Amica

Ballo (da sola) in maschera

di Benedetta Rossi

- Testo Benedetta Rossi • Illustrazi­one Klas Fahlén

Ora che il nostro viso è nascosto, dovremo cominciare a parlare con lo sguardo. E chissà, magari ne verrà fuori UNA MALIZIA IN PIù. Per esempio, impareremo finalmente a fare lo smokey-eye come si deve Buongiorno occhi,

naso, labbra. Buongiorno a questo mio viso. Finalmente si può uscire, con regole precise. La mascherina di garza medica è lì, accanto all’eyeliner. Mi guardo allo specchio con quell’occhio distante e clinico con cui si esamina uno sconosciut­o. Eppure sono io. Osservo. La pelle, la mia, vista da vicino. Le rughe, le palpebre, che non sono più fresche come un giorno. Quel piccolo neo accanto al naso. L’increspatu­ra sbarazzina delle labbra, proprio lì in mezzo, dove tanti baci sono volati. Si direbbe che sono io. Unito ai documenti e al mio nome, questo viso compone quello che sono, per me, per i miei cari, per gli amici e per lo Stato.

Io con questo volto

ci sono nata, me lo sono visto davanti agli occhi per 45 anni. Non mi ha mai annoiato. Ci siamo sempre piaciuti, mi ha sempre rispecchia­ta. L’ho sfidato col sole acerbo di aprile, quando da ragazzina mi mettevo a prenderlo su uno scoglio, senza protezione. L’ho curato con le creme più costose, prese in prestito dall’armadietto di mia madre. L’ho salvato con l’aiuto della dermatolog­a quando si era riempito di macchie. E poi l’ho truccato, lavato, dipinto, idratato, gli ho fatto lo scrub e le maschere nutrienti, l’ho fatto ridere e l’ho fatto piangere. Su ciglia, labbra e guance, una miriade di veli di polvere colorata, i neri più neri per sfumare gli occhi, i rossi più scarlatti per incendiare la bocca.

In questa strana anestesia

di vita in cui siamo incastrati, mi chiedo: che cosa ci farò adesso di questo volto? Dicono che lo dobbiamo coprire, ancora per un po’. Sarà obbligator­io, ci salverà. Dovrò far abituare anche mio figlio a mettere la mascherina, facendo dei piccoli nodi ai lati, per accorciare i laccetti. La sua bella faccina fresca, quella porta verso la verità, va coperta, anche quella. E quindi, al mio viso con le lentiggini che compaiono d’estate, devo mettere la maschera. Io, che non ho mai finto nemmeno un sorriso, devo indossarla se voglio uscire di casa, comprare del cibo, il giornale. La mascherina per camminare. Per cogliere un fiore. Per fare tutto. Dicono che non ce ne libereremo tanto presto. Che dovremo abituarci a coprire mezzo volto. Quando rivedrò mia madre, anche lei dovrà nascondere il sorriso. Perché dagli occhi in giù, sarà divieto. Dagli occhi in giù: mimesi. Ci servirà un pezzettino di tessuto che leva il fiato, che fa appannare gli occhiali. Il filtro tra noi e il mondo. Servirà per non contagiars­i. E sia. Va fatto, si farà. Ma non posso negarlo, il volto coperto dà l’effetto di una donna a metà. Per quelle come me - fino a ieri ci saremmo descritte liberali, emancipate, femministe, forse, di sicuro libere - questa pezzetta di stoffa è pari a una briglia. Imposta, mal tollerata.

Mi vengono in mente le

donne di religione islamica che ho conosciuto. O quelle che ho incrociato per strada. Di alcune, è capitato, ho visto solo gli occhi. Sembravano più grandi dei miei, più intensi. Forse perché era l’unico spicchio di verità attraverso cui comunicava­no? Le ho guardate sempre incuriosit­a, chiedendom­i se quel velo fosse una loro volontà, una cosa che facevano per stare bene. Un desiderio, pari al mio di avere guance rosee a primavera. Non ho mai avuto il coraggio di chiedere, avevo paura di sembrare indelicata. O stupida. Tanto ora le mie guance se ne stanno a riposo, lontane dal sole e dalla brezza, vivendo questi giorni in sordina. Guance, naso, labbra e mento: coperti. Un mio amico, ridendo, diceva che la mascherina è gentile perché copre il doppio mento che invece è “maleducato”. Si ride per sdrammatiz­zare, chi può farlo è bene che lo faccia.

Ancora non ci credo.

Eppure noi umani tendiamo a normalizza­re gli eventi che ci sconvolgon­o la routine: all’inizio sono degli shock, dopo, come dice l’adagio, “ci si abitua a tutto”. E poi c’è onnipresen­za visiva delle mascherine. Sui giornali, nelle pubblicità, alla tv. Negli advertisin­g sui canali di e-commerce. Nei filtri di Snapchat. Si vedono già anche quelle à-la-mode, firmate dagli stilisti. Con il logo, i fiori, i messaggi di speranza. C’è quella democratic­a, l’egoista, con il doppio filtro, da “ricchi” e quella regalata in farmacia, in una sorta di “dimmi che mascherina indossi e ti dirò chi sei”. È il nostro edonismo che reagisce? Forse. Del resto questa è la società in cui viviamo: una società di benessere a caccia di bellezza. La Bellezza maiuscola, eterna, democratic­amente iniettata nel derma sociale. Che ne sarà dei nasini all’insù, delle labbra aerodinami­che, degli zigomi polposi quanto pomelli di adolescent­i? Caché! E i sorrisi? I denti perfetti e sbiancati, per fare le scintille, come nei cartoni animati? Aggiungo: e le smorfie, i bronci, le linguacce? Mi divertivan­o così tanto.

Di una cosa sono certa.

Con mezzo viso coperto, se andiamo avanti così, si dovrà imparare a parlare con gli occhi. Un po’ come le nostre bisnonne. Faremo in modo di lasciar intendere che “abbiamo capito”. Chissà, magari ne viene fuori una malizia in più. Impareremo finalmente a fare lo smokey-eye come si deve, a curare le sopraccigl­ia, a mettere il contorno occhi ogni sera. “Ci si abitua a tutto”, del resto, no? Ieri pomeriggio ho incontrato un ex amore. Era in coda per la spesa, come me. Mi ha detto sorridendo - lo si vedeva dalle pieghe attorno agli occhi - che, secondo lui, i baci mandati nel vento, quelli accompagna­ti dal soffio sul palmo della mano, passano attraverso la mascherina. Non li puoi fermare. E me ne ha spedito uno. Non so se mi crederete, ma in quell’istante ho sentito qualcosa di lieve e dolce arrivare sulla guancia. Anche se portavo la mascherina.

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