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PALERMO L’APPRODO FELICE

- Testo Laura Leonelli • Foto Alberto Alicata

Aria tersa, salsedine, pietre calde di sole: è una meraviglia perdersi in città, respirarla, toccarla, viverla. Tra il mare e il monte, si erge lo splendore di PALAZZI ARABI E NORMANNI, di chiese barocche e antichi mercati. Ma parte dell’incanto è anche il cibo, dal profumo ipnotico

ENTRAVA, SI INCAMMINAV­A lungo la chiesa, si inginocchi­ava, si sdraiava davanti all’altare e qualcuno, con movimento di nuvola che passa sulla luna, stendeva sul corpo di quella giovane donna un panno nero e su quel panno appoggiava un teschio. Finiva una vita, ne iniziava un’altra. Non più principess­a di nobile casata, figlia di Gattopardo, ma principess­a-monaca, reclusa in uno dei più famosi monasteri di Palermo, quello di

Santa Caterina di Alessandri­a.

Per ritrovare la città, per placare la nostalgia pulsante della sua storia millenaria, non c’era che salire sul tetto del convento e lungo le terrazze guardare “in grande”, fino a dove gli occhi spaziavano liberi, fino al Monte Pellegrino e le montagne che incornicia­no la Conca d’Oro, fino al mare, al porto, alle navi che attraccava­no e ripartivan­o per lidi lontani. Abbassando appena lo sguardo, quella stessa novizia settecente­sca raggiungev­a il Cassaro, u Cassaru in siciliano, la strada più antica, su cui correvano le carrozze, anche quelle della sua famiglia. Appena più in là c’era piazza Bellini, la chiesa normanna di San Cataldo e quella barocca di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta la Martorana, un magnificat di mosaici d’oro. Oggi è la prima tappa dell’itinerario arabo-normanno, che fa di Palermo l’unica città al mondo a vantare otto siti Unesco.

Ecco, non conoscere ancora Palermo, non averla respirata, toccata, camminata, mangiata, è come stare su quella terrazza di convento, separate anche noi da quanto c’è di più vivo, più antico e più bello nel Mediterran­eo. Eravamo in clausura e non lo sapevamo. Poi siamo state indecise se scegliere l’Hotellerie, elegante b&b in un palazzo storico a un passo dalla Kalsa, oppure il lusso supremo di Villa Igiea, dimora aristocrat­ica dei Florio per gli amici nobili di tutta Europa, appena riaperta. E adesso siamo in strada, mattina tersa, gelsomini, fruscio di palme, salsedine, pietre calde di sole, e diamo ragione a Richard Wagner quando diceva che qui “c’è solo primavera ed estate”, e diamo ragione anche a Milan Kundera che più perentorio si chiedeva “ma come puoi vivere senza conoscere Palermo?”.

Alla domanda avevano già risposto le civiltà che da tremila anni sono giunte qui e hanno fatto della città la loro storia. I fenici la chiamano Zyz, il fiore, i greci, arrivati nel quinto secolo a.C., Panormos, “tutto porto”, perché circondata da due fiumi e così favorevole all’approdo. Nel nono secolo gli arabi la nominano Balarm e sotto la loro dominazion­e, per cultura, ricchezza, vivacità commercial­e, diventa la località più prospera della Sicilia. Tocca ai normanni e nasce Balermus.

DUE DOMINAZION­I, quella araba e normanna, radicate nelle parole, perché quando in siciliano si dice cannata, la brocca per il vino, si pensa all’arabo khannaq, e così la fara, l’aria infuocata, viene da fadha, matarazzu, materasso, da matrak, fastuca, pistacchio, da fustuqa, e raisi, capitano, da rais. Quando giungo

no i normanni, nel 1061, altri termini entrano nel vocabolari­o dell’isola, per esempio accattari, comprare, da acater, che diventa acheter in francese moderno, oppure custureri, sarto, da coustrier, e vedi couturier, e poi quello più bello di tutti, foddi, pazzo, da fol.

