Il richiamo del bosco
… mentre cammino mi accorgo che sto sorridendo e mi sento felice, sono di nuovo qui, tra querce, faggi, larici e sambuchi, libero, con la migliore compagnia che possa desiderare, quella dei miei amati cani…
Quando l’estate è oramai al termine ma ancora il caldo si fa sentire, nell’animo di ogni beccacciaio inizia a farsi largo la voglia di tornare nei boschi, di godere dei colori d’autunno e del silenzio della montagna, di rivivere le emozioni della caccia all’arcera. Tuttavia la consapevolezza che ci vorrà ancora un bel po’ lo spinge verso altre cacce; allora si dedica alle quaglie, alle allodole dove consentito, ai primi tordi, in attesa dell’arrivo delle beccacce.
Quest’anno per me le cose sono andate diversamente. Essendomi beccato lo stramaledettissimo covid durante il mese di agosto, non sono riuscito ad andare a caccia a inizio stagione a causa degli strascichi della malattia che mi hanno costretto a dosare le energie. Dolori articolari, mal di schiena, affanno per fortuna passeggeri, ma davvero fastidiosi. L’arrivo del primo freddo, però, ha risvegliato in me una forte, reale e irresistibile eccitazione, e
prepotentemente rapito da una sorta di sesto senso sono tornato tra faggi, querce e larici con i miei cani, per la prima volta dopo tantissimi mesi, ed è stato bellissimo come sempre.
L’irresistibile necessità di cercare la regina
È il richiamo del bosco, l’irresistibile necessità di doverla andare a cercare perché potrebbe essere già arrivata, magari un’avanguardia giovane, spinta dai primi venti di levante e così le preoccupazioni, le ansie, la paura di non essere ancora in forma, di aver anticipato i tempi e tutte le fottute paranoie di questi tempi bui come per magia sono scomparse. Ho ritrovato allora la dolce melodia dei campani, il profumo del muschio, il fruscìo dei rami spinti dal vento, il mormorio del ruscello, lo zirlo del tordo e il canto di una rossa, in lontananza; chissà dove sarà nascosta. È novembre. Il bosco sembra già pronto ad accogliere la sua regina, i cortigiani ci sono tutti, apparentemente manca solo lei. Le cagne girano, con ritmo piuttosto blando ma girano nonostante siano passati tanti mesi dall’ultima volta che siamo stati qui, forse un anno; sembrano padrone del territorio, con disinvoltura e costanza esplorano gli angolini e le posate, hai visto mai che si possa trovare qualche sorpresa. La bracca prende un po’ più terreno delle spinone. Grinta è così, disegna traiettorie tutte sue e scompare per qualche minuto, poi però puntualmente rientra e me la vedo riapparire da dietro. Misty e Galizia invece si scambiano terreno con una meticolosità certosina, esplorano ogni angolo del bosco come il laser di uno scanner su un documento; impressionante! E mentre sono assorto tra le mie riflessioni, gongolando sul lavoro del mio team a quattro zampe, mi accorgo che tutto tace.
Improvvisamente tutto tace
I campani non si sentono più eppure li avevo nelle orecchie meno di un istante prima, erano avanti sulla destra. Avverto poi il suono che mi indica la bracca farsi mano a mano più vicino mentre la cagna rientra come al solito alle mie spalle, risalendo dritta verso il punto in cui poco prima avevo udito le spinone e percepisco nitidamente quell’attimo di sospensione in cui anche il suo campanaccio sardo si ammutolisce. È ferma, in consenso. Solo chi va a beccacce con grande passione, e immagino la maggioranza di coloro che stanno leggendo queste righe, sa quanto forte possa battermi il cuore in questo momento.
Non è possibile dai, non può essere lei, ma le cagne sono ferme. E se fosse quella rossa? Magari una piccola brigatina fra le ginestre. Mi avvicino piano o almeno ci provo perché l’emozione è talmente inaspettata che faccio veramente fatica a trattenerla; mi sento come un novellino alla sua prima uscita, è incredibile quanto sconvolgimento emotivo possa provocare questa caccia. Il passo si fa leggero, le tre ragazze sono immobili. Mi accorgo che la bracca con la coda dell’occhio segue più i miei movimenti che quello che le accade davanti. Mi trovo a una quindicina di metri dal trio. Nonostante l’avvicinamento molto cauto faccio un po’ di rumore per sfrascare il fitto del bosco; siamo agli inizi della stagione e ancora da qui non è passato nessuno, è fittissimo. Un altro passo e… un frullo! I campani riprendono freneticamente la loro melodia, le cagne tirano dritto in avanti, il palmare le porta già a 250 metri. Ma che cosa è successo? Era una beccaccia, era una beccaccia lo so, lo sento, la prima di questa stagione e ci ha fregato così, come novellini.
Per come ci ha gabbato, doveva essere un’adulta eppure a migrare per primi sono sempre i giovani. Mah, che grande mistero questo scolopacide.
Intanto le cagne rientrano, come drogate, la loro andatura è decisamente un’altra, le aperture si fanno più ampie, la cerca visibilmente più avida, come a voler inghiottire ogni centimetro di terreno, adesso hanno qualcosa nel naso e nel cuore che le spinge forte. È il richiamo del bosco. Anche io mi sento diverso. Immensamente pervaso da nuovo entusiasmo, avanzo ormai con passo agile, spingendo con le gambe come se mi fossi allenato per tutta l’estate, cerco la salita come Pantani cercava il Mortirolo, ho voglia di andare, andare e andare. Mentre cammino mi accorgo che sto sorridendo e mi sento felice, sono di nuovo qui, tra querce, faggi, larici e sambuchi, libero, con la migliore compagnia che possa desiderare, i miei amati cani e una regina che da qualche parte mi sta aspettando.