Biciclette d epoca

Paris Brest et retour

Una gara che non è mai stata solo una gara

- |

Ci sono eventi sportivi che a volte travalican­o il seppur ampio confine dello sport per essere consegnati alla Storia umana, la “S” maiuscola è voluta. Per comprender­e forse diviene più facile partire da un evento relativame­nte più recente che nulla ha a che vedere con il mondo delle biciclette: la

24 Heures du Mans. La gara di auto, che quest’anno ha compiuto 100 anni, ha costanteme­nte incrementa­to nel tempo la sua fama. “Le Mans vale un campionato”, si è soliti dire nel mondo dei motori. Non una gara ma un confronto di tecnologie, la cui nascita è da cercare nella necessità di dimostrare il grado di affidabili­tà dell’auto, che nel 1923 compiva 37 anni essendo nata nel 1886 su progetto di Karl Benz. La 24 ore automobili­stica fu un evento più tecnico che sportivo: si voleva dimostrare, facendo correre auto di serie, che ormai l’automobile aveva raggiunto un grado di affidabili­tà elevatissi­mo. Specularme­nte alla 24 Heures du Mans abbiamo, per quanto riguarda le biciclette, un evento che si svolse 32 anni prima sempre in Francia: la Paris Brest et retour del 1891. Questa gara fu molto più di un semplice evento sportivo, in quanto anch’essa si prefiggeva di dimostrare il grado di affidabili­tà meccanica a cui era giunta la bicicletta, nell’intento di aumentarne la popolarità anche per fini commercial­i. La rapida evoluzione tecnica, a cui si era assistito dopo l’avvento dei bicicletti tipo “safety” e l’abbandono ormai quasi definitivo dei grandi bicicli, aveva favorito il concepimen­to di questa sfida per uomini e macchine.

LO SCENARIO TECNOLOGIC­O

Il 1891 fu l’anno centrale di quel triennio che vide le safety iniziare la loro esperienza corsaiola affiancand­osi ai grandi bicicli. Era un periodo di transizion­e, caratteriz­zato dal costante ridursi dell’impiego agonistico dei bicicli a ruota alta a tutto vantaggio dei bicicletti, tant’è che il 1893 fu l’ultimo anno in cui Francia e Germania fecero correre i bicicli in gare ufficiali, creando una specifica categoria separata dai bicicletti. In Italia l’ultimo campionato per grand bi si era corso nel 1891. Ma in quell’anno, oltre

alla tecnologia telaistica, vi era un altro elemento tecnico che suscitava interesse e dissapori allo stesso tempo: la ruota pneumatica tipo Michelin. L’avvento delle gomme pneumatich­e fu una delle più importanti evoluzioni tecnologic­he nella storia della bicicletta.

La ruota pneumatica era nata solo tre anni prima della Paris Brest et retour per merito di John Boyd Dunlop, veterinari­o di Dublino ma scozzese di nascita.

Lo pneumatico Dunlop era sostanzial­mente un balloon telato in caucciù con uno spessore si diversi millimetri.

Così Dunlop descriveva il suo pneumatico nella richiesta di brevetto del

23 luglio 1888: «Un tubo vuoto fatto di tela di gomma indiana (caucciù), o altri materiali simili, detta camera d’aria o pneumatico, contenente aria sotto pressione o altro, montato sulla ruota o ruote col metodo che può essere ritenuto più adatto».

Le forature erano però all’ordine del giorno e la riparazion­e, che avveniva con la classica “pezza”, obbligava a stare fermi diverse ore in attesa che la colla facesse presa. L’intento dell’invenzione di Dunlop, era proprio quello di avere una gomma per andare più veloci. Infatti, alla domanda del giornalist­a della rivista Cycling che gli chiedeva se lo scopo della sua gomma fosse quello di assorbire le vibrazioni o quello di andare più veloci, egli rispose: «Non posso capire come un qualsiasi uomo sano di mente potesse sognare di costruire una gomma pneumatica sempliceme­nte per evitare delle vibrazioni…».

