La sevillana
La sevillana
Ovale perfetto da Nefertiti e un innato senso dell’eleganza, la spagnola Naty Abascal è stata una delle MODELLE-ICONA dei Seventies. Idolatrata da fotografi, créateur di moda e scrittori, a 77 anni si diverte ancora. Disegnando pigiami couture
U«ANDAVO SPESSO AI PARTY NELLA FACTORY DI ANDY WARHOL. ERO AMICA ANCHE DI BASQUIAT»
NA TUTA LEGGERISSIMA, dipinta con schiuma da barba e schizzi di pittura. Gli accessori? Un giglio sulla fronte e una pastiglia di Alka-Seltzer all’ombelico. Un look fin troppo originale per la moda del 1974… se non fosse che a crearlo per una pubblicità fu Salvador Dalí, disegnando sul corpo dell’icona di stile Naty Abascal. «Dalí era già un amico. Quando mi propose questo progetto, ero pazza di gioia. Finito il primo video disse ‘andiamo a pranzo!’. Al ristorante la produzione ci chiese di rientrare, ma per lui il lavoro era fatto. E così organizzammo una festa in hotel».
Con le sue parole inizia un viaggio nell’Olimpo della mondanità. La giovinezza di Natividad (Naty) Abascal potrebbe rientrare nei miti che ancora ci conquistano, raccontando le gesta di “eroi” che hanno posto le basi della storia del costume. Un mondo svelato in Naty Abascal. The eternal muse inspiring fashion designers (Rizzoli, New York): amarcord e ritratti di haute couture, pronti a dimostrare come il suo originale senso dello stile sia sempre stato spontaneo. Forse, già da bambina.
Sua madre inaugura la prima boutique di Siviglia, dove Naty e la sua gemella Ana-Maria, nate nel 1943, scoprono la moda. Il momento più atteso? La primaverile Feria de Sevilla. «Dovevamo vestirci uguali. Ogni anno discutevamo per la scelta del tradizionale abito sivigliano a lunghe balze! Non sapevo che, più avanti, lo avrei rivisto interpretato da couturier come Saint Laurent, Christian Lacroix, Ungaro o il mio caro Oscar de la Renta».
E intanto Naty cresce, senza troppi progetti per il futuro: quelli, racconta, non erano ancora tempi in cui le ragazze pensavano a sviluppare i propri talenti. Ma per donne come lei, il destino ha sempre un occhio di riguardo. È l’amico e designer spagnolo Elio Berhanyer a chiamare le due gemelle per una sfilata a New York. Il loro fascino intriga l’obiettivo del grande fotografo Richard Avedon, che le ritrae scatenando la curiosità della rivista Harper’s Bazaar. Dopo qualche mese, Avedon parte per realizzare un servizio fotografico a Ibiza, The Iberians. Protagoniste, Naty e Ana-Maria. «Dall’America mi telefonavano: “Sei pazza a non tornare, hai i fotografi ai tuoi piedi!”. Ho detto ai miei genitori che sarei stata via una settimana, sono tornata dopo due anni e mezzo. Firmai con Eileen Ford, titolare della più grande agenzia di modelle. Inizialmente mi ospitò, non avevo quasi nulla con me. Mia sorella, invece, scelse di dedicarsi all’arte».
Nel 1965 Naty appare sulla sua prima copertina, contribuendo a creare il fenomeno delle modelle-icona. Non leggiadre bellezze perfette per le sfilate, ma donne di carattere come Veruschka, Jane Shrimpton e Lauren Hutton, che conquistano la stampa internazionale. «Le conoscevo
tutte. Io però ho scelto pochi stilisti, sono rimasta fedele ai miei amici. Primo fra tutti Valentino». Si incontrano a una cena nel 1968, dove nasce un legame stretto che dura ancora; per lui Naty vola da New York a Roma, sulle passerelle dell’alta moda di luglio.
