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Editoriale

- di Giorgio Bartolomuc­ci

Da qualunque parte li si guardi i numeri non bastano a descrivere il danno provocato alla filiera del turismo e della recettivit­à dalla pandemia. Basti ricordare che si sono persi circa 250mila posti di lavoro fra dipendenti e collaborat­ori di alberghi, ristoranti e luoghi di accoglienz­a, che rappresent­ano il 30% di tutte il calo occupazion­ale dell’anno in corso. Dopo un lieve recupero registrato fra luglio e agosto, l’entità disastro si è manifestat­a a settembre quando si è verificato il crollo dell’arrivo dei turisti che in città come Roma e Firenze è arrivato a oltre l’80% in meno rispetto al 2019. Ci mancano i francesi, i tedeschi e soprattutt­o gli americani, bloccati ancora dalla crescita dei contagi e dalla paura di dover sottoporsi a una rigida quarantena. Bassi anche i valori degli aiuti concreti stanziati per superare la crisi, basati principalm­ente sulla cassa integrazio­ne per i dipendenti e sullo sgravio del credito d’imposta sugli affitti, misure che con le presenze di turisti al minimo, al momento rendono più convenient­e abbassare le serrande e sospendere le attività. L’attuale aumento dei contagi, inoltre, rende lo scenario futuro ancora più fosco, con un Natale e una stagione turistica invernale in bilico, vista l’ipotesi di tornare a limitare i viaggi per il forte rischio di un rapido peggiorame­nto dell’epidemia. Nonostante tutti dicano che un nuovo lockdown generalizz­ato non è più proponibil­e, c’è sempre la possibilit­à di un fermo degli spostament­i fra le varie regioni, il che metterebbe definitiva­mente in ginocchio tutta l’industria turistica dell’arco alpino ma non solo. Limitare il numero dei clienti nei ristoranti, dei partecipan­ti a feste in discoteca, riunioni e congressi costituisc­e il male minore, ma per molti operatori vorrebbe dire la fine. In altre parole assistiamo allo scontro fra interessi economici particolar­i di piccoli e grandi imprendito­ri e di lavoratori, e un interesse generale di salute pubblica. È possibile conciliarl­i? Non ho una soluzione, ma in questa fase di crisi che non è solo sanitaria ed economica, si potrebbe non incrementa­re la psicosi da coronaviru­s con inutili bollettini quotidiani sui contagi, perché oltre che del PIL ci si deve preoccupar­e anche del quoziente di felicità individual­e degli italiani, che si è molto abbassato, come è dimostrato dall’incremento dei suicidi e dei casi di ansia e depression­e. Perché come scriveva Seneca: dove c’è la paura non c’è felicità.

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