Fuori giri
Una giovane setter nel bosco. Parte ordinata, macina terreno e fa tutto maledettamente bene. Sembra un vecchio cane che procede consapevole delle fatiche che andrà ad affrontare. Poi cambia espressione, anche la marcia cambia.
Sparisce, non rientra, non è da lei. Ed ecco improvvisa la beccaccia e dopo qualche secondo la setter ricompare. Non era a caprioli, non s'era persa, non era caduta: era a caccia. Ha finalmente trovato “quella” che le fa fare il fuori giri.
Così il cacciatore riparte, col suo giovane vecchio nuovo cane da beccacce
Hai mai liberato un giovane setter che, appena sceso dalla macchina, non sia partito sgroppando per la felicità di potersi muovere e correre a suo piacimento? Io sì. Questa giovincella, come gli altri miei cani, giovani o vecchi che siano, sa bene che non può e non deve fare come le pare quando esce dalla gabbia e quindi, brava, educata e composta, mi viene incontro per farsi mettere collare e campano perché poi si possa partire per le nostre scorribande di caccia o di addestramento. Ha già imparato che, a volte, ho molta fretta e in questi casi non le metto il collare, ma le avvolgo rapidamente il collo col laccio del guinzaglio e, camminando un po’ ingobbito e sibilando un sssssshhh, la conduco in una direzione precisa per poi sganciarla. In questi casi parte circospetta come un ladro e, con le orecchie dritte dritte in cima alla testa, cerca di agganciare immediatamente l’usta che le sto indicando, dove io ho già visto
passeggiare qualcosa di bello e buono: e lei lo sa. Se non la percepisce, subito comincia a incrociare davanti a me lanciandomi ogni tanto un’occhiata per sapere se è fuochino fuochino oppure acqua, aspettando altre indicazioni del mio dito. Una meraviglia, per me.
Questo tipo di affiatamento che instauro con i cani giovani mi permette di capitalizzare al massimo gli incontri con la selvaggina che riesco a vedere pascolante durante gli spostamenti per gli allenamenti. Menta si è distinta dagli altri per la rapidità con cui ha capito il giochetto. Meglio così: buon per lei e buon per me, ci divertiamo tutti di più.
Dicevo: collare e campano. Mi infilo la trisacca, controllo le cartucce - poche per non appesantirmi ulteriormente - inspallo il fucile e parto. Lei mi ha guardato nell’espletamento del rito di vestizione e a questo punto parte anche lei. Imperturbabile. Nessuna frenesia, nessun guaito di energia trattenuta, nessun tremito, nessuna vibrazione. Perché mai sarà così serafica? Mistero.
Menta parte serafica
Mette la terza e comincia a setacciare il terreno davanti a me con la flemma di un artigiano che ha appena sfilato dal cassetto del tavolo da lavoro gli strumenti e se li rimira per vedere se sono quelli giusti, se sono affilati bene e, quindi, se li posiziona a buona portata.
La novizia comincia a salire lungo la spalla di bosco - che io bordeggio tenendo il sentiero - per poi ridiscendere, passare oltre e affrontare il terreno che le si para davanti. Il verbo affrontare è volutamente scelto, perché più coerente e aderente al vero che non il verbo aggredire. Forse sarebbe più giusto dire macinare. Infatti macina il terreno con il naso immediatamente innestato a carpire emanazioni fluttuanti nel vento o aderenti al suolo. L’osservatore, anche attento, guardandola penserebbe comunque a un giovane infingardo, con poca benzina da bruciare o a un vecchio cane che procede consapevole delle fatiche che andrà ad affrontare e che perciò avanza con il passo di chi deve. Tutto sbagliato.
Ora ha cominciato a battere la macchia come un cottimista da cantiere e non come un artigiano del cesello, la lingua spenzola da un lato e si è già sporcata di sangue, ferendosi in qualche rovo vigliacco. Il fiato è rotto e ansima con la giusta frequenza, senza andare in affanno esagerato nonostante le pendenze; affronta la salita come la discesa e la marcia è sempre quella, la terza. Si allunga, la cerca si è fatta più elastica e le puntate più profonde: rientra con regolarità. Continuo a chiedermi se la signorina vorrà mai degnarsi di trasmettermi un po’ di concitazione giovanile. Lei, incurante dei miei pensieri, continua a martellare nella fucina del bosco, passando per i posti buoni e senza deflettere, facendo tutto maledettamente bene.