«Mi trattenevo per l’estate, a Roma si stava così bene… E poi arrivava settembre, giusto il tempo di tornare a sfilare per il prêt-à-porter! Partivo dall’America carica di cose un po’ pazze. Lui mi chiedeva di abbinare i suoi capi, studiava le mie scelte con curiosità». Circondata dal bel mondo intellettuale, nei favolosi Seventies alterna la moda a musei e librerie. «Ancora oggi l’altra metà del mio letto è occupata da libri, ma leggo anche eBook. A quel tempo però non c’era internet, niente cellulari. Trovarsi con grandi scrittori e artisti permetteva di acquisire conoscenze impagabili… Il modo di ascoltare e parlare era diverso. Niente Wikipedia su cui cercare, solo pura genialità. Penso di avere una memoria di ferro anche per questo! Non ho mai perso un attimo di quei momenti».
NEL FRATTEMPO WOODY ALLEN la chiama a Puerto Rico per il suo film Il dittatore dello stato libero di Bananas nel 1971, anno in cui Naty conquista la copertina di Interview di Andy Warhol. «Andavo spesso ai party nella sua Factory, ero amica anche di Basquiat. Ci spostavamo poi in grandi feste nei loft di Halston o Elsa Peretti: disegnava per Tiffany, era una donna splendida, con una casa stupenda». Naty, quell’atmosfera potrà mai tornare? «Non è solo la moda a essere cambiata, ma la vita in generale. Non ci sono più occasioni uniche in cui sfoggiare abiti da sogno, come i balli di Truman Capote: gli eventi sono tanti, i social media hanno appiattito la personalità. Essere stravaganti è facile, mancano le idee creative».
Guardando alla couture con occhio esperto, delle ultime sfilate parigine apprezza Schiaparelli, Dior e Giambattista Valli. Per lo stile di tutti i giorni? «Amo le stampe di Etro, sono sempre attualissime. I grandi designer li ho incontrati quasi tutti, ma rimpiango di non aver conosciuto Alexander McQueen». Nata il 2 aprile, con caparbietà arietina non abbandonerà mai la verve mondana. Dopo anni a New York torna in Spagna, si sposa con il duca di Feria Rafael Medina (da cui divorzierà), nascono i suoi bellissimi figli Rafael e Luis. «Mi ricorderanno come una gran lavoratrice. Ho sempre trovato insopportabile la pigrizia». L’America resta una seconda casa, dove vince l’Oscar dell’eleganza nel 1986 e il titolo di “Donna più elegante del mondo” nel ’93. Da stylist per la rivista Hola!, veste le modelle con quel gusto inconfondibile che nel 2018 la vede protagonista di una mostra all’Accademia Reale di Belle Arti di Madrid: abiti, accessori, bijoux e libri che Naty allestisce personalmente.
L’ultima idea? Il suo marchio di pigiama Wafflie Wear. «Tutti mi chiedevano di portare dall’India i loro modelli tradizionali, era un Paese in cui viaggiavo spesso. Allora ho creato la mia linea, con stampe colorate più occidentali, da portare in casa ma anche con i tacchi. E a prezzi accessibili». Ornata di bijoux spettacolari («Amo Kenneth Jay Lane e un milanese bravissimo, Carlo Zini») Naty non ha mai abbandonato lo stile sivigliano, “mantilla” compresa. Come quella indossata per il matrimonio del figlio Rafael, con fiocchi coordinati a un abito creato ad hoc da Valentino: «Un modello stupendo, mi venne “pennellato addosso”. Realizzato negli atelier d’alta moda, e sai da chi? Da Antonietta, una sarta bravissima. Lavora ancora lì!». Ride, rivivendo ogni momento come se fossero passati solo pochi giorni. Merito della memoria vivacissima di questa donna dalle mille vite.
«I SOCIAL HANNO APPIATTITO LA PERSONALITÀ. ESSERE STRAVAGANTI È FACILE. MANCANO LE IDEE CREATIVE»