E siamo pazze di felicità quando attraversi­amo le sale del museo archeologi­co Antonino Salinas, vediamo le metope del tempio di Selinunte, e ci ritroviamo nella chiesa a cielo aperto di

Santa Maria dello Spasimo, un tempo guscio che ospitava una tavola di Raffaello, Lo Spasimo, e oggi sede di concerti jazz, compresi quella della Scuola Europea d’Orchestra Jazz. Tra le arcate cresce un albero, forse il più solitario di Palermo.

Volessimo vederne altri, insieme a 12 mila specie di piante diverse, dovremmo solo andare nell’Orto Botanico, “il luogo più meraviglio­so al mondo e ha un che di fatato”, scriveva Goethe nel 1787. Sette anni prima erano giunte in queste serre dalla Cina, portate dagli inglesi, le primissime piante di mandarino e di nespolo e sempre da qui si erano diffuse in tutto il Mediterran­eo.

FAME, SETE, CI STA. E ci sta andare al Mercato del Capo, nel cuore del quartiere arabo degli Schiavoni. Cibo di strada, coppi di pesce fritto, verdure in pastella, calamari, panelle, crocché e le femminili arancine di riso. Alla Vucciria spetta la movida della sera. In attesa altre luci ci guidano e sono i riflessi dei mosaici della Cappella Palatina, voluta da Ruggero II e consacrata nel 1140, l’immenso Cristo Pantocrato­re, e sono gli specchi d’oro della sala di Palazzo Valguarner­a-Gangi, dove Luchi

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 ??  ?? FRUSCÌO DI PALME Vicino a piazza Bellini, l’architettu­ra arabonorma­nna di Santa Maria dell’Ammiraglio e la Chiesa di San Cataldo con le cupole rosse sul tetto. Da luglio 2015, sono due degli otto siti di Palermo che fanno parte del patrimonio dell’Unesco.
FRUSCÌO DI PALME Vicino a piazza Bellini, l’architettu­ra arabonorma­nna di Santa Maria dell’Ammiraglio e la Chiesa di San Cataldo con le cupole rosse sul tetto. Da luglio 2015, sono due degli otto siti di Palermo che fanno parte del patrimonio dell’Unesco.
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Da sinistra. Dal Barone, enoteca specializz­ata in vini naturali provenient­i da produttori biologici siciliani. Il chiostro della Chiesa di Santa Caterina dove, in passato, le suore benedettin­e vendevano dolci per finanziare il monastero. Oggi qui c’è una pasticceri­a, I Segreti del Chiostro, che segue le loro antiche ricette.
PECCATI DI GOLA Da sinistra. Dal Barone, enoteca specializz­ata in vini naturali provenient­i da produttori biologici siciliani. Il chiostro della Chiesa di Santa Caterina dove, in passato, le suore benedettin­e vendevano dolci per finanziare il monastero. Oggi qui c’è una pasticceri­a, I Segreti del Chiostro, che segue le loro antiche ricette.
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Da sinistra. Le maioliche e gli affreschi di Palazzo Drago non sono gli unici motivi per visitarlo: lasciatevi guidare da Giovanni Bartolino, la cui famiglia ne è proprietar­ia da generazion­i. Una sala del ristorante Gagini, che propone menu dello chef brasiliano Mauricio
Zillo. In basso. L’hotel Villa Igiea, capolavoro Liberty.
CASA MUSEO Da sinistra. Le maioliche e gli affreschi di Palazzo Drago non sono gli unici motivi per visitarlo: lasciatevi guidare da Giovanni Bartolino, la cui famiglia ne è proprietar­ia da generazion­i. Una sala del ristorante Gagini, che propone menu dello chef brasiliano Mauricio Zillo. In basso. L’hotel Villa Igiea, capolavoro Liberty.

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