Sui tetti di Parigi
di Manuel Campagna
Nei momenti
di difficoltà l’essere umano è storicamente stato capace di azioni straordinarie. Il lockdown per l’emergenza Coronavirus ha costretto il mondo intero a un periodo di reclusione forzata. Artisti compresi, che si sono ritrovati con un “new normal” da gestire. Il comune denominatore di queste e tante altre categorie di persone è la creatività che, nei giorni più bui, ha saputo dare, attraverso innumerevoli manifestazioni, un significato inedito al tempo. Abbiamo raggiunto telefonicamente Pierre Hardy, il direttore creativo delle calzature e dei gioielli della Maison Hermès. Ha iniziato a disegnare scarpe, stivali, stiletto e sneaker per la griffe nel 1990. La sua creazione iconica è il sandalo Oran, una ciabattina ultrapiatta che esalta la sensualità del piede nudo, coperto solo da un intreccio sul collo a forma di H. Un bestseller che si trasforma in ogni stagione. In oltre trent’anni di storia, Pierre Hardy ha saputo rinnovare costantemente la sua visione, grazie a un dialogo incessante tra passato, presente e futuro. Durante questo lockdown ha realizzato i bozzetti per gli accessori delle prossime collezioni con un iPad e un pennino, sul terrazzo del suo nuovo appartamento di Parigi. Saranno le scarpe con cui torneremo a camminare nelle vie delle nostre città. Quest’anno, poi, la Maison che crea oggetti del desiderio dal 1837 ha presentato il suo sedicesimo “mestiere”, la Beauté, con una prima collezione dedicata ai lipstick. E ha chiesto a Monsieur
Hardy di pensare il packaging del rossetto Rouge Hermès. Chic assoluto, ma ricaricabile.
Come è cambiato il suo lavoro in questo momento? Ora sto lavorando su un iPad. Disegno direttamente sul tablet, per tante ragioni. Innanzitutto mi sono appena trasferito in un nuovo appartamento, è successo appena prima del lockdown. Questo significa che non ho con me tutti gli strumenti consueti. Tanti attrezzi sono rimasti nello studio. Così ora uso questo device e me ne sono innamorato. È un mezzo molto veloce, diretto. Posso cancellare con un tap e rifare tutto da capo. Non sono un tipo da scrivania, non lo sono mai stato nemmeno da studente. Qui è tutto nuovo, proprio perché ho traslocato da poco, ogni spazio è da scoprire. Quindi, è perfetto. Non mi piace sedermi per lavorare e, soprattutto, non mi piace farlo nello stesso posto. Disegno dove capita. Ultimamente ho scoperto il balcone, con l’iPad appoggiato sulle ginocchia. Non ho bisogno di nient’altro. A Parigi sembra esplosa l’estate, è bellissimo. Che cosa serve a un accessorio per diventare iconico? Non lo si può predire. Sono sicuro che quando è stata creata la Kelly si pensava a una borsa che doveva diventare iconica, idem per la Birkin. Ho disegnato i sandali Oran 23 anni fa, non ci aspettavamo che diventassero un bestseller. Li immaginavo come un accessorio che doveva essere invisibile, discreto e allo stesso tempo molto forte, ed è diventato un bestseller per la Maison. Ma l’idea di partenza non era certo quella di creare un’icona. Sarebbe bello essere i depositari della formula del successo, ma è il pubblico che lo decreta: avviene quando il prodotto soddisfa un desiderio. La commistione tra il giusto design e la grandezza del desiderio crea un’icona, ma è davvero imprevedibile. Il successo crescente del sandalo Oran sta nell’equilibrio di essenzialità e semplicità, due caratteristiche che lo rendono senza tempo. La Maison Hermès ha nel Dna il gioco, che cosa significa per lei? Ci sono due aspetti importanti da prendere in considerazione. L’idea che la gente ha di Hermès e ciò che realmente è. Ed è lì che cerco di creare un ponte immaginario. Il mio lavoro mi porta a prendere ispirazione costantemente dall’archivio storico, tra pezzi così forti e ancora belli. Il mio processo creativo è un viaggio nel tempo tra le origini della Maison e il presente. Come si può trasformare qualcosa di qualità eccellente, appartenuto al passato, in un accessorio contemporaneo? Questa è la magia, la moda è anche trasformazione. Un’idea di ieri si trasforma in qualcosa di bello oggi ma, allo stesso tempo, deve sapersi proiettare nel futuro. Accessori, gioielli e anche beauty: c’è un approccio creativo per ogni settore? Il punto di partenza resta lo stesso? C’è sicuramente una primissima fase iniziale uguale per ogni settore. Tutto parte dalla creatività, da un’intuizione. Una cosa tanto semplice quanto difficile da esprimere al meglio. Disegno, lo faccio molte volte fino a dare una forma esatta a quell’idea apparsa nella mia mente, per spiegare anche a me stesso una fantasia arrivata tra i pensieri. Superato questo primo step, mi interfaccio con i relativi team, e con tecnologie differenti, e poi partono i processi di realizzazione. Per il packaging del rossetto Rouge Hermès è stato diverso, anche perché era la mia prima volta. È stato come ricominciare da capo, mi sono approcciato a qualcosa di completamente nuovo. Il risultato finale ha richiesto tempo: per rendere concreta la mia idea e, soprattutto, ciò che avevo immaginato per Hermès. Dopo diversi anni passati in una Maison come ci si rinnova, mantenendo forte l’identità del brand? Con il tempo è diventato un processo naturale. Come per un attore, che ogni sera va in scena con la stessa opera: il meccanismo è uguale ma la rappresentazione non è mai la stessa. Dopo diversi anni impari a conoscere meglio le forme e loro conoscono te. Gli archivi sono infiniti, ne prendo ispirazione poco alla volta, da diverse collezioni. Le risorse sono illimitate. Lavoro sempre pensando che, un domani, ciò che stiamo creando oggi farà parte del vocabolario di Hermès. È un processo divertente, specialmente per me: se non disegnassi per Hermès, non sarei uno che guarda così tanto al passato, sarei più nel presente o decisamente proiettato nel futuro. Poprio per questo, è una vera sfida.