SMART LISTENS TO THE HEAD. STUPID LISTENS TO THE HEART
Dieci anni e mezzo fa uscì l’unica campagna pubblicitaria capace di farmi inchiodare con l’auto e tornare indietro per guardarla meglio la prima volta che la vidi affissa.
Si tratta della “Be stupid”, di Diesel.
Qualcuno di voi certamente se ne ricorda. La creatività era incentrata sull’apparente esaltazione della stupidità, con claim provocatori sovrapposti a visual improbabili.
Ho scritto “apparente” perché in realtà il messaggio, lungi dall’esaltare la stupidità, condannava il culto della personalità, gli eccessi d’autostima, i piedistalli su cui in troppi – rimbambiti per eccesso di benessere – avevano preso l’abitudine di porsi.
Si era a marzo 2010 e il mondo era ancora schiacciato dalla crisi finanziaria scoppiata a settembre 2008 col fallimento della banca d’affari Lehman Brothers.
Beh, il mio primo pensiero fu che puta caso a dirigere quel fallimento era stata la tribù degli “smart”, degli intelligentoni. Scagli la prima pietra chi non ha mai visto i posti da dirigente tramutarsi in scranni di potere fine a se stesso, in troni occupati da gente di dubbia moralità dedita alla vessazione se non alla schiavizzazione.
E chi sta sotto di loro è trattato appunto da stupido, per la serie: comando io, ascolta, impara ed esegui! «The world is full of smart people doing all kinds of smart things», dicevano i claim e le body copy della campagna Diesel. «That’s smart. Well, WE’RE WITH STUPID. Stupid is the relentless pursuit of a regret-free life. Smart may have the brains, but stupid has the balls. Smart recognizes things for how they are. Stupid sees things for how they could be. Smart critiques, stupid creates».
Un concept vertiginoso per una pubblicità alla quale si può porre l’unica obiezione d’aver valicato le proprie capacità di contenuto. La comunicazione commerciale è come una piccola botte che può anche dare buon vino ma è a forte rischio di tracimazione, e qui, più che tracimato, si è finiti nell’esondazione totale. Questa è filosofia, altro che réclame. Ce n’è per un corso di laurea in sociologia, in psicologia sociale, in scienza della politica. «It’s not smart to take risks, it’s stupid. To be stupid is to be brave. Stupid isn’t afraid to fail: stupid knows there are worse things than failure. Like not even trying».
Quando parlo di questa campagna vengo pesantemente attaccato da quanti ci leggono una diminuzione di ruolo, quasi che la cultura del fare, dello sporcarsi le mani assumendosene i rischi, fosse un passo indietro rispetto a un mondo uso a soppesare i costi e i benefici, le minacce e le opportunità. Ebbene, bisogna intendersi: se analizzare un problema prima di risolverlo significa giocare allo scaricabarile preventivo, sapete che vi dico?
Viva la generazione dei miei genitori, che con la quinta elementare e senza troppe chiacchiere hanno fatto il boom economico.
Viva quelli che, avendo il coraggio di sbagliare, indicano la via da non seguire a chi verrà dopo di loro. Viva quelli che dicono di sì, perché “meglio un capitombolo che non provarci mai” (è un verso di una canzone molto popolare ai miei tempi).
Su quest’ultimo punto la mia non è parola qualunque, ma di uno che di “no” ne ha ricevuti a bizzeffe, guardate la mia foto nella biografia della pagina seguente e indovinate il perché…