Fra le mani di Chumani in viaggio fra Sud e Nord Dakota
Pur non avendo una reale tradizione legata al benessere, è stata una piacevole sorpresa scoprire che anche alcune SPA del Nord Dakota e del Sud Dakota tengono nella giusta considerazione il fatto che queste terre sono la Patria degli indiani d’america. Ci troviamo nelle cosiddette Dakotas, le terre dove le facce di 4 Presidenti ti scrutano scolpite nel granito delle Black Hills, dove il capo indiano Toro Seduto ha due tombe, dove il Parco nazionale Theodore Roosevelt si estende selvaggio tra le famose Bad Lands, e dove esiste un’autostrada Incantata con molte sculture giganti sparse lungo i 52 km che portano a Regent. E da una parte all’altra di questi due ameni Stati confinanti ci sono molte Riserve indiane dove, scegliendo il periodo giusto, si può assi-
stere al più tradizionale degli eventi qual è il pow-wow, il raduno in cui la gente si incontra per danzare, cantare e onorare la cultura degli indiani d’america con gruppi di suonatori che si siedono in cerchio intorno a un grande tamburo mettendosi a suonare all’unisono e cantando nelle lingue native. e danzatori che ballano in senso orario le loro danze tribali. Realtà che da sempre affascinano i viaggiatori e che rendono ancora più curioso venire a conoscenza di rituali e trattamenti allacciati al loro antico sapere a uso e consumo del Benessere. Nella SPA 2000 di Sioux Falls in Sud Dakota, a esempio, ogni giorno gli inservienti, prima di ricevere gli ospiti, purificano idealmente la struttura dando fuoco in appositi contenitori stagni ad alcune erbe usate dagli indiani stessi nelle loro cerimonie, tra cui la yerba santa, le foglie di sommacco o la barba del mais. Questa pratica arriva proprio dai Pellerossa ed è ancora in uso tra gli esponenti di molte tribù. Per rimuovere i campi di energia negativa attorno alle persone vengono usate erbe per la fumigazione che bruciando purificano e aiutano a liberarsi da eventuali entità invisibili non gradite. Per gli in- diani d’america, infatti, il fuoco è sempre stato un importante strumento in quanto racchiude l’energia radiante dell’universo, la scintilla della vita, la distruzione che precede la rigenerazione. Non è certo un caso che gli indiani pensassero (e pensino) che si può addirittura guarire attraverso la spiritualità, un termine che, anche nella loro cultura, si rifà a uno stile di vita allargato a tutto quanto ci circonda e, quindi, se il massaggio è certamente in grado di influenzare il nostro corpo, è altrettanto vero che anche un ambiente può trasmettere
buona energia e sensazioni di serenità, diventando quindi propedeutico allo scopo. Gli stessi colori utilizzati dentro la SPA, i rossi e gli aranciati, sono in sintonia con le tradizioni dei Pellerossa. Il popolo degli indiani d’america, infatti, sostiene che quando qualcuno usa il rosso, o lo indossa, il sole è felice e lo ascolta. E siccome i Pellerossa, lo dice il nome stesso, sono rossi, risultano essere anche il popolo preferito dal sole. Ma è stata una seduta di pedicure ad averci regalato ulteriori aneddoti rispetto a quelle pratiche che nel Nord dell’america entrano via via nelle SPA influenzate dalla cultura dei nativi. Dobbiamo ringraziare, infatti, Chumani, una delle terapiste, la cui trisavola pare fosse un’indiana sorella della moglie di un capo tribù; nei racconti che ci fa, trasmessi a lei oralmente dai suoi antenati, le protagoniste indiscusse sono le pietre. Quelle bianche, le stesse che si possono raccogliere nei fiumi che scorrono nelle due Dakotas, dal Red River al Missouri, e che hanno il potere di sprigionare un flusso di energie positive aiutando uno stato di calma e meditazione. Chumani sostiene anche che lo stesso massaggio Hot Stone, quello con le pietre calde, risalga alla tradizione degli Indiani d’america in quanto la loro gente per curarsi aveva l’abitudine di utilizzare pietre calde ben sapendo che a fini terapeutici il calore è un buon alleato, ri- lassa il corpo a livelli più profondi creando armonia e un flusso energetico positivo. Fin dalla notte dei tempi, quindi, la civiltà dei cosiddetti aborigeni americani si è affidata alle pietre per scopi medicinali o, come si direbbe oggi nel linguaggio della moderna stone terapy, per riequilibrare chakra distonici e intervenire su vibrazioni di energia negativa. Chumani ci ricorda anche che la stessa cerimonia Lakota dell’inipi, dove le persone vengono fatte entrare dentro una capanna sudatoria perché si riconnettano alla Madre Terra liberandosi delle energie pesanti accumulate, si
svolge attorno a delle pietre poste su una brace accesa. Anche la bevanda con la quale Chumani ci congeda alla fine della pedicure (eseguita, tra l’altro, in maniera eccelsa), prende spunto dalle abitudini dei nativi, contiene diverse erbe bollite, tra le quali la radice di rabarbaro; mentre la si beve, però, nonostante un vago sapore amarognolo ci si accorge immediatamente che risulta leggera e dissetante come acqua pura. È con questi semplici gesti che, grazie alle ataviche tradizioni degli indiani d’america, dentro e fuori dalle SPA, ogni giorno di più si consolida il fascino di una terra senza tempo.
