Robert Capa al Tour del '39
Un grande fotografo impegnato a raccontare le strade di Francia
Su BE63 abbiamo narrato gli eventi del Tour de France del 1947, quello della rinascita dopo il secondo conflitto mondiale e vinto in maniera rocambolesca da Jean Robic “Testa di vetro”. Questa volta facciamo un ulteriore passo indietro e andiamo a raccontare il Tour precedente, quello del 1939 (sì, ben 8 anni prima!) vinto dal belga Sylvère Maes, che bissò il successo del 1936. Tra l’altro fu l’ultimo belga a vestirsi di giallo prima del lungo digiuno interrotto soltanto 30 anni dopo dal “Cannibale” Eddy Merckx, nel 1969. Secondo arriverà il giovane e sfortunato talento transalpino René Vietto, che proprio in questa edizione otterrà il suo miglior piazzamento al Tour nonostante a fine carriera avrà messo a segno otto tappe e indossato la maglia gialla per ben trentun giorni.
A fare la grandezza di un evento sportivo come il Tour de France non sono solamente la carovana pubblicitaria o i milioni di persone che assistono alla gara a bordo strada, i corridori provenienti da tutto il mondo e le centinaia di giornalisti al seguito. A dare popolarità al Tour ci sono stati anche fior fiore di fotografi, e tra di essi uno in particolare, che per molti è stato il più grande fotoreporter di guerra mai esistito: Endre Ernő Friedman, in arte Robert Capa. Siamo nel 1939 e oramai la guerra anche per il popolo francese è alle porte, il Tour si corre per la trentatreesima volta. 18 tappe, di cui ben 8 frazionate in 2 o addirittura 3 semitappe, da correre tra il 10 e il 30 luglio sulla distanza di 4224 km. Era definita il “Grande ricciolo” (Grand Boucle), poiché veniva percorsa delineando il perimetro della Francia a differenza dei percorsi dei giorni nostri, dove raramente si parte dal luogo di arrivo del giorno precedente. Tra i 79 ciclisti al via mancano, per ovvi motivi, sia gli italiani sia i tedeschi, ma pure gli spagnoli, decimati dalla guerra civile. Proprio una foto scattata da Capa in Spagna e pubblicata dalla rivista americana Life, “Il miliziano colpito a morte”, lo renderà internazionale nel mondo del fotogiornalismo. Ci sono i belgi con due squadre e due vincitori veterani, gli svizzeri, i lussemburghesi e gli olandesi e poi, ovviamente, i francesi con cinque formazioni, una nazionale e quattro regionali. Molti dei precedenti vincitori e favoriti della
corsa sono assenti: chi si era fatto male e chi era stato escluso per ragioni politiche. André Leducq, che aveva vinto nel 1930 e nel 1932,e Antonin Magne, vincitore nel 1931 e nel 1934, si erano ritirati l’anno precedente. Mancavano anche il vincitore dell’edizione del 1933, Georges Speicher, mentre il vincitore dell’edizione del 1937, Roger Lapébie, era infortunato. Il grande favorito italiano Gino Bartali, trionfatore l’anno precedente, non era al via per ovvie ragioni politiche. L’ennesimo Tour perso per Bartali, che sarebbe potuto invece diventare il più grande corridore nella storia del Tour.
UN OCCHIO CURIOSO
Capa ha appena 25 anni ma è famosissimo. Di lui diranno: “È in grado di fotografare il movimento, l’allegria e lo sconforto. È in grado di fotografare il pensiero”. Scatterà le foto con una piccola 35 mm Contax. Questo gli dava grandi vantaggi in quanto poteva scattare molte foto velocemente e in condizioni variabili. Tra autostop e passaggi in motocicletta (con le strade piene di buche e le moto con sospensioni inesistenti) documenta la corsa con il suo personalissimo stile, non presta troppa attenzione alla gara in sé quanto al contorno e al contesto: il pubblico appassionato, lo speaker dalle movenze pompose e i tanti ragazzini totalmente rapiti dall’evento; e ancora il personaggio dai baffi a sciabola e i motociclisti al seguito. Per i protagonisti delle due ruote, invece, sceglie gli attimi legati al riposo o allo svago, ai momenti di ristoro. Protagonista del reportage anche il vecchio Henri Desgrange, alla sua ultima recita come condottiero del Tour, immortalato a tavola in più di un’occasione. Paradossalmente, gli scatti che rimarranno più impressi nella memoria collettiva saranno quelli dove la bicicletta e i corridori non appaiono ma sono una presenza tangibile, due scatti che descrivono l’essenza di questo sport per tutte le persone che assistono all’evento: l’attesa e il ricordo.
