L’ULTIMA BECCACCIA: QUANDO L’ETÀ COSTRINGE A DIRE STOP
È strano, la prima beccaccia non la ricordo. Forse è cacciando per le valli intorno. Ho un vago sfumato ricordo su un viottolo dei boschi di Vallarga, mentre andavo a tordi e merli con il 28, ma non ne sono sicuro.
L’ultima sì, la ricordo bene. Toby, l’ultimo dei miei pointer, andò in ferma in una radura fuori da dei boschetti di acacia, su un pendio, nei territori aridi introno a Souflì nella valle dell’evros in Grecia. La stagione secca aveva esasperato i misteriosi sapori e gli odori umidi delle radici di acacia e le beccacce erano solo e soltanto lì. Era non molto tempo fa. Poco prima avevo avuto un incontro sorprendente e unico con una beccaccia “squillo”. Ero appena arrivato nei pressi di un cespuglione fitto di rovi in mezzo alle acace, dove poco prima era passato sopra Apostolos, il mio giovane com
pagno di caccia. La Tem alzò il muso in mezza ferma, il cellulare nel taschino della giacca squillò prepotentemente e in contemporanea, con trambusto di frasche rotte, sbucò fuori incazzata una beccacciona che cadde. Era rimasta rintanata nel fitto più fitto che più non si può e solo lo squillo - anomalo nel suo ambiente di difesa - l’aveva convinta all’involo. Allora poi risposi al telefono ed era il mio amico Elias di Atene (da anni socio anche del Club della Beccaccia Italia) che voleva essere aggiornato sulle presenze di beccacce nel nord della Grecia. Questa fu la beccaccia “squillo”. Tutto questo è avvenuto in Grecia - ho la licenza greca da più di dieci anni - ma avevo già girato il mondo per anni cacciando beccacce in Jugoslavia, Scozia, Irlanda, Bulgaria, Iran (sulla costa del Mar Caspio), Russia e poi per ben dieci anni sulla costa del mar Nero, di certo i migliori posti in Europa durante la migrazione autunnale. Qui, dopo la pensione, ho vissuto favolose giornate pieni d’incontri, godendo di un passo eccezionale; condizioni irripetibili per qualsiasi appassionato beccacciaio. Ma prima della pensione (anni Novanta) avevo potuto cacciare le beccacce soltanto per brevi periodi, ricavati in mezzo a una vita lavorativa troppo intensa; troppo poco per un definirmi un vero beccacciaio. Erano esperienze di uno pseudo beccaciaio.
Ora che la vecchiaia la passo nelle valli di gioventù intorno a Fabriano, i ricordi più lontani vanno anche alle cacce novembrine di Monte Maggio, Vallarga, Chiavellare, Val di Castro, Vallacera, Lentino, Laverino, Trofigno (qui l’ultima maledetta padella); ricordi che poi, nei dieci anni dopo la pensione, ho un po’ ravvivato con i miei tre pointer, che ho vissuto anche a starne e cotorne per 12 anni.
Tanti episodi si accumulano ora nella memoria, ora che nei giorni della settantesima licenza di caccia sono costretto a rendermi conto che è troppo pericoloso e faticoso avventurarmi in bosco e per salite. Eppure, poco prima del covid, ancora con Manlio, ora novantunenne, siamo andati un paio di volte a cercar beccacce. Avevamo individuato una bella e facile faggeta baciata dal primo sole, ma ci sono passati avanti due giovani cacciatori che in un batter d’occhio ci hanno bruciato la beccaccia che in effetti era lì. Così va oggi la vecchiaia dei cacciatori di beccacce.
Nel corso della mia vita di cacciatore, accanto alle giornate di caccia ho dedicato tempo e passione anche ad alcune attività di studio e di ricerca con
l’intento di valorizzare e difendere la caccia. Ho creato il sito “La beccaccia scientifica”, che per oltre dieci anni ha raccolto contributi scientifici con focus specifici sulla Scolopax rusticola. E molte di questi contributi sono stati pubblicati negli anni anche da Beccacce che Passione. Una vera perla - unica nella letteratura scientifica - era l’atlante fotografico di anatomia della beccaccia, ora riproposto dal sito di Amici di Scolopax. L’atlante fu presentato anni fa per iniziativa e su invito del professor Silvio Spanò al congresso della Fanbpo che si svolse a Parma. Ora la pubblicazione di nuovi contributi e studi su “La Beccaccia Scientifica” è cessata, perché è corretto così, essendo cessate anche le mie attività di beccacciaio. Ora mi dedico a nuovi studi collaborando con il Club italiano del colombaccio (Italian Journal Wo
odpigeon Research) dato che pratico ancora la caccia all’uccello blu, attività ancora accessibile per un vecchio pseudo beccacciaio ormai in disuso come tale. Quindi, seppur i ricordi sono tanti e potrebbero divenire stucchevoli esposti tra le nostalgie senili, forse è bene - anche per i pochi miei più o meno coetanei ancora in attività - concludere questa breve storia di vita venatoria, ma solo quella storia dedicata alla beccaccia. Perché, come recita una bella vignetta americana, “non smettere di essere cacciatore quando invecchi, perché diventi realmente vecchio quando smetti di andare a caccia”. Così in questi giorni questo vecchio pseudo beccacciaio ha rinnovato la sua settantesima licenza di caccia.
Enrico Cavina
rappresentare la Caccia
Sfogliando le pagine di questa rivista mi è frullata in mente qualche riflessione, soprattutto guardando le foto dei carnieri. L’ostentazione della morte, fucile e proprietario. Possibile che non si riesca a capire che tutto quello che viviamo lo dobbiamo solo a loro, ai nostri cani, ai nostri inseparabili e insostituibili compagni di avventura. Sarebbe bello mostrare foto delle loro azioni, dei loro momenti di relax. Ritratti di momenti vissuti anche al di fuori dell’azione venatoria. Mi piacerebbe vedere anche un solo numero all’anno della rivista che non contenga foto con la “morte”. Il fucile e la morte. Immagini che raccontano non l’atto finale, ma tutto quello che è vissuto prima, anche al di fuori dell’attività venatoria. Un’ultima riflessione. Se la caccia è vista e considerata da una parte dell’opinione pubblica una pratica aberrante, dobbiamo senza alcun dubbio ringraziare quella parte del mondo venatorio che con il suo comportamento ha fatto sì che ciò sia avvenuto. Non dimentichiamo che l’atto finale della caccia, passione che ci avvolge, è “la morte”; difficile da comprendere e accettare fuori dalla nostra realtà.
Mirco Ragaini