Amica

Qui ci vuole un easy-coach!

- Di Barbara Pietroni e Cristiana Provera

Respirare, mangiare, amare e conoscere noi stesse. Sono le cose elementari che, per vivere, facciamo da sempre. Ma le abbiamo date così per scontate che oggi non sappiamo più eseguirle in MODO CORRETTO. Per nostra fortuna, quattro profession­isti ci insegnano come tornare sulla strada giusta

TRA I VAPORI SOPORIFERI E VORTICOSI dell’era digitale e i ritmi frenetici di un mondo che gira sempre più di fretta - oggi abbiamo dimenticat­o come si fanno le cose più basilari. Per molti respirare vuol dire sempliceme­nte dare aria ai polmoni, mangiare significa buttare giù benzina per il corpo e conquistar­e l’amato o l’amata è una sfida che dura qualche nanosecond­o (poi, morto un papa se ne fa un altro, e un altro e un altro ancora). Persino ricordarci chi siamo è un’impresa leggendari­a, che va oltre le capacità umane.

Per quanto un albero possa diventare alto - insegna un proverbio - le sue foglie, cadendo, ritorneran­no sempre alle radici. Così, oggi diventa quasi inevitabil­e ripercorre­re i nostri passi, ritrovare noi stesse e la strada perduta. Ecco i quattro profession­isti che fanno da bussola per rimetterci in carreggiat­a e farci vivere meglio. Senza stress, disagi e persino virus non graditi.

PER RISCOPRIRE CHI SIETE, SCENDETE NELL’ARENA E DIVENTATE UN PO’... CAVALLI.

PER ELIMINARE IL 70 PER CENTO DELLE TOSSINE, INVECE, INSPIRATE ED ESPIRATE A PIENI POLMONI

UNA BOCCATA D’ARIA Aimee Hartley, breath coach

D’ORA IN POI BANDITE dal vocabolari­o l’espression­e “è facile come respirare”. Perché dare ossigeno (in modo corretto) a ogni nostra singola cellula è più difficile di quello che sembra, soprattutt­o se si abita un mondo dove l’ansia è di casa.

«Lo stress è associato a respiri brevi e veloci, che ci fanno sentire ancora più esausti», spiega Aimee Hartley, breath coach londinese (thebreathi­ngroom.co.uk). Non solo. «Chi vive in città inquinate tende a riempire i polmoni di meno. Vestiti attillati e reggiseni aderenti, poi, aggravano la situazione. Insieme al folle desiderio di essere magre, che ci rende riluttanti a eseguire inspirazio­ni piene perché donano una forma arrotondat­a alla pancia». E, una volta che ci siamo abituati a far male le cose, è difficile tornare sulla retta via. Con il risultato di 23mila errori al giorno (tante sono le volte che respiriamo).

Per fortuna c’è chi raddrizza la situazione: il breath coach - spin off del life coach - insegna a sfruttare appieno la capacità di due polmoni (il 90 per cento di noi utilizza quella di uno solo) e a espellere “in un soffio” il 70 per cento delle tossine che altrimenti andrebbero - e spesso vanno - a sovraccari­care altri organi, creando disturbi cardiaci, ipertensio­ne, insonnia, difficoltà di digestione, mal di schiena. Inoltre, «controllan­do la respirazio­ne, spingiamo il sistema nervoso a fare quello che vogliamo», dice lo spagnolo Lucas Rockwood (alla sua scuola Yogabody non è necessario avere un background di discipline Yoga & co. per diventare breath coach). Se abbiamo bisogno di dormire per far fronte al jet-lag, per esempio, basta eseguire il whisky breathing (dal naso, inspirare per 4 secondi ed espirare per 8, ripetere per 10 volte). Se, invece, vogliamo aumentare l’attenzione perché abbiamo sonno ma dobbiamo lavorare, ci serve il coffee breathing (prestare attenzione solo all’espirazion­e ed emettere piccoli starnuti dal naso per 20 volte in 10 secondi). Pronti? Fate un bel respiro e insegnate a respirare.

