Amica

D’AMORE E DI ACCORDI

L’uomo delle note diventa attore. In un docu-film, FRANÇOIS DEMACHY, il Naso che ha inventato i profumi bestseller di Dior, si mette in scena. E parla di aromi studiati per i bovini, di Grasse, terra di GELSOMINI E NIGHT CLUB, di una moglie Diva. E svela

- Testo Carla Ferron

COME IN OGNI film che si rispetti, c’è anche un po’ di sesso. E ce lo mette lui, l’attore protagonis­ta, accennando agli organi sessuali dei fiori: «È un aspetto importante. Siamo mammiferi... ci fa sognare». Il lui in questione è, a sorpresa, François Demachy, parfumeur-créateur di Dior. L’uomo che ha inventato una manciata di versioni di Sauvage, Fahrenheit, Dior Homme e Miss Dior ha accettato di raccontare il suo lavoro e di interpreta­re se stesso in Nose. Uno smell good movie, che è anche un road movie: il film segue Demachy in 14 Paesi, lo ritrae nella sua Grasse, nella contea di Clare in Irlanda, popolata di cani a caccia dell’ambra grigia, nello Sri Lanka a costruire una nursery per il fragile legno di sandalo o sempliceme­nte seduto a una scrivania disordinat­a («ma so dove trovare tutte le prove dei miei progetti», rassicura lui). Ne documenta l’attività con i coltivator­i, con le testimonia­l delle sue fragranze e altri attori della filiera, a cui confida segreti («uso in media tra i 15 e i 50 ingredient­i») e ricordi sui primi lavori. Come l’aroma preparato per stimolare i bovini e Diva di Ungaro, creato con Jacques Polge, pensando «alla moglie». Nell’intervista a seguire, altre rivelazion­i.

COME UN INDIANA JONES, DOPO TRE GIORNI DI VIAGGIO, HA TROVATO IN INDONESIA LA SUA “ARCA”: I CAMPI DI PATCHOULI. E NE HA POTUTO ANNUSARE LE FOGLIE VERDI. CON CUI OR A FA DELLE PROVE

Scherza o dice il vero, quando nel film sostiene di aver fatto il Naso perché è un lavoro che piace alle donne?

No, no, no, non è così... (ride e si tocca imbarazzat­o l’orologio, ndr). È fuor di dubbio, però, che le donne ispirano ogni forma d’espression­e.

Di scena in scena, la vediamo all’opera tra gli agricoltor­i di Grasse e le attrici al Festival di Cannes. Qual è il luogo che aiuta meglio a capire il suo lavoro? E dove si sente più a suo agio?

Stare in mezzo alle attrici fa sempre colpo, perché si guarda a quel mondo come a qualcosa di inaccessib­ile e di esclusivo. Ma il mondo reale, per me, è nella natura. Preferisco stare lì che non sul tappeto rosso.

A proposito di natura, c’è un episodio del film in cui sembra calarsi in un’avventura all’Indiana Jones: quando ha raggiunto i campi di patchouli in Indonesia con un viaggio di tre giorni. Ci racconta come è andata davvero?

È stato davvero un lungo viaggio. Dopo un primo volo tradiziona­le, ce n’è stato un altro su un piccolo aereo, atterrato nel verde, a cui sono seguiti i trasferime­nti sulle jeep per raggiunger­e la montagna. Non c’erano strade, ma sentieri. Il resto del tragitto è avvenuto a piedi. Ricordo il caldo, l’umidità, e, quando dopo tutte quelle peripezie siamo arrivati alla meta, è stato strano e curioso insieme.

Che cosa le è rimasto di quella esperienza?

La verità. Il patchouli è una materia prima che non si dà subito, bisogna andarla a cercare. Ne ho potuto annusare le foglie verdi, un privilegio, perché di solito si lavora con quelle già essiccate. Non avevo mai sentito il patchouli fresco, mi avevano raccontato del suo aroma, ma l’ho trovato differente, meno potente, è “un altro odore” di patchouli. Con quelle foglie fresche ho fatto delle prove, al momento non si sono ancora tradotte in qualcosa di specifico, ma ci sto lavorando.

Nel film la vediamo anche in Calabria...

Amo il sud dell’Italia, in particolar­e adoro Siracusa, mi dico sempre che è là che passerò gli anni della pensione. Ma in Sicilia ci sono troppi turisti, in Calabria non è così. Mi ha stupito come la cultura del bergamotto lì fosse poco conosciuta: nonostante l’Italia ne sia il primo produttore al mondo e vanti la migliore qualità, i coltivator­i non lo sapevano. Li ho invitati in un agriturism­o vicino a Reggio, per mostrare loro a che cosa

serve la loro materia prima.

Personalme­nte, ho trovato che la parte più intima del film sia quando racconta invece dei night club della sua Grasse.

Ero giovane. Quando da Cannes e Antibes, le zone dei night club, rientravo a casa a Grasse, che è nell’entroterra, attraversa­vo dei campi di gelsomino, e il suo profumo mi ha sempre sedotto. Oggi quelle terre non sono più sfruttate e ci sono delle proprietà. Però mi basta passare ancora tra i gelsomini, al mattino presto, per ritrovare quell’odore.

Davanti alla telecamera si è emozionato?

All’inizio è stato imbarazzan­te, sentirsi osservati lo è sempre. Col tempo - le riprese sono durate più di due anni - la cosa è diventata più normale, anche se talvolta mi è capitato di dire “stop, così è sufficient­e”.

Quando si rivede sullo schermo, si piace?

No, non è il mio mestiere, non ci si improvvisa attori.

Si aspetta dei commenti da parte dei suoi colleghi?

Non sono io a chiederli. Mi dicono che sono molto riservato, che non mi spiego abbastanza. Ma non posso spiegare un profumo, è un problema anche semantico: non esiste un vocabolari­o abbastanza descrittiv­o per raccontarn­e le emozioni. Il mio modo di esprimermi su un profumo è farlo.

INSIDER

Come un Virgilio delle note, François Demachy, parfumeur créateur Dior, svela in 70 minuti “The most secret job in the world”, come recita il sottotitol­o della locandina di Nose (sopra). Il film, diretto da Clément Beauvais e Arthur de Kersauson, è su Amazon Prime.

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