Amica

Dico quello che penso

- Di Roberto Croci

Parola di un’attrice coraggiosa che, non a caso, ha fondato la casa di produzione Rebel Park. Perché l’inglese Gemma Arterton, impegnata nella difesa dei DIRITTI DELLE DONNE, si è sentita ripetere spesso che era troppo grassa o che non sapeva muoversi. Ma ora STUPISCE TUTTI interpreta­ndo l’agente segreto più powerful e atletico che ci sia

INTREPIDA, difficile, perché le sue battaglie per promuovere più ruoli femminili sono considerat­e scomode in un panorama cinematogr­afico ancora dominato da uomini. E perché dichiara sempre quello che pensa. Comunque la si definisca, Gemma Arterton, inglese del Kent, nata a Gravesend 35 anni fa, che sei mesi dopo la laurea alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra ottiene il ruolo di Bond Girl in Quantum of Solace di Marc Forster e, due anni più tardi, stupisce con la commedia Tamara Drewe-Tradimenti all’inglese, targata Stephen Frears, è una rivoluzion­aria, costanteme­nte impegnata nell’empowermen­t femminile e in lotte di inclusione soprattutt­o nel mondo del cinema.

Lo dimostra anche nel suo ultimo ruolo, Polly, nel nuovo capitolo di The King’s Man - Le origini, il racconto sugli inizi della famosa agenzia di intelligen­ce britannica, diretto da Matthew Vaughn e in uscita prossimame­nte, dove lei è una Bond e non una delle tante Bond Girl. Come racconta ad Amica.

In che modo descrivere­bbe Polly?

È tra i membri fondatori dei Kingsman, l’equivalent­e del ruolo di Colin Firth dei film precedenti. È il cervello dietro tutte le operazioni, capace di decodifica­re ogni tipo di messaggio, un cecchino con le armi da fuoco,

un combattent­e all’arma bianca... in realtà è un agente segreto donna. La storia è singolare, diversa dagli altri film della serie. Ambientata tra il 1914 e il 1919, il periodo drammatico della Prima guerra mondiale, annovera personaggi molto interessan­ti, tra i quali Rasputin, interpreta­to da Rhys Ifans, grazie a cui viviamo momenti comici, non solo tragici.

Uno dei motivi per cui ha accettato di interpreta­re un agente segreto?

Matthew Vaughn mi ha detto che mi vedeva come il primo Bond femminile e questo ha attratto la mia attenzione perché, al contrario delle Bond girl, Polly ha una storia da raccontare, non è una statuetta, non è solo sessuale. E poi come avrei potuto rifiutare tutte le scene di azione, proprio io che da bambina ero una ginnasta? Mi sono divertita un mondo a recitare in modo così dinamico, raramente capita a noi donne.

Sapeva che sarebbe diventata attrice?

No! La mia bisnonna era violinista, dai lei ho ereditato l’attrazione per il palcosceni­co ma sono cresciuta in una famiglia umile, nessuno avrebbe mai pensato a una carriera in questo campo, noi dovevamo lavorare, non c’era posto per i sogni. Non ho mai creduto che recitare potesse essere la mia strada, finché non ho avuto il supporto dei miei insegnanti, che hanno convinto i miei genitori.

Come seleziona i suoi ruoli?

Prediligo donne dalla mentalità indipenden­te perché è importante fare più film in cui si lascino impronte positive. Gli Stati Uniti hanno eletto una donna come Vice Presidente, per le prossime generazion­i non sarà un’eccezione ma uno standard. Ecco perché ho creato Rebel

Park, una mia società di produzione.

Che genere di film mette in cantiere?

Tutte quelle storie con protagonis­te femminili su cui nessuno vuole investire, di donne, con donne, anche dietro le quinte. E per gli uomini che ci capiscono! Perché il 50 per cento del nostro lavoro di emancipazi­one lo dobbiamo a loro.

Le pellicole preferite da bambina?

Amavo Gene Wilder in Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, l’avrò visto almeno cento volte. Era come vivere in un sogno. E Julie Andrews in Mary Poppins, così bella, sapeva cantare e ballare. Poi da ragazzina ho scoperto Björk in Dancer in the Dark. È stato il colpo di fulmine che mi ha convinto a voler sfondare come attrice.

Contenta delle scelte profession­ali?

No, non sempre, perché qualcuna è stata dettata dal fatto che non avevo soldi e quindi non avevo scelta. Era l’unico modo per sopravvive­re, ma sono errori che non ripeterò mai più.

Me ne dica almeno uno.

“GLI ANNI PASSANO E QUESTO PER ME SIGNIFICA ESSERE PIÙ SAGGIA MA ANCHE PIÙ RIVOLUZION­ARIA. SE NON LAVORASSI A HOLLYWOOD, AVREI FATTO LA PITTRICE”

Bond. Non mi fraintenda, sono grata a quel film perché mi ha aperto molte porte, però l’ho accettato solo perché avevo 22 anni e dovevo pagare i debiti fatti per studiare. Poi, va detto, nessuno rifiuta mai una parte in Bond. Adesso non lo rifarei, proprio perché voglio che i ruoli femminili che scelgo abbiano una storia da raccontare. Lavoro anche per diffondere un messaggio.

L’audizione più insolita?

Nessuna in particolar­e e tutte, se vogliamo. Mi hanno chiesto spesso di perdere un paio di chili anche quando non ne avevo bisogno e di essere meno maschio, oppure mi davano suggerimen­ti su come vestirmi o come muovermi. Fortunatam­ente, dopo #MeToo e Time’s Up, nessuno si azzarda più a dire sciocchezz­e del genere.

Molte attrici lavorano poco dopo i 40 anni. Lei ha paura dell’età che avanza?

No, perché produco quello che voglio e per me invecchiar­e non è un fattore negativo, significa essere più saggia, più sapiente e anche più rivoluzion­aria. Prendo a esempio mio nonno che, anche quando aveva passato i 90, era sempre glamour ed elegante, dimostrava metà dei suoi anni. Era affascinan­te come Clark Gable, divertente, con la battuta pronta. Quello per me è lo spirito, l’età non conta quando hai personalit­à, a quel punto sei immortale.

Quando non recita, come passa il tempo libero?

Disegno e dipingo, è la mia passione. Se non fossi diventata attrice avrei fatto la pittrice, anche se forse non avrei avuto lo stesso successo. Chi può dirlo? Come diceva Charles Bukowski, la pazzia è relativa.

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