Una beccaccia magica
… guardo il cane in ferma, è una piccola statua chiara che stona con il verde e il marrone del bosco, disarmo il fucile e lo appoggio a un cespuglio. Mi avvicino con la telecamera e saluto quel miscuglio di penne, muscoli, istinto primordiale e magia che fragorosamente balza e vola via…
Stagione 2020-2021. Nonostante i nostri amministratori regionali avessero concesso l’apertura della caccia alla beccaccia dal 1° ottobre, in Sicilia fino ai primi di dicembre, cioè poco prima della chiusura stabilita il 31 dello stesso mese, si erano viste poche beccacce. Nella mia zona, poi, la presenza era stata scarsissima. Tra le poche trovate però, ce n’è stata una - perché a ogni stagione ce n’è una che ricorderemo sempre - che mi ha stupito per la sua scaltrezza e che mi ha illuminato su che cosa voglia dire essere ancora oggi un cacciatore di beccacce, mi ha svelato ancora più chiaramente le motivazioni che ci spingono ad amare questo selvatico e a considerarlo magico.
È un sabato pomeriggio dicembrino. Proviamo a trovare qualche beccaccia nei nostri luoghi che quest’anno sono andati completamente deserti. Scendiamo nel fondo della cava dove placide vacche allo stato brado sono messe in fila pronte a tornare in stalla dietro il campanaccio della capobranco. Che suono melodioso si diffonde per la valle; mi ripropongo di ricordarlo quando sceglierò il prossimo campano. Nel frattempo Lucky è in ferma, sotto un intrigo di rovi e cespugli. Mi avvicino, non lo vedo ma percepisco che si trova lì. Percepisco un pestìo, mi chiedo se possa essere la beccaccia a fare questo rumore, così quando parte più in alto sono già pronto ma non le sparo, perché non ho una visuale pulita e con il calibro 28 è meglio non azzardare fucilate inutili per evitare ferimenti. Ormai si è fatta sera e non posso ribatterla, ci diamo appuntamento per l’indomani.
Il giorno inizia con un bel sole, giornata umida e calda. Ci accompagnano Massimo, un amico che condivide molte delle mie idee sulla caccia, e Jeff, il suo setter. Quasi vicino alla rimessa della sera prima il setter va in ferma, penso sia la pastura del pomeriggio precedente, invece il cane blocca in sicurezza. Lucky risale e si mette in ferma anche lui. In due siamo tanti per una beccaccia, così, purtroppo, chiudiamo l’area. Jeff rompe la ferma facendo la sua “c” di accerchiamento, Lucky prosegue centrale all’azione. La beccaccia si vede stretta e parte. Dopo un breve battito d’ali la vedo che mi scende in diagonale a venti metri, il mio tiro preferito, infatti rimango un attimo perplesso quando, dopo il primo colpo, la vedo ancora in volo. La riaggancio e vado di seconda canna poco prima che si occulti dietro un albero. Non la vedo più, mentre Massimo si congratula con me perché l’ha vista venir giù. Non ne sono convinto, infatti non riusciamo a trovarla. Scendiamo più giù a valle e Lucky si prodiga in una ferma rovesciata che è la miglior risposta a tutte le mie elucubrazioni filosofiche ed etiche sull’essere cacciatore di beccacce e sul perché continuare a esserlo, perché abbiamo lavorato tanto per vivere anche una sola scena e un solo momento come questo. La beccaccia va di pedina, ma il breton la tallona alla giusta distanza. Ap
pena arriva allo scoperto decide di partire, la vedo bene e mi sembra in ottima salute, così la saluto con due colpi inutili. Non riusciamo più a ritrovarla.
Di nuovo alla ricerca della beccaccia
Dopo qualche giorno decido di andare nuovamente a cercarla. Mi rendo conto che sono caduto nel tranello della sfida a tutti i costi, non rispettando la vita del selvatico meritevole. Scendiamo soli, io e il mio cane. Trovo tutte le rimesse vuote e penso che qualcuno l’abbia prelevata o che si sia spostata. Ma non trovo tracce di altri cacciatori, mentre molte sono le tracce di diverse pasture. Trovo il cane in ferma al limitare di un angolo cespugliato, mi chino per entrare tra la natura, nel suo regno, la intravedo svolazzare e spostarsi qualche metro più in la. Di nuovo Lucky è in ferma, ma stavolta la beccaccia vola alta e veloce. Si rimette più avanti ma poi, scoprirò, vola via anche da quella rimessa tornando indietro di molto e mandandomi completamente a vuoto ancor più verso valle. Infatti, al ritorno, dopo più di tre ore di caccia e ormai esausto, il cane blocca in ferma in un angolo di bosco piuttosto aperto, dove la luce del sole riflette sulle foglie gialle al suolo diffondendo una luce ambrata tutto intorno. Sono vicinissimo al cane, di fronte a lui, la beccaccia è tra noi, si alza placida dal suo nascondiglio di foglie e rimane sospesa a sfarfallare, mi fissa forse perché le ho chiuso la via di fuga, in quello sguardo chiariamo i nostri ruoli di predatore e preda, non c’è odio, né rancore, ma solo un equilibrio perfetto carico di energia e istinto, ma assente da ogni emozione umana. Cambia direzione, la seguo con il fucile pronto aspettando che si allontani per non sciuparla. Trova un varco nella volta di rami e sale su, la inquadro e sparo. Reclina la testa indietro accartocciandosi, crolla sugli ultimi rami e, come cera liquida, scivola da una fronda all’altra verso il basso. Non sento il tonfo a terra e penso che sia rimasta impigliata. Con calma e sicuro di ciò che ho visto, ricarico e mi avvicino al punto mentre il cane cerca frenetico ma non trova nulla. L’albero su cui è scivolata è troppo pulito per averla trattenuta, c’è solo un cespuglio alla base dove però non c’è traccia alcuna di lei. Lucky si allontana qualche metro e va in ferma. La beccaccia, inspiegabilmente, è già andata via. Nel frattempo si sgancia il collare del cane; lo ritrovo, ma perdo il campano. Da adesso sono cieco.
