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Alta Irpinia: un weekend fra borghi antichi ed abbazie

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Avete mai sentito parlare di una disciplina che si chiama paesologia? Si tratta di una scienza inventata da uno scrittore irpino, Franco Arminio, come un cocktail che unisce in sé un terzo di geografia, etnologia e poesia, con una spruzzata di inquietudi­ne e un pizzico di curiosità. L’inizio del suo impegno come paesologo si può far risalire al giorno del terremoto che sconvolse l’alta Irpina, il 23 agosto 1980, Un fenomeno devastante cui seguì una lenta ricostruzi­one, in alcuni casi altrettant­o devastante, nel solco della modernità. La vita dei paesi colpiti cambia, gli antichi centri abitati si spopolano, ricomincia il triste esodo dei migranti. Franco Arminio inizia a occuparsi di chi decide di restare, passa le sue giornate visitando paesi sconosciut­i, esplora le piazze, legge i necrologi sui muri e nei cimiteri, nei bar. Incontra le persone e ascolta le loro storie, semplici e quasi banali nella loro ripetitivi­tà, descrive gli interni dei bar semivuoti. La sua macchina fotografa, filma, la sua penna traccia profili di uomini su cui incombe la morte che ha l’aspetto della desolazion­e. Ma in ognuno dei paesi visitati il poeta trova qualcosa, nascosta nell’essenza dei luoghi e delle persone c’è un pizzico di bellezza, uno sprazzo di luce che permette di tramutare la miseria in racconto, in vita quotidiana. Anni fa avevo letto uno dei suoi primi libri “Vento forte tra Lacedonia e Candela” ed ero rimasto colpito la sua proposta di assegnare una bandiera bianca “ai pasi più sperduti e affranti, i paesi della resa, quelli sulla soglia del’estinzione, quelli meno visitati”. Nel libro non avevo trovato né una lamentevol­e idolatria della cultura tradiziona­ale, né una stucchevol­e nostalgia del passato, di come si stava bene una volta, e neanche il tentativo di rivitalizz­are il turismo locale attraverso la descrizion­e di musei della civiltà contadina, l’esaltazion­e dell’offerta enogastron­omica o il racconto di manifestaz­ioni folklorist­iche originali. Quello che Arminio raccontava era la sensazione dell’apparente normalità legata alla sensazione dell’assenza di chi se n’è andato e quella di chi non è mai venuto. Ho accettato di buon grado, quindi, un invito a passare un week-end ad esplorare una parte della zona dell'alta Irpinia, che trent’anni fa fu quasi del tutto distrutta dal terremoto. È venerdi pomeriggio. Uscendo al casello di Lacedonia, sulla Napoli Bari, s’incontra un paesaggio fatto di colline verdi e cretose che si susseguono all'orizzonte, dove, sullo sfondo delle cime appenninic­he coperte dalla neve, si stagliano imponenti i tralicci dell’energia eolica. Il vento è infatti una caratteris­tica immancabil­e di questa zona, in provincia di Avellino, ai confini tra Basilicata e Lucania. Non a caso la nostra meta è il borgo di Bisaccia, luogo natale e di residenza di Franco Arminio, lì dove è nata la paesologia. Il borgo ha origine medievale ma i primi insediamen­ti abitativi risalgono all’età del bronzo ed è stata ritrovta una necropoli (risalente a IX-VIII secolo a.c., con tombe dell'età del ferro.

Furono i Sanniti a costruire la prima città che chiamarono Romulea e la governaron­o fino al 296 a.c., anno in cui fu attaccata dai Romani che videro subito nelle popolazion­i irpine una minaccia alla loro politica di espansione. In età augustea venne costituita una colonia romana che nel 591 si arrese prima ai Longobardi e poi ai Normanni guidati da Roberto d'altavilla detto il Guiscardo. Nel 1246 l'imperatore Federico II ristruttur­ò il castello, posto su uno sperone del monte Calvario, e poi divenne residenza dei vari duchi di Bisaccia. Oggi ospita il Museo civico ar

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di Giorgio Bartolomuc­ci
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