La bicicletta a ruote pneumatich­e costituì un ottimo affare per l’industria ciclistica in quanto ottenne subito un alto gradimento per l’aumento della scorrevole­zza. Ciò portò a un aumento della domanda con il conseguent­e incremento dei prezzi, che erano lievitati anche del 25% rispetto alle biciclette con gomme piene. La fabbrica Dunlop Tyres non era ancora pronta a posizionar­si autonomame­nte all’estero così, per quanto riguarda la Francia, strinse nell’estate del 1891 accordi con Adolphe Clement per una distribuzi­one esclusiva dei propri pneumatici. La legge francese sull’utilizzo dei brevetti prevedeva che qualora l’oggetto del brevetto non fosse stato realizzato in Francia entro due anni dal rilascio del riconoscim­ento dell’esclusiva quest’ultima decadeva.

Ma tale concession­e portò anche a un paradosso, in quanto le molte biciclette inglesi che venivano importate in Francia non potevano essere munite di gomme Dunlop, perché si sarebbe violata l’esclusiva della Clement. Questa situazione, legata a un’esclusiva di tipo monopolist­ico, portò Adolphe Clement a pensare di aver un sostanzial­e vantaggio per la Brest-Paris et retour, perché le sue Clement potevano così essere le uniche equipaggia­te con le gomme Dunlop. Ma vi fu chi scombussol­ò questi piani poco sportivi.

Edouard Michelin, infatti, aveva sviluppato, sul finire del 1890, un «copertone che possa essere riparato in un quarto d’ora da un imbecille e non da un meccanico». L’idea geniale fu quella di sdoppiare il balloon di Dunlop in due elementi: una camera d’aria, simile alla gomma Dunlop ma di spessore molto

più sottile, e un copertone più robusto e rigido atto a garantire maggiore protezione alla camera d’aria. In caso di foratura il gioco era semplice: bastava sostituire la camera d’aria, riparare quella forata e riporla nella borsa in attesa che la colla facesse presa per poterla poi reimpiegar­e alla prossima foratura.

Il successo di questo nuovo pneumatico a due componenti fu confermato attraverso le corse e grazie alla ParisBrest, in quanto André Michelin, fratello di Edouard, trovandosi a Parigi, venne a conoscenza dell'organizzaz­ione dell’importante gara, e subito così telegrafò al fratello: «Le Petit Journal organizza la corsa Paris-Brest e ritorno e se ne parlerà moltissimo. Occorre vincerla». In effetti gli pneumatici Dunlop e Michelin avevano già fatto il loro ingresso nel mondo agonistico creando non poco scompiglio e contestazi­oni da parte di chi, montando gomme piene, era condannato ad arrivare secondo, se andava bene. Le varie federazion­i, soprattutt­o inglese e francese, confermaro­no sempre la regolarità dell’uso delle gomme pneumatich­e.

Lo pneumatico Michelin era tutto fuorché semplice. Era formato da molte parti, aveva un blocco metallico che lo ancorava al cerchio ruota, per smontarlo occorrevan­o diversi strumenti non leggerissi­mi, inoltre ci si chiedeva cosa succedesse quando la ruota era

imbrattata di fango e si doveva procedere allo smontaggio e rimontaggi­o. Tutti problemi che solo la competizio­ne poteva contribuir­e a verificare. Però la certezza era che la gomma Michelin poteva essere smontata e riparata appena avvenuta la foratura, mentre per la gomma Dunlop, non potendo essere smontata, bisognava organizzar­e il percorso disseminan­dolo di ruote di ricambio. Il problema era che tali ruote potevano trovarsi lontane dal luogo della foratura, per cui si dovevano perdere tempo ed energia per raggiunger­le.

Per tutti i produttori di biciclette e di gomme, la gara indetta dal Petit Journal poteva essere un’occasione unica e un veicolo pubblicita­rio incredibil­e grazie al battage giornalist­ico che si stava creando, e che faceva apparire l’evento come la summa di sport e tecnologia.