Caccia alla cieca
Iniziano a frullarmi in testa un sacco di domande e di dubbi: forse è meglio che questa beccaccia la lascio andare, forse è un animale totemico che è meglio non toccare. Ma poi mi dico di no, che è stata solo una congiuntura, che avrà subito un black out momentaneo o che forse l’ho ferita e il cane non è stato in grado di recuperarla. Sta di fatto che uno stanco Lucky la rimette in ferma poco prima di arrivare all’auto, in un piccolo boschetto cespugliato, in linea d’aria non più di 50 metri da dove ho sparato. Non riesco bene a individuare dove si trova perché il cane è senza campano, comunque arrivo in tempo per sentirla partire e intravederla tra le fronde. Azzardo un colpo più per rabbia che per altro, ma il grilletto va a vuoto come se avessi inserito la sicura che però non è inserita. Il meccanismo del sovrapposto sembra si sia inceppato proprio in quell’istante.
Quando lo racconto a Massimo, lui ride e mi consiglia di lasciarla stare, perché questa beccaccia merita di vivere avendo superato tutte queste prove. Così, i giorni successivi mi dedico ad altre beccacce e ad altri luoghi. Intanto la chiusura della caccia alla beccaccia viene prorogata al 10 gennaio.
Chapeau!
Un giorno, mentre sono a caccia, la mente mi riporta insistentemente a quella beccaccia; la ammiro, la rispetto, ma voglio provare ancora a darle scacco per quel maledetto senso di sfida a tutti i costi... Ho cambiato fucile, sempre in calibro 28, ma stavolta ho il semiautomatico. La cerchiamo minuziosamente, ma non troviamo nulla. Poi una rimessa ancora calda, Lucky è elettrizzato, allunga un centinaio di metri, la rimette in ferma. Ma è vuota. Decido di lasciar perdere perché inizia a farsi tardi. Salgo nel pianoro sovrastante, ma il breton mi lascia e scende giù in un tratto di costa intrigata e scoscesa. Mi riavvicino anch’io. Non sento più il campano. Ed è proprio in quell’istante che vedo la beccaccia risalire e venirmi incontro, mi vede e devia leggermente. Il tiro è pulito, non ci sono impedimenti, un bel traversone, sparo il primo colpo, nessun effetto, vado col secondo e non parte, il fucile non mi ha ricaricato il secondo colpo. Sono esterrefatto e sbalordito di tutte le congiunture che mi succedono incontrando questa beccaccia, ma in cuor mio sono contento. Il cane sale trafelato e rimane deluso quando non trova l’animale. Lo faccio calmare. «Adesso, Lucky, vediamo fino a quanto è magica ancora questa beccaccia» e lo guido verso la possibile rimessa, un grande carrubeto incolto, con alberi secolari con le fronde
che arrivano a terra sotto cui nasce rigogliosa dell’erba verde. Al quarto albero Lucky va in ferma, l’abbiamo trovata. La rimettiamo di nuovo in mezzo, mi avvicino e la vedo a terra, tra l’erba, le faccio qualche foto con lo smartphone, rimango indeciso se attivare la telecamera o proseguire l’azione di caccia. Ma guardo il cane che mastica l’aria, è concentrato, è stanco e penso di non deluderlo. «Però solo un colpo» mi dico. Così poso il telefono e mi piazzo. Parte la regina, bassa dal mio lato, non c’è nessun impedimento, la aggancio e faccio partire il colpo, ma proprio adiacente la chioma c’è un alberello selvatico che non avevo visto prima. Lei lo frappone subito tra noi, i 20 grammi di piombo finiscono tutti lì. La guardo ancora incredulo sfarfallare via, mentre Lucky la insegue sperando di vederla cadere.
È il 10 di gennaio. «Visto Lucky, questa volta ci ha attesi, non è scappata al suono del tuo campano, forse perché ho eliminato quel suono acuto, quasi stridulo che emetteva, o forse perché vuole un ultimo saluto». Guardo il cane in ferma, è una piccola statua chiara che stona con il verde e il marrone del bosco, disarmo il fucile e lo appoggio a un cespuglio. Mi avvicino con la telecamera e saluto quel miscuglio di penne, muscoli, istinto primordiale e magia che fragorosamente balza e vola via.
Questo racconto è tratto da “Il senso della beccaccia” di Saro Calvo.