Ken Scott, il genio ritrovato
Negli Anni 60 e 70, le sue fantasie floreali hanno fatto perdere la testa a nomi come Audrey Hepburn, Jackie Kennedy, Marella Agnelli e Mina. Stilista, designer, pittore, Ken Scott agli States ha preferito MILANO E LE SUE SCIURE, spaziando tra i giardini e la gastronomia. Oggi c’è chi ancora trae spunto dal suo archivio. Come un certo Alessandro, che con lui condivide l’ossessione per papaveri e ranuncoli
Mi chiama la redazione di Amica per chiedermi di raccontare un personaggio con la testa dalle mille finestre, che ho conosciuto e frequentato da giovane redattrice di moda: l’adorabile Ken Scott. Nella Milano degli Anni 70 si cena con l’intero mondo del fashion e dell’arte nel suo magico ristorante di Via Corridoni. Da lui si ritrovano la maggioranza dei giovani stilisti che rappresentano la storia della Moda italiana. Lo ricordo grande, biondo e sorridente. Capelli lunghi e occhi celesti, di una eleganza stravagante e colorata, è un uomo libero, sincero e appassionato. La sua vita è colore che lo stimola con tinte forti e disegni evidenti. Qualunque materia in mano sua diventa viva e accettabile: perfino il gesso di una gamba infortunata che dipinge a righe zebrate, completato da giacca e foulard in composé.
Ken Scott, americano dell’Indiana, nato nel 1919 a Fort Wayne, manifesta da giovanissimo la passione per la pittura e forma il suo gusto artistico a New York, frequentando Parsons School e Moses Soyer. Amico di artisti come Chagall e Rothko, viene scoperto da Peggy Guggenheim, sua amica per sempre, che nel 1944 gli organizza una personale a Venezia. Nei suoi dipinti appaiono già fiori grandi e potenti. Nel 1946 si trasferisce in Europa, nel 1955 arriva a Milano per qualche settimana e ci rimane per la vita. Attratto dagli artisti di Brera che incontra al Jamaica, non snob ma molto acuto, sceglie di vivere e lavorare nel territorio delle “sciure” milanesi, tra Montenapoleone, San Babila e il Conservatorio, e trova casa e ufficio in via Corridoni.
Lavorando a mano nuovi impasti di colore nel suo pentolino, si trasforma in giardiniere e collezionista di piante e di tessuti. Con il socio Vittorio Fiorazzo crea Falconetto, pseudonimo per il primo marchio di tessuti stampati e pezzi d’arredamento. Dal 1961, separato da Fiorazzo, Ken
Scott diventa il brand e lui un vero stilista.
AFirenze conosce una brillante artista americana, Susan Nevelson, che sarà sua musa e alter ego: per tutta la vita disegna con lui, rimanendo la sua compagna. A Firenze incontra anche Joseph D’souza, giovane indiano bellissimo, che nel 1964 lascia la sartoria delle Sorelle Fontana per diventare il figurinista di Ken Scott. È sempre allora che incappa in Aldo Papaleo, aitante ragazzo calabrese che vende capi firmati KS nella boutique sulla spiaggia di Copanello. Aldo, negli anni e con la moglie Anna, si occupa della parte commerciale della società, diventando poi amministratore delegato. Dal 1989 è responsabile della Fondazione Ken Scott e del suo grandioso Archivio.
Gli abiti di Ken Scott, di forma semplice e facili da portare, sono realizzati in un nuovo jersey sintetico che non si sciupa, stampato nella seteria Clerici di Como, dove Ken perfeziona competenza tecnica e forza creativa. Quando l’Alta Moda italiana si sposta da Firenze a Roma, lui si inserisce inventando sfilate spettacolari come quella al Circo Medini, dove è il domatore di modelle in stampe animalier, e poi al Piper, dove presenta la sua prima collezione “gastronomica” in collaborazione con Findus, anticipando il binomio moda e cibo.
Tra gli Anni 60 e i 70 incantevoli fanciulle e famosi personaggi lo scoprono rendendolo celebre in tutto mondo. Da Audrey Hepburn a Twiggy, da Jackie Kennedy a Ira von Fürstenberg, da Mina a Marella Agnelli, tutte scelgono i suoi fiori e le sue erbe stampate. A questi aggiunge i pigiama palazzo, le maglie jacquard e i blouson da motociclista. Lui stesso, da vero artista, veste la sua creatività con abiti e cappotti coloratissimi e l’immancabile foulard portato in maniera spettinata.
