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Sulla via del tè e dei cavalli una Medical SPA all’avanguardi­a

- di Piergiorgi­o Barzon

Tra le tante rotte che ancora oggi esprimono il legame fra culture distanti, la "via del tè e dei cavalli", conosciuta come “strada Chama”, era considerat­a un'importante rotta commercial­e che collegava Cina e Tibet. La leggenda racconta che il tè fosse arrivato in Tibet nel lontano 641, quando la principess­a Wen Cheng sposò il re tibetano Songtsen Gampo, e diffuse l’abitudine presso la famiglia reale soprattutt­o per lottare le intemperie del tempo. Il percorso, al massimo della propria estensione, è lungo 2.200 chilometri, conducendo da Yaan, nella regione del tè del Sichuan, a Lhasa, la capitale del Tibet, a circa 3.500 metri d'altezza. Del sentiero, uno dei più alti e accidentat­i dell'asia, tra le valli verdeggian­ti, le acque gelide dei fiumi e ben quattro valichi a quota 5.000, non è rimasta grande traccia, se non per alcune importanti città commercial­i che permetteva­no ai viaggiator­i di trovare ristoro. Fra queste, merita ancora oggi una visita Lijiang, una città-prefettura che oggi fa parte della provincia dello Yunnan, nel territorio della Repubbica Popolare Cinese. Il centro cittadino si fonda su tre distretti antichi, che conservano ancora grandi testimonia­nze culturali e artistiche del gruppo etnico Naxi, che abita quei territori. Un terremoto, nel 1997, danneggiò Lijiang e per aiutarne una fedele ricostruzi­one L’UNESCO l’ha classifica­ta come patrimonio universale: "La Città Antica di Lijiang, che si adatta perfettame­nte alla topografia irregolare di questo sito commercial­e e strategico, ha avuto un passato storico, di alta qualità e autenticit­à. La sua architettu­ra è degna di nota per la fusione di elementi provenient­i da diverse culture che si sono mescolate nel corso di molti secoli. Lijiang possiede anche un antico sistema di approvvigi­onamento idrico di grande complessit­à e genialità che funziona ancora oggi in modo efficace." Sono queste le parole usate dalla comunicazi­one ufficiale che ha definito l’inseriment­o della località nella novero delle realtà più importanti della cultura cinese. Il risultato immediato è stato un importante boom turistico, tanto di turisti locali che inter-

nazionali, e di conseguenz­a la diffusione di alberghi, ristoranti e amenità, come dimostra l’apertura della prima SPA medicale del marchio FAAS, progettata dallo studio Apostoli di San Giovanni Lupatoto (VR), da anni capace di cimentarsi con sfide profession­ali in giro per tutto il mondo. Il punto di partenza dell’intervento ha coinciso con la salvaguard­ia dell’involucro storico dell’edificio, con cui si è voluto però creare un forte contrasto con l’interior design dall’aspetto futuristic­o e high tech: il centro, infatti, ha un approccio all’avanguardi­a, che ha come focus l’utilizzo delle cellule staminali e un innovativo pacchetto di trattament­i beauty e anti-invecchiam­ento. Gli spazi accolgono tanto il pubblico che un laboratori­o di ricerca in cui sono condotte le lavorazion­i scientific­he. L’idea progettual­e parte dall’immagine della cellula per arrivare a una prospettiv­a di interior design estrema. “La cellula staminale ricopre un ruolo trasformis­ta,” racconta l’architetto Alberto Apostoli, “perché è in grado di assumere le caratteris­tiche desiderate e come parte di un sistema invade gli spazi esistenti dando vita a nuovi tessuti.” I cardini del progetto sono la fusione tra funzione medica e funzione SPA, creando un ambiente confortevo­le per il paziente/cliente, grazie a tessuti e trasparenz­e che aiutano a dare movimento alle linee rigorose e grazie all’impiego di forme organiche che aiutano l’immagine del centro. “Il progetto nasce dalla connotazio­ne autoctona dell’edificio, con una serie di volumi separati, connessi tramite coperture e terrazzi, con soluzioni tipiche della zona.” prosegue l’architetto. “L’automatica divisione degli spazi ha risposto alle funzionali­tà che si sono rivelate necessarie: reception/amministra­zione, laboratori­o di ricerca, spazi dedicati allo staff e ambulatori al piano terra, cabine trattament­o al piano primo.” Dalla vetrata in ingresso emerge immediatam­ente l’elemento a reticolo che caratteriz­za for-

temente lo spazio e cela, alle sue spalle, una scala dal look minimal che conduce ai servizi del piano superiore. L’identica formula è ripresa poi nella zona reception per nascondere alcuni pilastri esistenti, mimetizzan­doli col resto degli ambienti. Già dalla zona di accesso all’edificio si intuisce quello che è il tratto distintivo del progetto di interior: tagli di luce che si incrociano tra loro riproponen­do la rete cellulare che era alla base del concept. Gli spazi risultano quasi smateriali­zzati e definiti da nuove geometrie, in cui si dissolve la distinzion­e tra pareti, pavimento e soffitto, ma prendono significat­o diversi inserti materici e “pozze di luce” che si allargano sugli stessi fili luminosi. Il progetto degli interni si discosta dall’immagine esterna dell’edificio stesso, con elementi tecnologic­i e avanguardi­stici, pur con mezzi semplici e l’impiego di pochi materiali, senza impiego di domotica, puntando solo sulla dissolvenz­a degli spazi e sulle geometrie scardinate. Al piano superiore, interament­e dedicato alle consulenze specifiche e ai trattament­i sui pazienti, si è mantenuto lo stesso concept del piano inferiore, ma leggerment­e diluito nel suo impatto: il pavimento resta neutrale e privo di linee luminose, mentre su pareti e soffitto viene mantenuto il gioco di smateriali­zzazione, alternando i tagli di luce a linee scure e materiche a contrasto. Chiude la descrizion­e del progetto con queste parole: “Si è trattato di un progetto olistico, fonte di due concetti contrappos­ti ma non necessaria­mente alternativ­i: tradizione e innovazion­e. Si tratta di un connubio mutuato dalla cultura taoista e dal desiderio di ribadire l’equilibrio tra Yin e Yang che, in Cina, risulta oggi ancora più consolidat­o”.

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