (la prima in Giappone) si sarebbe trasformata nella casa cosmetica più importante del Sol Levante. In quello stesso anno, Fukuhara decise che, sopra la farmacia, avrebbe aperto - e torniamo quindi al cibo - anche una gelateria, la Ice Cream Parlour, una novità tale per i giapponesi da essere citata in celebri romanzi dell’epoca. Oggi, al Shiseido Parlour lavorano 134 persone, di cui nove nel reparto di confezionamento dei dolci dell’unica pasticceria Shiseido al mondo. «La maggior parte dei prodotti sono esclusivi di questo negozio, come i maquillage chocolat, cioccolatini colorati al gusto di caffè, vaniglia e champagne fatti a mano ed esposti come una palette di ombretti», spiega Yasuko Saeki, manager del Parlour. «Le cheesecake sono preparate ogni mattina: i cuochi arrivano alle sei, perché alle dieci devono essere pronte ed esposte in vetrina. E se ne fanno solo 15, non possono avanzare per il giorno dopo». Gli ingredienti delle cheesecake riflettono anche l’importanza simbolica del trascorrere delle stagioni, aggiunge con orgoglio Saeki: «Le ciliegie
omaggiano la primavera, il limone l’estate, le castagne l’autunno e le fragole l’inverno. Sì, perché, per strano che sia, le fragole in Giappone sono prodotte in serra e sono pronte soprattutto nei mesi freddi». Ma le vere specialità del posto sono i biscotti al burro, il primo tipo di dolce che Shiseido ha cominciato a vendere 80 anni fa. Su ogni biscottino c’è il rilievo in pastafrolla di una camelia, il cui aspetto rivela influenze Art Nouveau: oltre a essere il fiore preferito del fondatore, dal 1916 rappresenta la casa cosmetica. I contenitori sono raffinate scatole metalliche di tre colori diversi, di cui una, a edizione limitata, rossa come il flacone del siero Ultimune, il primo immuno-attivatore cosmetico lanciato da Shiseido lo scorso settembre e coperto da 31 brevetti internazionali. Ma il Parlour è anche un tempio gastronomico con specialità che vanno dall’aceto balsamico di Modena invecchiato otto anni ai sacchetti con il famoso curry Shiseido, il più pregiato e costoso del Paese. Dolci a parte, quello che rende unico il Parlour è lo tsutsumi, ovvero la sofisticata arte dell’impacchettare i doni, che unisce le tecniche dell’origami all’uso di fili di carta e colori diversi per valorizzare il nodo e adattarlo all’occasione.
Il cremisi, per esempio, si addice ai doni formali, il rosso ad anniversari e compleanni. «Il packaging è affidato ai creativi dell’art department del quartier generale Shiseido, che ha sede a Ginza», spiega Saeki. «Uno dei nostri designer più importanti è Masayoshi Nakajo. Con noi da più di 40 anni, ha la direzione artistica delle confezioni e, in più, quella della nostra rivista mensile di moda, bellezza e tendenze, Hanatsubaki (“camelia” in giapponese, ndr), che pubblichiamo dal 1937». Chi percorre Ginza Street, però, non si ferma solo davanti alle vetrine del Parlour: almeno 5mila persone ogni mese varcano le porte dell’edificio e raggiungono i piani superiori per mangiare nei suoi ristoranti. Il più frequentato all’ora di pranzo (soprattutto da donne, che rappresentano il 95 per cento degli ospiti) è il Salon de Café. «È stato il primo ristorante occidentale in Giappone», racconta lo chef Kazuhisa Hashimoto, «ci sono piatti che puoi mangiare solo qui, con le stesse ricette di quando è stato aperto, come il famoso soda float, una soda servita con gelato alla vaniglia in sospensione,
o i toast con il miele degli apicoltori dell’area di Ginza. Quasi tutti, però, almeno una volta, vogliono provare la nostra ricetta più celebre, il manzo con il curry prodotto da Shiseido, di cui vendiamo una versione liofilizzata nel Parlour». Il vero fiore all’occhiello è tuttavia al decimo piano, dove c’è il ristorante Faro, aperto nel 2001 e per sei anni consecutivi, dal 2009 al 2014, premiato con una stella Michelin. A dirigere le cucine di questo luogo così esclusivo, dove la pasta cuoce solo in acqua minerale italiana, è lo chef Takahiro Nakao, 37 anni. Per imparare l’arte delle tagliatelle e delle lasagne fatte in casa o della cucina regionale, Takahiro ha trascorso quattro anni in Italia, lavorando in rinomati ristoranti della Lombardia e del Piemonte. «Di sera è frequentato soprattutto da uomini d’affari, attratti dall’offerta di più di 500 etichette di vini italiani. I menu che vanno per la maggiore sono quelli a tema, come quello ai funghi porcini e al tartufo che importiamo dall’Italia. Le donne apprezzano il carrello dei dolci: ne vengono serviti otto diversi in piccole porzioni. E se li mangiano tutti», dice ridendo Nakao. La sua giornata comincia alle cinque del mattino, con il consueto giro al mercato del pesce di
Tsukiji, il più grande dell’Asia: «Offrire gli ingredienti migliori è quasi un’ossessione. Qui ogni dettaglio è importante, compresa la presentazione dei tavoli, su cui vengono sistemati piatti decorativi realizzati da maestri della ceramica. Costosissimi, sono lì per essere ammirati e sono tolti prima di cominciare a mangiare». In un mondo come il Parlour non poteva mancare l’arte. Ed ecco, nel seminterrato, la Shiseido Gallery: inaugurata nel 1919, è la più antica galleria no profit del Giappone. «Dall’apertura ha ospitato 3.100 mostre con opere di 5mila giovani rappresentanti dell’avanguardia artistica», spiega il curatore Masaki Higuchi. Prima di andarmene, non resisto: torno in pasticceria, meditando sul concetto del piacere estetico della contemplazione così tanto decantato oggi. «L’obiettivo è limitare la fretta nello strappare carta e nastri per vedere cosa c’è dentro», mi dice l’elegante commessa, mentre guardo per l’ultima volta le confezioni di biscotti, gelatine e mini mousse di castagne. E aggiunge: «Anticamente, in Giappone, alcuni pacchetti non dovevano nemmeno aprirsi».
Soda float, maquillage chocolat e 15 ambitissime cheesecake al giorno: questo è il regno dei dolci. Ma tutti, almeno una volta nella vita, vogliono assaggiare il manzo al curry Shiseido, il più pregiato del Paese. Ne viene venduta anche una versione liofilizzata