Nick tra le stelle
A TU PER TU CON NICOLÒ CERIONI, LO STYLIST E DIRETTORE CREATIVO CHE SI CELA DIETRO AI LOOK MAGNETICI DI ACHILLE LAURO, ALLE GIACCHE SCIAMANICHE DI JOVANOTTI, E NON SOLO. PERCHÉ, QUANDO L’ABITO LO SCEGLIE LUI, È TUTTA UN’ALTRA MUSICA
di Benedetta Rossi
Dalle notti
al Plastic al palco dell’Ariston, passando per la New York post 11 settembre, Mtv, i camerini di X Factor e due grandi amori: suo marito Leandro (con cui ha fondato la casa di produzione Sugarkane) e Madonna. Nicolò Cerioni è il geniale, e gentile, stylist che lavora con importanti personaggi dello spettacolo italiano, sia sui look sia nella produzione di video e copertine. Uno che osa. Un creativo con un approccio indipendente che affonda il modus operandi nell’immaginario del punk, del rock e del glam (senza disdegnare incursioni camp). Contemporaneo e ricettivo, basa il suo lavoro su una forte connessione con l’artista. Con fiducia, ispirazione e fantasia. E una buona dose di coraggio. Quando ci si lancia con Nick, non c’è rete di protezione. In attesa che il mondo dello spettacolo riparta, lo abbiamo intervistato per capire come è nata la sua professione, come ha incontrato i nomi con cui collabora. E come ha portato la Marchesa Casati sul palco dell’Ariston.
Un suo ricordo di quando era giovanissimo?
A New York nel 2001, dove ero andato per studiare. Stavo alla fermata di Fulton street. Ero vicinissimo a Ground Zero. Ho in mente ancora un gigantesco cumulo di macerie e un odore acre. E la mia casa piena di macchie bianche: era l’amianto che si andava a sedimentare. Sono rimasto un anno in quella New York ferita.
Che studi ha fatto?
Dopo New York sono andato a Milano, per frequentare lo Ied. La moda mi piace, ma l’ho sempre pensata come indissolubilmente legata alla musica.
Che cosa significa per lei la musica?
Una passione totalizzante. Si badi bene: io non ho alcun talento musicale, non so suonare nessuno strumento, ma la musica per me è un’ispirazione infinita. Sono da sempre un fan sfegatato di Madonna. Amo anche il rock di Marilyn Manson, Placebo, The Smashing Pumpkins. Sono stato un ammiratore della prima Carmen Consoli, dei Bluvertigo, andavo pazzo per l’elettronica degli Anni 90, il trip hop dei Portishead…
La sua cifra distintiva?
Le grandi dicotomie. Lo spiega bene l’amore che ho per Madonna: per me lei è un mito, perché è stata pop usando metodi punk nel suo modo di affermarsi come artista mondiale. Nelle mie ispirazioni c’è sempre questo contrasto.
Come si diventa stylist di musicisti?
Per caso. O forse per destino. Non mi sono mai sentito parte del mondo degli stylist dell’editoria italiana: non ero trendy nell’accezione milanese, non ero fighetto, non aspiravo a diventare borghese a tutti i costi. E non riuscendo a trovare una quadra, non trovavo nemmeno lavoro. Nessuno mi voleva! Non sono mai riuscito a fare l’assistente dei fashion editor, con cui avrei voluto
interagire. I miei primi anni milanesi li ho passati così: cercando un’occupazione. La notte ero quello che si dice un “club kid”. Habitué del Plastic, storico locale notturno di Milano, ho forgiato la mia estetica lì. La sera, prepararsi un look, letteralmente con il niente, era la norma.
E poi?
Poi è arrivata Mtv o, meglio, gli ultimi anni tradizionali di questa tv, quelli con i video, le trasmissioni musicali, gli ospiti. Ma la svolta è stata un viaggio a Los Angeles con mio marito Leandro Manuel Emede, che è un fotografo.
La Città degli Angeli porta fortuna a molti.