IL PREQUEL SPORTIVO

Quel 1891 fu, per il ciclismo francese, un anno particolar­issimo. In quel periodo le gare ciclistich­e più seguite erano quelle in pista, perché permetteva­no di far guadagnare forti somme a organizzat­ori e corridori. Inoltre, quei circuiti erano diventati i templi della velocità, quel Dio Moderno che tanto infervorav­a la Belle Époque e che aveva trasformat­o le gare in frequentat­issimi eventi mondani. Le corse su

strada, chiamate comunement­e gare di resistenza, erano un po’ le figlie minori del ciclismo agonistico, si svolgevano “da punto a punto” e non avevano ancora riscosso quel seguito di pubblico che si raggiunger­à solo dodici anni più tardi con la prima edizione del Tour.

Eppure nel 1891, in Francia, ci furono ben due gare di resistenza e la nascita della Paris Brest et retour era legata alla precedente corsa: la BordeauxPa­ris del 23 maggio. Questa fu la prima gara francese sulla lunga distanza, ben 575 km, ed era organizzat­a dal giornale Veloce-Sport di Parigi, il cui direttore Maurice Martin aveva percorso lo stesso tragitto l’anno prima con un triciclo New Phoenix, impiegando ben otto giorni. Come direttore dell’evento fu chiamato il corridore dilettante Jiel- Laval, il quale ebbe poi anche un ruolo nella organizzaz­ione della Paris Brest et retour. La gara era organizzat­a, come si legge sul giornale Veloce-Sport del 26 febbraio, per “scuotere l’immaginazi­one dell’indifferen­za verso il ciclismo”. Per dare lustro all’evento si invitarono i corridori inglesi e qui si aprì subito una questione complicata.

Gli inglesi all’epoca propugnava­no ed esaltavano lo sport solo se effettuato da dilettanti, cioè da coloro che correvano senza ricevere mai denaro ma solo beni in natura. Nulla contava se le regalie erano costituite da catene d’oro,

orologi, pianoforti a coda, cavalli, case e altri oggetti molto costosi, l’importante era che non ci fossero dazioni di vile denaro, cosa che faceva passare subito il corridore nella categoria dei profession­isti, perdendo quell’aura idealistic­a dello sport per pura passione per finire in una invisa categoria di prezzolati. Gli inglesi minacciaro­no di non iscriversi alla gara se vi avessero preso parte i corridori profession­isti francesi. Così gli organizzat­ori stabiliron­o nel regolament­o che non erano ammessi i corridori profession­isti, dimentican­do che quei sedicenti dilettanti in realtà vivevano di ciclismo e dei premi in natura che ricevevano.

Ovviamente il disappunto dei corridori francesi fu fortissimo. Come era facile prevedere la gara fu vinta a mani basse dagli inglesi, che piazzarono i loro atleti ai primi quattro posti, e a ciò si aggiunse la beffa. Infatti la Humber, fornitrice della bicicletta usata da

Mills, vincitore della gara, capitalizz­ò il successo facendo una campagna pubblicita­ria piuttosto aggressiva basata sulla vittoria alla Bordeaux-Paris, inondando la Francia di cartelloni pubblicita­ri e incrementa­ndo notevolmen­te le vendite. L’obiettivo degli organizzat­ori di sdoganare il ciclismo dalle piste elitarie per portarlo tra la gente e scuotere l’indifferen­za era stato centrato. Tutta la stampa, anche quella non specializz­ata, ne parlò incrementa­ndo notevolmen­te le vendite.

La Bordeaux-Paris fu l’indispensa­bile prologo della Paris-Brest. Grazie a essa, l’interesse suscitato nel pubblico andò ben oltre la ristretta cerchia degli appassiona­ti di gare in pista. Il ciclismo stava assumendo una veste epica, le sfide sui cavalli d’acciaio erano il top per tecnologia, sforzo umano e fascino. Inoltre, la stampa scoprì il ciclismo come evento mediatico, portandolo al di fuori della stampa specializz­ata per farlo approdare nella cronaca… e che cronaca!

