Sulla via del tè e dei cavalli una Medical SPA all’avanguardia
Tra le tante rotte che ancora oggi esprimono il legame fra culture distanti, la "via del tè e dei cavalli", conosciuta come “strada Chama”, era considerata un'importante rotta commerciale che collegava Cina e Tibet. La leggenda racconta che il tè fosse arrivato in Tibet nel lontano 641, quando la principessa Wen Cheng sposò il re tibetano Songtsen Gampo, e diffuse l’abitudine presso la famiglia reale soprattutto per lottare le intemperie del tempo. Il percorso, al massimo della propria estensione, è lungo 2.200 chilometri, conducendo da Yaan, nella regione del tè del Sichuan, a Lhasa, la capitale del Tibet, a circa 3.500 metri d'altezza. Del sentiero, uno dei più alti e accidentati dell'asia, tra le valli verdeggianti, le acque gelide dei fiumi e ben quattro valichi a quota 5.000, non è rimasta grande traccia, se non per alcune importanti città commerciali che permettevano ai viaggiatori di trovare ristoro. Fra queste, merita ancora oggi una visita Lijiang, una città-prefettura che oggi fa parte della provincia dello Yunnan, nel territorio della Repubbica Popolare Cinese. Il centro cittadino si fonda su tre distretti antichi, che conservano ancora grandi testimonianze culturali e artistiche del gruppo etnico Naxi, che abita quei territori. Un terremoto, nel 1997, danneggiò Lijiang e per aiutarne una fedele ricostruzione L’UNESCO l’ha classificata come patrimonio universale: "La Città Antica di Lijiang, che si adatta perfettamente alla topografia irregolare di questo sito commerciale e strategico, ha avuto un passato storico, di alta qualità e autenticità. La sua architettura è degna di nota per la fusione di elementi provenienti da diverse culture che si sono mescolate nel corso di molti secoli. Lijiang possiede anche un antico sistema di approvvigionamento idrico di grande complessità e genialità che funziona ancora oggi in modo efficace." Sono queste le parole usate dalla comunicazione ufficiale che ha definito l’inserimento della località nella novero delle realtà più importanti della cultura cinese. Il risultato immediato è stato un importante boom turistico, tanto di turisti locali che inter-
nazionali, e di conseguenza la diffusione di alberghi, ristoranti e amenità, come dimostra l’apertura della prima SPA medicale del marchio FAAS, progettata dallo studio Apostoli di San Giovanni Lupatoto (VR), da anni capace di cimentarsi con sfide professionali in giro per tutto il mondo. Il punto di partenza dell’intervento ha coinciso con la salvaguardia dell’involucro storico dell’edificio, con cui si è voluto però creare un forte contrasto con l’interior design dall’aspetto futuristico e high tech: il centro, infatti, ha un approccio all’avanguardia, che ha come focus l’utilizzo delle cellule staminali e un innovativo pacchetto di trattamenti beauty e anti-invecchiamento. Gli spazi accolgono tanto il pubblico che un laboratorio di ricerca in cui sono condotte le lavorazioni scientifiche. L’idea progettuale parte dall’immagine della cellula per arrivare a una prospettiva di interior design estrema. “La cellula staminale ricopre un ruolo trasformista,” racconta l’architetto Alberto Apostoli, “perché è in grado di assumere le caratteristiche desiderate e come parte di un sistema invade gli spazi esistenti dando vita a nuovi tessuti.” I cardini del progetto sono la fusione tra funzione medica e funzione SPA, creando un ambiente confortevole per il paziente/cliente, grazie a tessuti e trasparenze che aiutano a dare movimento alle linee rigorose e grazie all’impiego di forme organiche che aiutano l’immagine del centro. “Il progetto nasce dalla connotazione autoctona dell’edificio, con una serie di volumi separati, connessi tramite coperture e terrazzi, con soluzioni tipiche della zona.” prosegue l’architetto. “L’automatica divisione degli spazi ha risposto alle funzionalità che si sono rivelate necessarie: reception/amministrazione, laboratorio di ricerca, spazi dedicati allo staff e ambulatori al piano terra, cabine trattamento al piano primo.” Dalla vetrata in ingresso emerge immediatamente l’elemento a reticolo che caratterizza for-
temente lo spazio e cela, alle sue spalle, una scala dal look minimal che conduce ai servizi del piano superiore. L’identica formula è ripresa poi nella zona reception per nascondere alcuni pilastri esistenti, mimetizzandoli col resto degli ambienti. Già dalla zona di accesso all’edificio si intuisce quello che è il tratto distintivo del progetto di interior: tagli di luce che si incrociano tra loro riproponendo la rete cellulare che era alla base del concept. Gli spazi risultano quasi smaterializzati e definiti da nuove geometrie, in cui si dissolve la distinzione tra pareti, pavimento e soffitto, ma prendono significato diversi inserti materici e “pozze di luce” che si allargano sugli stessi fili luminosi. Il progetto degli interni si discosta dall’immagine esterna dell’edificio stesso, con elementi tecnologici e avanguardistici, pur con mezzi semplici e l’impiego di pochi materiali, senza impiego di domotica, puntando solo sulla dissolvenza degli spazi e sulle geometrie scardinate. Al piano superiore, interamente dedicato alle consulenze specifiche e ai trattamenti sui pazienti, si è mantenuto lo stesso concept del piano inferiore, ma leggermente diluito nel suo impatto: il pavimento resta neutrale e privo di linee luminose, mentre su pareti e soffitto viene mantenuto il gioco di smaterializzazione, alternando i tagli di luce a linee scure e materiche a contrasto. Chiude la descrizione del progetto con queste parole: “Si è trattato di un progetto olistico, fonte di due concetti contrapposti ma non necessariamente alternativi: tradizione e innovazione. Si tratta di un connubio mutuato dalla cultura taoista e dal desiderio di ribadire l’equilibrio tra Yin e Yang che, in Cina, risulta oggi ancora più consolidato”.