Cambio di passo
Ecco, sta insistendo, continua a ripiegare in quella fetta di montagna. Ora non rientra, si è alzata. Io mi sono fermato e aspetto che succeda qualcosa anzi, sai che faccio, mi porto in direzione per capire che cosa stia succedendo.
La vedo, le è cambiata l’espressione e anche la marcia è cambiata: terza, quarta addirittura, ancora terza, seconda, ancora terza e poi ancora seconda, priiiima: ferma. Riparte cauta, cautissima. Riferma. Si rimuove piano piano, poi sempre più forte e comincia ad allargare i giri: la beccaccia è già volata.
Ora sono solo quarta e terza, terza e quarta. Dai che si sveglia la piccoletta. La lascio fare perché certe rimesse della beccaccia ancora non le conosco e questo è un terreno nuovo anche per me.
Torno indietro per vedere se la beccona è arretrata e controllo se la cagna mi segue. Col cavolo. Ha deciso che è meglio avanti e io non sono certo uno difficile da convincere; è lei che comanda ora.
Non rientra
Non la sento più, la montagna piega in avanti e la cagna è sparita in quella direzione. Avanzo e mi alzo, ogni tanto mi fermo per ascoltare. Niente, sparita. Aspetto. So che è precisa e regolare, so che rientra sempre. Ma non rientra. Comincio a cercarla in avanti, non conosco la zona. Sono passati ormai quasi cinque minuti, troppi, non sento il campano, non sento il beeper. E se fosse andata via dietro un capriolo? Non l’ha mai fatto. E se fosse caduta in un crepaccio? Non sarà così scema! Che c’entra scema? Un incidente può capitare anche al cane più attento, anche a te, scemo che non sei altro. E chiamala ‘sta cagna. Dove cavolo è sparita? Fischio, la chiamo, continuo a fischiare e a chiamare e passano altri dieci minuti. La mia apprensione e il mio nervosismo aumentano.
Per una beccaccia volantina
Sono su un sentiero che si alza, proprio per poter localizzare eventualmente il campano o il beeper. La beccaccia mi arriva dritta dritta da sopra, l’altezza di volo è di circa un metro e settanta dal suolo, esattamente quella del mio naso, e mi punta per trapassarmi da parte a parte. Invece no, mi sfiora sibilando a due spanne dalla mia faccia; la velocità non è misurabile, ma per me è quella di un proiettile. Mi supera, vira lungo il fianco del monte e sparisce. Ma da dove veniva?
E perché era in volo? Non sono neppure riuscito a imbracciare il fucile, è stato un attimo. Continuo a chiamare la cagnina e dopo trenta secondi sento il campano che viene verso di me. Eccola. Mi passa in parte, quarta fissa, sguardo fisso, lingua fuori e si infila nella macchia alla ricerca della beccona, ignorandomi. Non era a caprioli, non s’era persa, non era caduta: era a caccia. Per niente pratico del posto, me l’ero persa e avevo cominciato le mie ricerche sguaiate e impanicate nel timore di qualche incidente. Ci vuole del bello e del buono per recuperarla, agganciarla e farla rifiatare. Lei, solitamente così veloce nel rispondere al richiamo, è completamente fuori di sé per colpa di questa beccaccia volantina.
Sorrido mentre la osservo sbavata e ansimante, contento che abbia perso il suo aplomb, il suo atteggiamento da so tutto io, lascia fare a me che sono brava che mi ha irretito fin dalle prime uscite. Visto che l’hai trovata quella che ti fa fare il fuori giri? E comincio intanto a pensare dove la beccona, che tanto ha fatto tribulare la mia cocchina, si sia buttata. E riparto col mio giovane vecchio nuovo cane da beccacce.