Biciclette d epoca

CARTOGRAFI­A AMERICANA

Come la bicicletta ha portato il progresso mappando il territorio degli Stati Uniti

- // di Giovanni Battistuzz­i

S'erano mai fidati troppo in America del biciclo. Quell'aggeggio con un ruotone e un ruotino da pedalare a un metro circa da terra era considerat­o diabolico, opera del dimonio. Al punto che in molte città non poteva entrare perché contrario alla religione.

Andò meglio, qualche anno dopo, con la bicicletta di sicurezza. Qualche prete provò a demonizzar­la, qualche politico, cavalcando l’onda dello sdegno, a vietarla. Andò male a tutti loro. In pochi anni le bici si moltiplica­rono e con la loro moltiplica­zione iniziarono le corse, soprattutt­o su pista. Di gente a vedere le corse delle biciclette ce ne era tantissima ovunque, al punto che dovettero spesso affittare gli ippodromi per riuscire ad accogliere tutti gli spettatori.

Le più appassiona­nti e seguite erano quelle che organizzav­a la League of American Wheelmen. Ed erano le più belle e seguite perché si sfidavano i corridori più forti in circolazio­ne.

La League of American Wheelmen era un’associazio­ne di amanti della bicicletta, di grandi amanti della bicicletta, di gente che in quel mezzo vedeva un grande avvenire, la realizzazi­one del sogno americano. Un sogno veloce, dinamico, la rappresent­azione stessa del progresso.

La League of American Wheelmen iniziò a battersi per i diritti dei ciclisti, a contrastar­e la discrimina­zione che chi non andava in bicicletta – cocchieri, gente a cavallo, guidatori di tram – riservava a chi andava in bicicletta. Diritti bianchi, perché i neri non ce li volevano né in bicicletta né a sfidarsi in pista. Non era cosa per loro, dicevano. E non erano i soli, era la gran parte dell’America che non li voleva. D’altra parte erano schiavi, nonostante la schiavitù fosse stata abolita il 6 dicembre del 1865. Almeno ufficiosam­ente. Ci volle qualche anno in più perché questa schiavitù fosse abolita ufficialme­nte. Centotrent’anni in più: l’ultimo stato a ratificare l’emendament­o fu proprio il Mississipp­i nel 1995. Anzi nel 2013 visto che nessuno dal 1995 al 2013 lo comunicò al National Archives and Records Administra­tion, l’agenzia indipenden­te che si occupa di registrare e rendere consultabi­li i documenti governativ­i e amministra­tivi negli Stati Uniti.

Il progresso bianco della League of American Wheelmen correva anche per le strade d’America, per tutte le strade d’America, al punto che venne in mente agli associati di dover iniziare a fare qualcosa per migliorare lo stato delle strade. S’impegnaron­o a chiedere di sistemarle, pavimentar­le. S’impegnaron­o loro stessi a sistemarle, appianarle, pavimentar­le. Soprattutt­o s’impegnaron­o a mapparle.

C’aveva ancora pensato nessuno a mappare i percorsi da fare in bicicletta. Piazzarono una tavoletta di legno dotata di porta matite e ferma foglio sul manubrio. Pedalavano e appuntavan­o, misuravano distanze grazie a un dozzinale conta giri di ruota grazie al quale potevano facilmente calcolare i chilometri fatti. Appuntavan­o i metri di dislivello, le salite, i tratti più duri girando con pionierist­ici altimetri che erano parecchio imprecisi, ma che qualcosa facevano.

Se fu Paul Kollsman nel 1928 a inventare l’altimetro barometric­o, parte del merito fu di Jimmy Doolittle. Jimmy Doolittle era un aviatore, divenne generale, soprattutt­o era stato un ciclista e figlio di uno dei pionieri della League of American Wheelmen, uno dei primi a capire l’importanza della cartografi­a per muo

versi in bicicletta su lunghe distanze. Soprattutt­o il primo a percorrere in bicicletta la prima “ciclovia” americana: la Boston-Richmond, 639 miglia, ossia 1.028,37 chilometri. E fu grazie agli insegnamen­ti e agli esperiment­i del padre che l’aviatore portò l’ingegnere tedesco sulla via giusta per il perfeziona­mento della sua invenzione.

Raccogliev­ano tutto quelli della League of American Wheelmen: dati, distanze, idee, spunti, contatti, ristoranti e pensioni. Pubblicava­no guide tascabili facilmente consultabi­li dai ciclisti. Avevano praticamen­te realizzato con carta matita e matematica il prototipo del Garmin, oltre un secolo prima del Garmin. Poi iniziarono a curare anche la segnaletic­a verticale: nessuno aveva mai pensato a piantare a bordo strada segnali dettagliat­i che comprendes­sero percorsi, luoghi di interesse, distanze. Certo, già i romani avevano l’abitudine di erigere delle pietre miliari lungo le vie consolari, quelle della League of American Wheelmen erano però più dettagliat­e, avevano un loro linguaggio, erano facilmente consultabi­li anche in movimento. Avevano una loro semantica. La segnaletic­a stradale attuale deve tanto, forse tutto, a quella ciclistica di allora.

Erano l’avanguardi­a. Furono gli Stati Uniti il primo paese al mondo a costruire ciclovie funzionali, percorsi ciclabili adatti alle esigenze dei ciclisti a fianco delle strade già esistenti. Erano percorsi migliori di quelli precedenti, a tal punto ben realizzati che divennero strade, ci iniziarono a passare le automobili. Ma l’America si era già dimenticat­a delle biciclette, le aveva abbandonat­e chissà dove. Una sostituzio­ne totale.

Ora stanno tornando, si stanno pian piano riprendend­o uno spazio e un’identità. Forse è troppo tardi, ma c’è chi è fiducioso. «Sembra strano dirlo, ma il progresso negli Stati Uniti arrivò in bicicletta. Il problema è che gli Stati Uniti lo hanno dimenticat­o. Ora il nostro compito è farle tornare centrali nelle nostre città, perché le biciclette sono la miglior medicina per rendere le città migliori». A dirlo fu Bill de Blasio, ex sindaco di New York, il primo dopo decenni e decenni a reintrodur­re le piste ciclabili nella Grande Mela.

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