Il suo piccolo appartamento di Milano è una finestra rigogliosa che guarda la terrazza. La maison di Èze in Costa Azzurra e la villa di Cuernavaca in Messico palpitano dentro e fuori di piante e fiori. Il giardino pensile di via Corridoni è un bosco fatato dove il senso di grandeur di Ken si misura con i fenicotteri rosa della famiglia Invernizzi di Corso Venezia.
FASHION STORY
Epoi nel 1969 apre il suo ristorante Eats & Drinks, al piano terreno della casa. Lui non è il cuoco ufficiale, ma lo chef con berretto e grembiule che cucina per noi. Gli ospiti sono personaggi dell’epoca, variopinti come lui che si fa fotografare spesso. Ci sono tutti: da Anna Piaggi con Alfa Castaldi, a Mariuccia Mandelli (Krizia) con Aldo Pinto, Beppe Modenese con Piero Pinto e Walter Albini con Paolo Rinaldi, da Biki a Wally Toscanini Castelbarco. Ci sono Emi Vincenzini, non più modella ma nuova stilista, tutti i Missoni con Inge Feltrinelli e Anna Bonomi Bolchini (con lei Ken ha una rivoluzionaria collaborazione come prima firma “fashion” nel catalogo Postalmarket), e la magica Diana Vreeland. C’è poi Gigliola Curiel, una delle sarte più famose di allora, Stati Uniti compresi, con sua figlia Raffaella che mi racconta: «Mia madre è l’unica “signora” per la quale Ken Scott abbia disegnato apposta dei tessuti per le sue collezioni». Ken crea anche i piatti, sui quali serve salsicce, uova al tegame e pollo al curry, ma anche menu vegetariani. L’amico Papaleo annota che: «La sua cucina fantasiosa è francese con influenze americane e asiatiche, mescolata al texmex e alle ricette che raccoglie nei viaggi».
Da uomo maturo, continua a comportarsi come da giovane. Il suo spirito e la sua allegria non cambiano, ma lo stile non appare più attuale. Nel 1979 Ken lascia la casa-showroom con terrazza e ristorante con un’ultima festa per il lancio del suo profumo di cui disegna flacone e packaging. Poi cambia anche Milano: diminuisce l’interesse per il marchio Ken Scott, mentre si afferma quel genere di eleganza sobria proposta da Giorgio Armani, insieme alla creatività intellettuale dei nuovi stilisti giapponesi. Nel 1991 Ken si spegne nella casa di Èze: le sue ceneri sono conservate nell’amatissimo giardino. Il suo nome non è più di moda ma di recente, a Milano, un giovane altrettanto folle e geniale risveglia il suo bisogno di celebrare il senso della vita con le fantasie floreali di Ken Scott. È Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, che immagina e realizza l’estrosa capsule Gucci Epilogue, selezionando svariati pattern degli Anni 60 e 70 presi dall’archivio Ken Scott: “Ha rappresentato i fiori con romanticismo e li ha introdotti nella cultura pop. Li trattava come fossero insegne di negozi, li moltiplicava, faceva in modo che risaltassero in maniera incantevole. Amo il suo lavoro perché sono ossessionato dalle stampe floreali”.
La ricerca di Michele si conclude nel 2019, a breve distanza dall’acquisto del marchio Ken Scott da parte della Mantero di Como. Oggi l’intero archivio (oltre 6mila disegni originali) è conservato nella nuova sede di Grandate. Di questa inedita collaborazione è entusiasta Lucia Mantero, figlia di Moritz, uno degli otto fratelli che hanno fatto la storia della seteria italiana, felicemente responsabile dell’ufficio prodotto area donna. Una sua affermazione sincera: «Mi dispiace che in quegli anni Scott e la Mantero non abbiano lavorato insieme nella ricerca di materie nuove, colori magici e stampati riconoscibili. Ma forse possiamo rimediare». In effetti le affinità e la coerenza tra l’artista di allora e il creativo di oggi permettono di ricucire la collaborazione mai avvenuta. Coincidenze interessanti: il fervore e l’energia della città di Milano, la libera rappresentazione del no gender, il mix di colori e stampe più che disordinato, il grado di follia buona che invita al sorriso.
Una bella storia a lieto fine.