Trunk show
di Luisa Simonetto
“Mostrami com’è il tuo bagaglio e ti dirò chi sei”. Lo sostiene una Maison che, da oltre 165 anni, costruisce BAULI FATTI A MANO. Dai suoi atelier ad Asnières, fuori Parigi, escono pezzi unici, creati con dedizione e fantasia. Per viaggiare, sì (ma non solo)
NESSUN SOGNO è troppo grande, nessun oggetto troppo complesso”. Non vale per tutti, ma per Louis Vuitton è stato il mantra di una vita. C’è un’immagine che lo ritrae ragazzo, senza i baffi virili che l’avrebbero accompagnato nell’età adulta. Colpisce il suo sguardo: è determinato, fin troppo maturo per un teenager che ha lasciato a 14 anni la natia Anchay, nelle montagne del Giura, ed è sceso a piedi fino a Parigi. Un viaggio anche quello, 400 chilometri, per il futuro magnate dell’art du
voyage, ma non di piacere. Va in cerca di riscatto, piuttosto. Ci mette due anni il giovane Louis, nel frattempo impara tutto sul legno, a intagliare il faggio e il pioppo, finché approda alla metropoli e al suo primo impiego: apprendista chez Monsieur
Maréchal, fabbricante di valigie. Si impadronisce presto del mestiere, dei suoi mille segreti: nel 1854 fonda la Louis Vuitton Mallettier e mette al centro della sua Maison nuova di zecca un oggetto nuovissimo anch’esso, completamente ripensato: il baule, in inglese trunk (sarà a Londra che aprirà la seconda boutique della griffe, in Bond Street), per assecondare le voglie della neonata Cafè Society.
Un’elite di artisti, dive, dandy, milionari, sarti, ricchissima e cosmopolita, che di lì a poco sarebbe salita su automobili di lusso, ma anche su vagoni privati agganciati all’Orient Express, aerei e transatlantici di proprietà, per girare il pianeta in lungo e in largo. A una condizione: muoversi velocemente, sì, come avrebbero declamato i Futuristi, ma senza rinunciare al piacere di cambi d’abito giorno-cocktail-sera, profumi sur-mesure, lenzuola di lino lavate e stirate di fresco, biblioteche-à-porter e chi più ne ha più ne metta. Tanto, in un bagaglio Louis Vuitton lo spazio è una magia (non a caso persino il più grande illuminista di ogni tempo, Houdini, era un aficionado), un’idea che sposta di continuo l’asticella del limite.
Tra le prime a credere nell’intraprendente Louis è Eugenia, moglie di Napoleone III, che lancia la voga delle crinoline (firmate Charles Frederick Worth, il sarto inglese couturier ufficiale della corona). L’imperatrice ha bisogno di una capienza considerevole, di imballaggi delicati e voluminosi affinché non si stropicci il suo corredo di gonne e sottogonne immense. Ci pensa Louis Vuitton, che crea il baule in tela Trianon, grigia come le pareti degli augusti salottini alle Tuileries. In doppia versione, bombato, a cupola, per Eugenia che si sposta in carrozza. E dritto, come un parallelepido, prevedendo che i muscoli guizzanti dei destrieri sarebbero stati sostituiti da cavalli meccanici, dentro il motore. Poi arrivano la toile Damier quadrettata, evoluzione delle righe del 1872, già un esperimento anti-sofisticazione, e la toile Monogram, questa sì imitatissima ma di fatto inimitabile, inventata nel 1896 da Georges Vuitton. Un monogramma - le iniziali di papà intrecciate, LV appunto - diventa logo, insieme a un fiore con quattro petali stilizzato in tre diverse versioni (l’ispirazione è il Japonisme). Nel frattempo, la casa veste bagagli reali a ogni latitudine: da Faruk d’Egitto al sultano di Costantinopoli, dalla tea-case del Maharaja di Baroda al baule-picnic
di Yusuf Kemal, fino al trunk con cassaforti staccabili e riponibili nei forzieri a muro per il re dei gioiellieri, Louis Cartier (i due Louis sono vicini di bottega, Rue de la Paix l’uno, Rue Scribe l’altro). C’È UNA TOILE PER TUTTO Che cosa lega, invece, i trunk peso piuma per i viaggi in mongolfiera di Nadar, fotografo, caricaturista, editore, grande eccentrico nonché armatore, a fine Ottocento, di una flottiglia di air
balloons (fu la volta in cui il baule svettò in cielo, prima di spiccare definitivamente il volo sugli aerei di linea), all’astuccio aerospaziale del 2019 per le sneaker in Monogram Eclipse presentato al Miami Design District? Li unisce un luogo all’apparenza elegiaco, poco fuori Parigi, ad Asnièressur-Seine: sì, sul fiume perché acqua, trasporti, viaggio sono legati dall’idea di un eterno fluire. Si tratta di un caseggiato Liberty che è dal 1859 il cuore della creatività pura della Maison (era anche la casa dei Vuitton). Qui è dove si fabbricano i sogni, dove nascono - ora come allora – le famose
commandes spéciales. È anche la sede del Museo Louis Vuitton, ne gettò le basi Gaston-Louis, figlio di Georges e nipote di Louis: cominciò lui a collezionare bauli e mallette, ricomprandoli alle aste, da privati, antiquari (è visitabile durante le Journées Particulières di LVMH).