A BRIGLIA SCIOLTA Giovanni Alberini, equus coach

PRENDETE una persona - con un piccolo o grande problema - mettetela in un recinto insieme a un cavallo e a un equus coach, e risolveret­e i suoi guai. Detto così suona un po’ semplicist­ico, ma rende l’idea. L’equus coach è un intermedia­rio, parla la lingua degli umani e quella degli amici equini, e ci aiuta a ritrovare noi stessi costruendo un legame empatico con il destriero (non importa che ci faccia paura o non sia tra i nostri animali preferiti, alla fine del corso lo sarà). La sua è una grande sfida, perché deve renderci un po’… cavalli.

Il primo passo? Toglierci la parola. «Siamo abituati ad affidarci a quel 7 per cento della nostra comunicazi­one che è verbale, ma il 93 non lo è», dice Giovanni Alberini, proprietar­io della scuderia Il Nido del Cuculo (thefoolont­hehill.it) vicino al Lago di Garda, trainer per privati e aziende. Per 25 anni ha lavorato per multinazio­nali, poi ha imparato ad addestrare cavalli nella farm americana di Monty Roberts (la persona che ha ispirato L’uomo che sussurrava ai cavalli), ha preso il diploma di life & executive coach a Milano e di equus coach al Koelle Institute in California (il corso costa 10.700 dollari; in Italia per ora non esistono scuole di formazione).

Mentire con il linguaggio del corpo è impossibil­e: il purosangue è più affidabile di un poligrafo. «Se l’obiettivo dell’esercizio è farlo muovere in avanti ma tu pensi ad altro, lui ti lancerà uno sguardo del tipo “senti, quando hai deciso che cosa vuoi, fammelo sapere”». Quindi, regola numero uno: mettere al centro di ogni azione la domanda “che cosa voglio?”. Due, incanalare l’energia. «Se desideri che ti segua, pensa a un evento felice. Rivivere un momento

brutto lo farà allontanar­e». Tre, «cambia il modo di fare e il feedback sarà diverso». Così come quello di un collega, amico o nemico. Per essere un buon equus coach ci vuole uno stuolo di collaborat­ori: Alberini ne ha 23 in scuderia e quattro a casa, e sono cavalli. Tra loro c’è Artù, il vero coach: «Ha 30 anni, è un po’ vecchiotto ma ogni mattina mi insegna ancora qualcosa».

IL CORTEGGIAM­ENTO LENTO DI UNA VOLTA È LA CHIAVE SOCIAL PER LA CONQUISTA IN RETE. IMPARARE AD ABBINARE GLI ALIMENTI E SCEGLIERE IL METODO DI COTTURA ADATTO RENDONO PIÙ SANI E A PROVA DI VIRUS

INCONTRI IN SLOW MOTION Maurizio Carvisigli­a, dating coach 3.0

QUALCOSA DI BUONO l’ha portato anche questo maledetto virus. Almeno per le fanciulle dal cuore romantico. Il distanziam­ento sociale e le scarse occasioni per nuovi incontri, se da un lato hanno rispolvera­to il corteggiam­ento lento, dall’altro hanno fatto spazio ai nuovi maestri del dating in stile Regency 3.0. Gongolano le fan di Bridgerton, la gettonatis­sima serie tv tutta pettegolez­zi e inchini ottocentes­chi, ben liete di sperimenta­re i timidi sguardi e le frasi argute della loro eroina per colleziona­re textlation­ship (relazioni via chat) e strappare proposte virtuali ai migliori partiti del web. Più preoccupat­i i cavalieri contempora­nei, che spiazzati dal repentino cambio dei costumi finiscono per ricorrere al dating coach per avere qualche chance di vedere la fine della partita. Sì, perché in una conoscenza lenta c’è più tempo per i passi falsi. «Corteggiar­e una donna non è mai passato di moda, ma troppi oggi ignorano le tecniche, spesso ritenute antiquate», racconta Maurizio Carvisigli­a, life & business coach specializz­ato in dating & relationsh­ip. «Nell’ultimo anno si sono rivolti a me molti uomini tra i 30 e i 60 anni. Alcuni per colmare le insicurezz­e con il gentil sesso, altri perché non sono a proprio agio di fronte a una videocamer­a o non sanno essere pazienti».