Èla più vecchia delle Isole Canarie e si trova a sud ovest del Marocco, nel bel mezzo dell’oceano Atlantico: Fuerteventura. Con i suoi vulcani (non attivi), l’isola va visitata alla ricerca del proprio lato selvaggio, lontani dalla mondanità e dalla vita notturna. Da nord a sud la caratterizzano spiagge bianchissime, come quella di El Cotillo, dune dal colore dorato dovuto alla sabbia che proviene dal Sahara (Corralejo), spiagge nere formate dai residui lavici, come quella di Ajuy, paradisi ventosi per chi ama il kitesurf (Morro Jable). E ancora, centri come Corralejo, al nord, Betancuria, la vecchia capitale, Lajares, Caleta de Fuste. Nel cuore di questo borgo, a pochi passi dal mare e dalla vastissima spiaggia, distante 7 km dall’aeroporto e 12 km e dalla capitale Puerto del Rosario, sorge il Barceló Fuerteventura Thalasso SPA****, un resort gestito da Settemari, formato da un corpo centrale a 4 piani che ospita le camere e le principali zone comuni, affacciato su curati giardini e vaste piscine. L’albergo dispone di 462 camere e vanta una spiaggia molto ampia, di sabbia dorata, una terrazza solarium con 2 piscine per adulti (di cui una con zona idromassaggio) e piscina per bambini; per gli amanti dello sport, campo da tennis in cemento, campo polivalente (calcetto, basket), beach volley, ping pong, bocce, tiro con l’arco, un campo da golf a circa 2 km e una palestra presso il centro benessere U-spa sito non distante dall’edificio principale. La SPA è dotata di 5 sale per trattamenti personalizzati e di due cabine di idroterapia. Le installazioni, in un ambiente elegante e minimalista, comprendono piscine esterne e interne di acqua di mare
con getti cervicali, getti idromassaggio e lettini ad aria; jacuzzi, sauna, bagno turco; caldarium, tepidarium, frigidarium, musicarium; docce emozionali; zone relax. Qui ci si può dedicare alla cura con l’acqua di mare (il termine talassoterapia deriva dall’unione delle parole greche thalassa, cioè mare, e thérapeia, trattamento), che comprende anche trattamenti con alghe e prodotti marini. L’offerta include anche una sala fitness con apparecchiature cardio e di pesistica, cyclette, tappeti e vogatore, dove è possibile anche dedicarsi ad attività guidate come pilates, tai-chi, yoga. Il circuito termale della USpa si può completare con trattamenti personalizzati: nei cinque spazi interamente decorati in stile orientale e con illuminazione soffusa, per garantire il relax più totale, si decide se concedersi un massaggio antiage per il viso o un trattamento per il corpo (anticellulite, rilassante, aromaterapico), se preferire un protocollo decontratturante sve- dese o un lomi lomi. Se si vuole beneficiare dei prodotti locali, la scelta è fra un massaggio con le pietre vulcaniche, una carezza a base di aloe (sull’isola crescono piante di aloe vera dalle mille proprietà) o una “fuerteventura experience”, che comprende un peeling e un massaggio alla schiena molto rilassante. Il tutto a poche ore dall’italia e durante tutto l’anno visto che la posizione garantisce un clima molto favorevole anche d’inverno.