Capa si apposta nei pressi del negozio di bici Pierre Cloarec, uno dei francesi in gara, a Quimper il 13 luglio 1939.
Nella prima foto si vede una ventina di persone, perlopiù ragazzi, con i volti girati a destra in trepidante attesa dell’arrivo dei “seminatori di energia”, come ebbe a definirli H. Desgrange (l’attesa). La seconda li ritrae pochi istanti dopo il loro passaggio con la testa girata dal lato opposto (il ricordo). Il pubblico del ciclismo è meraviglioso, un giorno intero ad aspettare il passaggio dei propri eroi che svaniscono in una manciata di secondi ma quel tanto che basta per fissarsi, non su pellicola, ma sulle menti e i cuori per tutta la vita…
Ma meraviglia si somma a meraviglia, tra i concorrenti fotografati da Capa c’è anche Cloarec, il proprietario del negozio che, come si evince dalle scritte sulla vetrina, vende bici marca Mercier e A. Leducq e che proprio il giorno prima ha vinto la tappa che da Rennes arrivava a Brest. Si riconosce
anche il figlio Pierrot, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo in lontananza come un indiano, in attesa di poter riconoscere il padre e ancora il piccolo intento a raddrizzare la ruota del suo “cavallo d’acciaio” che ci piace pensare si sia storta in una piccola caduta dovuta all’eccitazione del passaggio della corsa. Nonostante mancasse una manciata di settimane alla guerra, gli spettatori sono ovunque: sui colli, sulle vette, sui pali del telegrafo, sulle finestre e sopra gli alberi. Nei volti dei personaggi nulla traspare che possa essere diverso da sentimenti quali stupore, umanità e bellezza. Forse davvero per il popolo francese il ciclismo ha rappresentato l’unico sollievo, in una nazione che si stava preparando a combattere.
Vietto tiene la maglia per quindici giorni, fino ai piedi delle Alpi. Ai piedi di quelle montagne Sylvère Maes sale
in cattedra, Vietto crolla perdendo diciassette minuti dal rivale. Il giorno seguente la giornata è frazionata in tre semitappe: di buon mattino fa freddo e si scala l’Iseran e poi a seguire una crono, con Vietto che perde altri dieci minuti. Al Parco dei Principi “L’aquila Nera” Marcel Kint dà il tocco finale al dominio dei belgi. Da ricordare che nel 1939 i corridori, oltre che partecipare per squadre nazionali, dovevano utilizzare le bici fornite dall’organizzatore del Tour, il giornale L’Auto. Questa cosa non era apprezzata dai concorrenti, che avrebbero preferito pedalare sulle loro raffinate bici fatte su misura.
FOTOGRAFO DI GUERRA
Capa, di questo Tour, ci avrebbe regalato tanti scatti, ma molti di questi non furono utilizzati mentre altri furono pubblicati, come abbiamo detto in precedenza, nella rivista Match, nello specifico nei numeri 55 e 56 nel luglio dello stesso anno. Nel numero 55 è presente la storia della famiglia di Pierre-Marie Cloarec e della loro giornata in cui il Tour ha visitato Quimper, dove era presente il famoso negozio di biciclette. Nel numero 56, invece, la storia principale del Tour riguarda René Vietto e il ritiro del campione belga Romain Maes (vincitore nel 1935). Questo tipo di fotogiornalismo aiutava molto a vendere numerose copie.
«Spero di rimanere disoccupato come fotografo di guerra fino alla fine della mia vita», amava dire Capa, che invece proprio per documentare l’ennesimo conflitto, a Thai Binh in Vietnam, perse la vita su di una mina antiuomo nel 1954, a soli 41 anni. Capa, che nel 1947 fondò l’agenzia Magnum assieme a David Seymour, George Rodger, William Vandivert e quel Henri Cartier-Bresson che, come Capa, ci ha lasciato dei ritratti memorabili legati al mondo delle corse. Non solo del Tour de France ma anche quelle della Sei Giorni in pista, al Vel d’Hiver a Parigi nel 1957, che sono ancora più emozionanti.