il peso delle parole
Buonasera, sono un cacciatore e vostro lettore. Vorrei fare i complimenti alla rivista per gli argomenti trattati. Un particolare che mi sta a cuore è l’aspetto fotografico di come si presenta la caccia. Apprezzo quindi molto il fatto che diate delle indicazioni su come si fotografa una scena di caccia. Vorrei però fare un’osservazione anche in merito alle parole che vengono usate. Nel numero 6 del 2021 a pagina 18, nelle prime righe dell’articolo “Quando sboccia un fiore” leggo: «Ieri non ho ammazzato niente». In una rivista così ben impostata e a maggior ragione nel numero citato dove compare a pagina 38 l’articolo di Paolo Pennacchini dedicato alla fotografia venatoria consiglio anche di utilizzare termini meno crudi di “ammazzare”. Mi scuso per l’intervento, non vuole essere polemico. Rinnovo i complimenti alla rivista e a chi ci lavora. Grazie.
Ivano Tavasci
Gentile Ivano, facciamo sempre attenzione alla scelta delle parole, che è un
aspetto prioritario del nostro lavoro. Per questo non utilizziamo il termine capi ma animali, preferibilmente usiamo il verbo prelevare o anche catturare invece che abbattere o ammazzare e così via. A volte però, per non eccedere nel purismo (che può avere il sapore dell’ipocrisia), tolleriamo l’utilizzo di vocaboli più crudi, soprattutto quando a scrivere sono collaboratori come Lorenzo Trussardi che ha sì uno stile asciutto e pungente (che noi rispettiamo e che apprezziamo), ma che esprime nei suoi articoli concetti strettamente vicini al nostro modo di intendere la caccia: sintetizzando, non il prelievo al primo posto ma il valore dell’azione cinegetica, profondo rispetto per i selvatici e per i territori che sono la loro casa, il tutto condito da grande competenza e conoscenza della materia e della cinofilia venatoria. Detto questo, prendiamo atto del suo consiglio e rinnoviamo il nostro impegno a fare meglio, ringraziandola per la sua cortesia e il suo suggerimento di cui faremo tesoro. Un cordiale saluto.
La redazione