DALL’ALTO DEI CIELI
Quando tante persone, che si muovono in nome di qualche dio, non fanno paura. Grazie allo sguardo aereo di una fotografa, le religioni si presentano nell’aspetto migliore, brulicanti di umanità
ove mettersi a fotografare una margherita? Qual è il punto migliore per godersi il sacro Holi degli indù? Da quale piano osservare vicende tanto lontane come la Fiesta del Cascamorras in Spagna e il Festival del fango in Corea del Sud, sempre considerando che viviamo ormai nell’Antropocene, l’era in cui (quasi) tutto viene plasmato dagli (e nella prospettiva degli) umani? La vista preferita da Katrin Korfmann, in questo senso, sembra assai poco umana. Aerea: è quella che lei stessa chiama “the bird’s-eye view”. Un’espressione abbastanza usata. Ma si fa presto a dire “occhio di uccello”: quale? La visione distaccata e celeste di una poiana, o il frullante sguardo ravvicinato del colibrì? In ogni caso, per le margherite il bird’s-eye non è di moda. Meglio l’occhio di lumaca: il mio manualetto del dilettantissimo fotografo consiglia di chinarsi nel prato e scattare stando sotto il livello del mare di steli e corolle, per rappresentare i fiori nella loro tridimensionalità. Cogliendoli dall’alto, dalla solita prospettiva umana (per non parlare di quella alata), si finisce per schiacciarli, perdere il loro slancio, appiattire il rigoglio della vita vegetale in una bidimensionale banalità. Ecco, in una società che si esalta al pensiero di stampanti e occhiali in 3D, in cui per non apparire scontato anche un campo di margherite si deve fotografare dal basso, manco fosse un bosco verticale, la testarda teoria di uniformare il brulichio di una folla schiacciandola dentro un quadro a due dimensioni potrebbe sembrare una scelta di controtendenza un po’ rétro, un effetto speciale da padiglione russo di Milano Expo. Nelle interviste, rilasciate tra un’istallazione e