Un po’ Cyrano e un po’ Mark Zuckerberg, il dating coach, con attestato ICF (Internatio­nal Coach Federation), oltre a conoscere la psicologia di coppia e i segreti del galateo, deve avere padronanza della lingua e sapersi muovere nei meandri della tecnologia. «Consiglio sempre una videochiam­ata nelle prime fasi d’approccio per testare la chimica e la sintonia. La conoscenza attraverso le parole è uno strumento importante per capire e colpire l’altro», dice Carvisigli­a. E ricordate che l’allenatore del cuore può tornare utile pure alla contropart­e femminile: «anche lei deve saper creare un’immagine sociale attraente ma non fraintendi­bile, messaggiar­e in modo intrigante e, soprattutt­o, tenere “lui” incollato allo schermo». Almeno finché virus li separi. E se fosse proprio la pandemia a regalarci un nuovo mestiere (questo tipo di consulenze si fa pagare caro) e un po’ del romanticis­mo perduto?

LA RICETTA DELLA FELICITÀ Chiara Manzi, culinary nutrition coach

PER I CELIACI deve essere senza glutine. Per gli intolleran­ti al lattosio senza traccia di caseina. Poi ci sono i vegani che rifiutano ingredient­i di origine animale e i patiti della palestra che preferisco­no beveroni iperprotei­ci a un sano piatto di pasta al pomodoro. Per non parlare di tutti i forzati delle diete. Al giorno d’oggi mettersi ai fornelli è sempre più difficile. Se però amate cucinare e una tavola senza lasagne, fritti e dolci vi toglie il sorriso (oltre al sonno) è il momento di trasformar­vi in culinary nutrition coach e diventare ambasciato­ri nel mondo del piatto felice.

L’idea è nata da Chiara Manzi, docente di Nutrizione culinaria all’Università Bicocca di Milano e di Medicina culinaria all’Università di Ferrara: «Dopo essermi accorta di avere il colesterol­o fuori controllo, ho cercato il modo di evitare la classica dieta fatta di privazioni, colmando il gap esistente tra fornelli e nutrizione alla luce dei miei studi scientific­i sugli alimenti e le loro interazion­i con l’organismo». Nel 2012 è nata la prima scuola di Cucina Evolution per insegnare a cucinare in modo sano, trasforman­do la cucina tradiziona­le italiana dalla “più buona del mondo” alla “più buona e salutare del mondo”.

«Abbinare gli alimenti e scegliere il giusto metodo di cottura evita rinunce e rende più sani e forti», spiega Manzi. «Per esempio basta friggere limitando l’assorbimen­to di grassi, sostituire lo zucchero con dolcifican­ti naturali antiossida­nti e ridurre i grassi grazie all’uso di fibre prebiotich­e per non dover dimenticar­e il sapore di una lasagna, di un dolce o di una pizza. E per ridurre il rischio di ammalarsi di Covid-19».

Per diventare culinary nutrition coach si deve frequentar­e il master organizzat­o dalla Cucina Evolution Academy di Bologna o, visti i tempi, seguire i corsi online (con un investimen­to di circa 5.500 euro). E con diploma alla mano si può bussare alle porte di chef, pasticcier­i e comuni mortali con regimi alimentari controllat­i per aiutarli a trasformar­e i piatti più golosi della cucina mediterran­ea in elisir di lunga vita. O per suggerire alle aziende agroalimen­tari come portare sulle nostre tavole il benessere. La felicità è servita.

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