Cattivi Propositi
Di Maria Laura Rodotà
omunque la pensiate in politica, qualunque sia la vostra opinione sul futuro dell’euro, è possibile che sentirvi dire: “Sei vestita come la Merkel” costituisca per voi un’offesa. Non lo è. Anzi lo è perché è peggio, è un’offesa carpiata con avvitamento. A chi indossa spezzati pantaloni e giacca quando va al lavoro, alle femmine competenti che tanti maschi tentano di ridimensionare appena possono, al diritto delle donne di adottare, come gli uomini, una divisa. È successo a X, come ad altre, all’inizio di una riunione. Aveva dei pantaloni neri e una giacca rosso chiaro, avvitata, di ottimo taglio. Un collega, forse competitivo, l’ha subito paragonata alla cancelliera tedesca, ridendo da solo per la genialata. X ha fatto una faccia; non tanto perché Angela Merkel non viene trovata attraente dall’italiano medio o dall’italiano pessimo (i non-apprezzamenti dell’ex premier ed ex cavaliere Silvio Berlusconi sono noti e disdicevoli, anche se vari connazionali li trovano divertentissimi); quanto perché, pur stimando la statista berlinese, non è d’accordo con lei su molte questioni politico-economiche (davvero, ci sono donne che giudicano uomini e donne in base a quel che fanno e dicono, non solo su forma e dimensioni dei loro glutei). Il collega ha registrato la faccia, e ha ripetuto la battuta sulla Merkel per due giorni di fila.
CHE POI, SE UNA VOLESSE imitare Merkel, ne avrebbe tutto il diritto. Primo, perché è diventata la donna più potente del mondo, ci è arrivata lavorando tantissimo, con determinazione finto-placida, incassando attacchi e insulti senza dare segni di reazione, mettendo gli avversari in fuorigioco, risolvendo i problemi abbigliamentari che affliggono le femmine visibili grazie alle sue tenute da Merkel: spezzati, appunto, i colori delle giacche sono di gusto tedesco ma ciò la fa più cara ai/alle connazionali, la prevedibilità della mise la rende riconoscibile, rassicurante, anche preferibile, come una serie televisiva di successo o una catena di ristoranti veloci. E, in effetti, se cambiasse stile di continuo verrebbe meno presa sul serio. È successo a Hillary Clinton nella sua prima fase di visibilità globale, quando veniva sfottuta perché cambiava costantemente pettinatura. Succederebbe ai leader maschi della politica, della finanza, dell’impresa, se spaziassero nelle uscite pubbliche dalla grisaglia alla canotta, dalla tenuta da finto gentiluomo inglese a quella da vero parente delle Kardashian. Immaginateli. Vi verrà da ridere. Poi riflettete su come si vestono le donne, su come devono vestirsi, su come vengono viste a seconda di come si vestono.
PER QUESTO UNA DONNA VESTITA da Merkel (secondo loro) fa paura e va subito contenuta e umiliata. Come va altrimenti umiliata una donna che si sente bene presentandosi in gonna, tacchi e trucco, e quindi, va da sé, tornando alle definizioni da ex premier, viene classificata come olgettina. Come va svergognata chi ama il basico, magari con materie prime di buona qualità, etichettata da colleghi in completi grigio topo di cattiva fattura “una barbona”. D’altra parte, chi sceglie un suo stile rischia, ma rischia anche di vincere; alla lunga, comunica carattere e coerenza, per qualcuno sono ancora qualità. Chi spazia, chi prova e riprova e spesso sbaglia; se poi alterna molto, le montagne russe dell’abbigliamento verranno presentate come prova della personalità erratica e delle sue probabili sindromi premestruali. Sindromi che verrebbero tirate in ballo se le X, al prossimo “vesti come la Merkel”, rispondessero al molesto incravattato: “Tu vesti come chiunque”, che poi è quasi vero (tra l’altro: perché i media italiani, al netto delle ironie su aspetto e giacche, insistono a chiamare Merkel “Frau Merkel”? Per ridurla a massaia cattiva? Forse sì, altrimenti direbbero/scriverebbero Mister Cameron o Mister Obama, Monsieur Hollande, Signor Renzi; che poi vestono tutti allo stesso modo, al netto del migliore o peggiore taglio delle giacche; che poi al solito, boh).