Difficile scegliere una storia tra tante: il sarto delle Mille e una notte Paul Poiret, tra i pionieri dei trunk show (portava le sue collezioni all’estero per mostrarle alle signore e ordinava anche 15 bauli l’anno)? Il trunk di Miss France 1930, al secolo Yvette Labrousse, figlia di un tranviere andata sposa all’Aga Khan III? Il porta-abito con doppio soffietto per ospitare la collezione di orologi Breguet più grande al mondo? O il portaracchette da tennis (su terra battuta e su prato)? E che dire della valigia per i vestitini delle bambole
DALLA CASA DI BAMBOLE ALLA TORTA DI COMPLEANNO, DAL SET PER LA COLAZIONE SULL’ERBA ALL’ENCICLOPEDIA, NON C’È OGGETTO CHE NON MERITI UN TRUNK LOUIS VUITTON. BASTA ELIMINARE IL CONCETTO DI “IMPOSSIBILE”
donata dalla Francia nel ’38 alle principesse Lilibeth e Margaret: un porta-abiti Corte di 40 cm, in vacchetta liscia e foderato di seta marezzata rosa. Andò così: rimaste a casa, mentre i Real Genitori erano in visita di Stato a Parigi, ricevettero due bambole “di consolazione”, Marianne e France, alte ognuna un metro e mezzo, con tanto di guardaroba firmato Lanvin, Rochas, Worthe e profumato di Guerlain (il set appartiene al tesoro del Castello di Windsor). Per la cronaca, quella della Maison Vuitton non è solo una storia di bagagli. È anche una storia di giocattoli per bambini, con tanto di cataloghi dedicati ideati da art director superstar, Cassandre, Alexey Brodovitch... Il Salon des jouets Louis Vuitton, voluto dalla moglie di Gaston-Louis, proponeva biglie, cavalli a dondolo, automobiline Solido con l’etichetta Louis Vuitton sotto il telaio, poupées e piccoli bauli per portarne in vacanza i vestitini (durò fino agli Anni 70, per poi declinare con i retaggi di un’educazione d’altri tempi). L’atelier di Asnières non dimentica, però: ancora oggi produce astucci per scacchi-carte-backgammon; trunk-casinò con tanto di roulette (da adulti, ma pur sempre giochi sono); e la doll-house in valigia per Vivienne, la mascottina del brand. Con la sua dotazione di trunk in scala, piccini ma identici a quelli “veri”. L’ART DU VOYAGE Fine Ottocento: Chaffeur, Wardrobe e Cabin. Anni 10 del Novecento: Autoski in Vuittonite
(una speciale super-tela trattata antitutto), Gran Turismo, più Steamer Bag. Anni 20: Aéro (per lui), Aviette (per lei), Restrictive (per lei e per i giovinotti high society che andavano a studiare dall’altra parte dell’Atlantico…) più Keepall. Nomi che inneggiano alla modernità. Louis intuisce i cambiamenti sociali, il figlio Georges lo segue: via le curvature; stress test sui materiali; grande fantasia degli interni, inversamente proporzionale all’essenzialità degli esterni. Dentro, tutto è possibile: soffietti, doppifondi, flaconi per eau de toilette cesellati a mano; fodere impregnate di essenze; 36 cassetti portascarpe (per l’attrice Lily Pons) o solo due (il baule-cilindro di Manolo, con solo un tubino nero à la Sex and the City e una coppia di sandali stiletto). E il bello è che da Louis Vuitton tutto può muoversi, viaggiare. Può farlo l’Enciclopedia Britannica? Sì, verso gli Usa nel 1911, nell’apposito cofanetto Monogram. E la coiffeuse con prezioso set di spazzole e pettini in avorio? Sì, Jeanne Lanvin se ne andò con lei in Egitto nei Roaring Twenties. Un baule può diventare scrivania, con macchina per scrivere da Nobel? Basta cercare negli archivi sotto Ernest Hemingway, affezionato cliente. E se è “quasi” normale che, aprendosi, si trasformi in letto da campo (per Pietro Savorgnan di Brazzà), resta mirabolante il suo farsi box-doccia verticale a energia solare, progetto di Jimmy Minodier per i 150 anni della Maison, con interno zincato impermeabile (ad Asnières, su ordinazione). Capitolo a parte le etichette degli hotel deluxe dove gli habitué erano soliti scendere: secondo GastonLouis, osservandone la disposizione, al centro, sui lati, a croce, si intuiva la personalità del proprietario: tirchio, antipatico ma generoso, distratto… Ma questa, insieme alle iniziali in forma di nickname o di rebus, è un’altra storia. Legata ai tempi in cui viaggiare era (ancora) un piacere.