Si potrebbe iniziare raccontando una storia, che come molte storie ha origine da un incontro. Il luogo è il caffè Zurich di Barcellona, i protagonisti sono gli scrittori Luis Sepùlveda e Bruce Chatwin. Un cileno e un inglese seduti allo stesso tavolino. Il primo in procinto di partire per un viaggio verso la Patagonia, e il secondo con un’esperienza da condividere, quella del suo viaggio del 1974, sfociato poi nel libro “In Patagonia”. La discussione si prolunga e si conclude con lo storico passaggio da Chatwin a Sepùlveda di un taccuino contenente tutte le informazioni di cui il cileno avrebbe avuto bisogno lungo il suo itinerario. Cosa rimane del romanticismo di quest’immagine al giorno d’oggi? Navigando nel tumultuoso mare telematico le nostre bussole “perdono il nord” a causa dal sovraccarico di dati da cui vengono travolte. Così l’ago ruota in ogni direzione fino a rendere molto più chiaro cosa mangiare, cosa vedere e ancor di più cosa non vedere, grazie a coloratissime classifiche top 25, dettagliatissime recensioni su cibo, alloggi, pulizia della camera e cordialità dell’al- bergatore, mentre va lentamente perdendosi la semplice condivisione dell’esperienza in quanto tale. Manca oggi più che mai un luogo d’incontro, come nel caso del caffè Zurich per Sepùlveda e Chatwin, dove possa avvenire lo scambio di idee basate sull’esperienza e sulla passione per il viaggio stesso. Per ridare alla
penna e al viaggiatore la sua importanza, c’è Geospotters.com, la comunità virtuale nella quale viene data voce a chi è grado di riportare l’attenzione sull’esperienza del viaggio anziché sulle sue singole parti. Una mappa interattiva nella homepage guiderà chiunque sia in procinto di partire per una precisa destinazione attraverso i racconti scritti e redatti da viaggiatori esperti. In tal modo, i Geospotters condivideranno il loro sapere con il loro personale stile narrativo, lasciando al lettore qualcosa di più di una semplice e sterile rassegna di cosa fare e cosa tralasciare. A ogni autore che decida di collaborare verrà data visibilità e potrà dare il suo contributo per l’ambiziosa missione di riempire un intero planisfero di racconti. Che si parli anche solo di una vacanza per sfuggire dallo stress della routine quotidiana, o di un viaggio ai confini della terra per mettersi alla prova nella cornice più grande che il mondo ha da offrire, ogni esperienza è in grado di lasciare qualcosa nel viaggiatore, ed è proprio per questo che merita di essere raccontata e tramandata.
Marcello Bondavalli, Nicola Brenna e Carlo Alberto Tagliabue di studio wok di Milano sono i vincitori del concorso di interior design “Il bagno minimo: funzionalità ed estetica nel limite di 6 mq” lanciato in febbraio da EERA Soluzioni in pietra per l’architettura – atelier italiano dedicato alla pietra per il mondo wellness, Spa e bagno. Il progetto vincitore del concorso, che si poneva l’obiettivo di valorizzare l’utilizzo del marmo nell’ambito di un tipico appartamento residenziale cittadino, è stato selezionato tra oltre 66 proposte progettuali prove- nienti da tutta Italia da parte di una giuria, presieduta da Marco Zito, architetto e designer, professore associato di Design del Prodotto presso l’università IUAV di Venezia. «‘Stanza da bagno per un uomo’ esprime, attraverso un sistema modulare leggero, le potenzialità spaziali del piccolo ambiente e allo stesso tempo la coerente applicazione dei materiali lapidei» spiega Zito. «L’immagine ottenuta crea così un’inedita impressione di leggerezza e flessibilità degli spazi. Interessante, inoltre, la potenziale facilità di esecuzione del sistema e il conseguente adattamento ad ambienti di dimensioni variabili». Il progetto di studio wok, che prende spunto dalle lezioni dei maestri del primo Novecento quali Franco Albini, Gio Ponti e Le Corbusier, affronta il tema degli spazi sempre più ridotti dell’abitare contemporaneo proponendo una soluzione di ricerca in cui la parete del lavabo, integrata con un sistema a traliccio, diventa una quinta scenica dove aggiungere e cambiare elementi e oggetti del quotidiano. «La condizione di intimità tipica della stanza da bagno può essere arricchita da nuovi usi non consueti: deve diventare uno spazio fruibile mutevole dove rilassarsi seduti su una panca, leggere un libro, prendersi cura di sé stessi dando vita ad un nuovo concetto di wellness fisico e mentale» ha spiegato Marcello Bondavalli, uno degli autori. A breve partirà la realizzazione del progetto vincitore presso lo showroom EERA, in stretta collaborazione con gli autori. In autunno avrà luogo un evento di presentazione in cui verranno esposte tutte le tavole dei progetti pervenuti.