Quello che ci è successo ha dell’incredibile. Sapevamo che Jovanotti era in città e così gli abbiamo scritto su Twitter, proponendogli un progetto. Lorenzo ci ha risposto, subito. Gli abbiamo spiegato che avremmo voluto riprendere i suoi concerti per farne un corto, che poi gli avremmo regalato. Lui non solo ha accettato, ma ci ha tirati dentro nel suo mondo. Non gli sarò mai riconoscente abbastanza. Una persona esplosiva, un artista generoso e instancabile. È grazie a lui se abbiamo iniziato a lavorare. Da lì si cambia “musica”. Arrivano Laura Pausini, con cui avete collaborato in passato, i look per X Factor, la consulenza a Pierfrancesco Favino. E con Achille Lauro come è andata? Lauro è arrivato in modo strano. La trap mi affascinava e, quando il tour manager mi ha invitato a conoscerlo, lui mi ha colpito molto. Ho visto in Lauro un enorme potenziale inespresso dal punto di vista dell’immagine. In lui ci sono tutti i contrasti folli che amo: ha questa apparenza pasoliniana, è pieno di tatuaggi, ma è a modo suo elegantissimo. Un uomo intenso, profondo, ma con una sua leggerezza. È allo stesso tempo “segnato” e innocente. Ci siamo trovati, scatenando una bella alchimia. Gli dissi che mi ricordava la Marchesa Casati. Con un talento non solo eccentrico, ma da opera d’arte visiva. Ho fatto grandi lotte per portare la Marchesa sul Palco dell’Ariston! E avevo ragione.
Com’è nata l’avventura con Gucci?
All’inizio molte case di moda, quando avanzavo delle richieste per vestire Lauro, storcevano il naso. Poi, siamo entrati in contatto con il team di Gucci, che ha capito subito il senso del nostro discorso. Alessandro Michele ha voluto impegnarsi personalmente nel progetto, addirittura perfezionando la nuance di verde del suit indossato a Sanremo e ispirato a Life on Mars di David Bowie. Gran parte del lavoro è stato fatto su misura da sartorie storiche italiane, i maestri dell’Haute Couture. I ragazzi del team di Gucci sono stati straordinari con noi. Hanno arricchito in maniera inestimabile il progetto, rendendolo unico. E poi la Casati: vederla realizzata in quel modo sul palco è stato un cerchio che si chiudeva. Da lì in poi se n’è aperto un altro, fondamentale. Credo che ci sia un prima e un dopo questo nostro Sanremo. Ci siamo accorti che c’è ancora spazio per chi vuol realizzare una performance, come un tempo facevano Bertè, Oxa, Pravo.
Avete scatenato un vero dibattito sui social con quei look…
A me ha sorpreso molto. E in questo i social hanno mostrato la loro faccia più bella: dare alla gente l’opportunità di esprimere delle proprie letture. Erano posizioni femministe, contro il patriarcato, sulla parità di genere, oltre la mascolinità tossica. Il pubblico parlava “per noi” di cose profondissime. In tre minuti, grazie ad abiti, make up e gesti, abbiamo comunicato qualcosa.
Dove sta la differenza tra l’avere una buona idea di styling e metterla in pratica?
Nel poterlo fare. Ho collaborato con tanti artisti. Puoi avere ottime intuizioni, ma se non hai un manager che ti dice: “Ok Nick, prendiamoci questo rischio”, non si fa niente. Con Lauro a Sanremo l’ho visto subito: sarebbe potuto essere un trionfo o un disastro. Non c’era via di mezzo.
Tra i nuovi progetti, c’era il nuovo tour di Lauro. Oggi siamo in una fase di speranza, ma la musica live è ancora ferma. Com’è cambiato il suo lavoro?
La distanza lo rende ovviamente complesso, ma non impossibile. Con Achille Lauro e il suo team ci sentiamo quotidianamente per la creatività e per la parte pratica dei prossimi step. Stiamo comunque lavorando. Il video della canzone 16 marzo è nato proprio così. Non è possibile fare fitting ora, molte aziende sono chiuse, però con altri artisti abbiamo creato dei moodboard e iniziato a pensare a nuove idee. È lo stesso un periodo stimolante. La creatività non si ferma mai.