Una moderna professionista dell’estetica non opera più nel semplice mondo della manualità e dell’artigianato, ma oggi si muove con disinvoltura fra apparecchiature estetiche di ultima generazione, usa cosmetici innovativi, adotta strategie di marketing sofisticate. Tutto ciò è dovuto alla trasformazione del concetto stesso di Estetica che oggi è molto più complesso da definire nelle sue molteplici sfumature. Ma come ci si riesce a specializzare per dare un servizio migliore e accurato? In primo luogo, mantenendosi sempre aggiornati, mostrando una speciale attenzione ai particolari che fanno la differenza, adottando un approccio più imprenditoriale. Aspetti di un percorso professionale la cui crescita è legata alla partecipazione a corsi di formazione, non solo inerenti alle metodiche estetiche, ma anche a marketing e management, necessarie a ottimizzare le risorse eco- nomiche e a sviluppare il proprio business in modo moderno ed efficace. Dal 1 al 3 ottobre prossimo si svolge presso l’hotel Excelsior di Pesaro, la VI edizione della Beauty Partner National Conference un esclusivo evento annuale a numero chiuso, che raccoglie alcune delle migliori menti, nazionali ed internazionali, del settore dell’estetica professionale. Riservato a operatori esperti, l’élite dell’estetica italiana, la Conferenza è un’occasione di condivisione, di crescita e di conoscenza con un alto livello di informazione. Sotto la direzione del noto dermatologo Alex Gezzi, le sessioni di lavoro si trasformano in esperienze di arricchimento personale e opportunità di team building per la propria azienda. Grazie alle attività di studio e d’apprendimento dinamico programmate, è possibile osservare e vivere tecniche operative moderne, scoprire metodi e filosofie di gestione e trattamento inediti e prestigiosi. Fra i relatori annunciati Joseph A. Lewis - Scienziato, fondatore di Elizabeth Arden PRO, Tracy May-harriott International Education Director; Eugenia Palumbieri, specialista in Tecnologie Farmaceutiche; Massimo Fernando Treppiccioni e Chiara Treppiccioni, rispettivamente Direttore Generale e Brand manager della Beauty Partner Enterprise; Alessia Bettin, Master Pilates ed Estetista Professionista; Stefano Manfredini, Professore di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nella Università di Ferrara, e Silvia Vertuani, ricercatrice.
stessa, a volte basta ristabilire l’interno-esterno di una persona. È sostanzialmente questa l’intuizione che darà luogo alla ricerca e infine alla scoperta: l’energia contenuta nei fiori e nei loro pollini possono costituire rimedi efficaci per le patologie più diverse. Attraverso un’attenta osservazione egli nota come a personalità e caratteri simili corrispondano stesse reazioni ai farmaci, mentre non sempre una stessa cura sortisce effetto su soggetti affetti da una medesima patologia, ma con caratteristiche individuali diverse. Per questo giunge alla conclusione che le affezione psicologiche del paziente sono la causa principe dei suoi disordini fisici, e che, mentre questi possono essere molteplici, le prime sono relativamente poche. Così a fronte dei 38 rimedi di origine naturale da lui scoperti, i tipi di sentimenti che li classificano sono solo sette, a loro volta suddivisi in due grandi gruppi: i rimedi “tipo” e i rimedi “aiuto”. I primi per le caratteristiche “permanenti” nel paziente, ad esempio un soggetto particolarmente sensibile o iperinfluenzabile, i secondi relazionati a uno stato transitorio della psiche, come l’apatia o la sfiducia. Le gocce scaturiscono dall’energia vitale sprigionata dai fiori delle piante raccolta con un particolare ma semplice procedimento: riempire un contenitore di vetro sottile con acqua pura, lasciarli galleggiare al massimo della loro fioritura fino a ricoprire l’intera superficie ed esporre il tutto al sole per tre o quattro ore, finché i boccioli iniziano a sbiadire. Altrettanto semplice la posologia, suggerita dallo stesso Bach che consigliava di assumere duequattro gocce versandole in un bicchiere d’acqua o direttamente sotto la lingua, quattro volte al giorno per un periodo che va da uno a due mesi. Scegliere il prodotto sbagliato non comporterebbe alcun problema, e dopo aver lasciato trascorrere un periodo minimo di quindici giorni, se non si nota alcun effetto, si deve trarre la conclusione che probabilmente si è ricorsi al rimedio sbagliato. Qui sorge inevitabilmente il primo dubbio: è possibile che la sostanza sia allo stesso tempo efficace o innocua? Il quesito non fu certo sottovalutato dal dottore di origine gallese che riteneva molto importante legare un rimedio tipo alla personalità del soggetto, e solo successivamente curare la patologia transitoria attraverso un rimedio di aiuto specifico. Può bastare questo a eliminare i dubbi sulla validità del medico e condurre alla decisione di adottarlo all’interno della propria SPA o nel proprio Istituto? In verità è difficile rispondere rispondere perché ci si trova in un campo molto delicato, ai confini della medicina, dell’erboristeria, dell’omeopatia e perché no, anche di un certo esoterismo. Che non deve fare paura ma va sempre tenuto presente se non si vuole trasformare un’arte in scienza.