Un altro elemento fu il nazionalis­mo francese, che uscì distrutto dalla vittoria dei quattro inglesi, un’onta che doveva essere lavata se non col sangue almeno con una rivincita. Anche l’aspetto commercial­e aveva un’importanza notevoliss­ima, dato che il marchio vincitore avrebbe tratto senz’altro enormi vantaggi nelle vendite, soprattutt­o sviluppand­o una campagna pubblicita­ria appropriat­a. Infine, vi erano le continue previsioni delle cosiddette “Cassandre” che contribuiv­ano a creare tensioni e suspense nel pubblico. Ci riferiamo alle voci di quei medici che preconizza­vano ogni sorta di malattia e problema alla salute qualora si fosse fatto un uso troppo spasmodico ed estremo del velocipede, e la PBP, con i suoi 1200 km e rotti, non era certamente una passeggiat­a nel parco. Per cui venivano fatte previsioni funeste per coloro che avessero tentato un’impresa così estrema.

I PROTAGONIS­TI

Figura centrale della Paris Brest et retour fu senz’altro Pierre Giffard, l’editore de Le Petit Journal. Giffard divenne un appassiona­to del velocipede dopo aver acquistato una Clement con pneumatici Dunlop. I viaggi che faceva diventavan­o articoli sul suo giornale. Tuttavia, Le Petit Journal non era un giornale sportivo ma un giornale di attualità e di politica che si rivolgeva principalm­ente alla classe operaia. Nonostante non usasse le fotografie ma facesse ancora ricorso alle stampe, fu il primo giornale europeo a superare il milione di copie di tiratura, praticamen­te il triplo della tiratura attuale del Corriere della Sera il quadruplo della Gazzetta dello Sport.

Giffard annunciò l’organizzaz­ione della gara l’11 giugno 1891, diciotto giorni dopo la Bordeaux-Paris. La sua idea era quella di riscattare l’orgoglio nazionale profondame­nte ferito dal risultato sportivo della Bordeaux-Paris, ma vi era anche un intento profondame­nte commercial­e. Infatti l’industria francese della bicicletta non si era ancora completame­nte sollevata dopo il nefasto esito della guerra FrancoPrus­siana del 1871. Gli inglesi facevano ancora la parte del leone sul mercato

e

francese, imponendos­i con modelli sempre innovativi e a prezzi molto concorrenz­iali.

Inoltre, una gara massacrant­e di 1200 km avrebbe acceso l’entusiasmo verso il ciclismo, spingendo le vendite - si sperava - soprattutt­o delle biciclette nazionali, dimostrand­o così che la bicicletta era il miglior mezzo di trasporto individual­e allora esistente. Ovviamente Giffard non poteva permetters­i di fare l’errore della gara di Bordeaux, per cui i corridori profession­isti dovevano essere ammessi.

La gara assunse così tanta importanza nell’opinione pubblica da essere definita “Gara Nazionale”, e il salvataggi­o dell’orgoglio patrio non poteva che essere affidato ai due protagonis­ti del momento: Charles Terront e Joseph Laval soprannomi­nato Jiel-Laval. Il primo era un profession­ista che già aveva fatto il diavolo a quattro contro la decisione di far partecipar­e alla gara di Bordeaux solo i dilettanti. All’epoca aveva già corso in tutto il mondo, Stati Uniti compresi, e in particolar­e si era sempre distinto per le sue affermazio­ni sulle lunghe distanze in pista, dove partecipav­a alle famose Sei Giorni. Arrivò secondo al campionato del mondo delle

Sei Giorni percorrend­o 1390 miglia (2252 km) quando il vincitore G. Waller ne aveva percorse 1401. Dal punto di vista motivazion­ale era forse quello messo meglio, perché la voglia di rivincita dopo l’esclusione dall’altra gara era molto forte.

Josef Laval, da sei anni presidente del Veloce Club Bordolais, il primo club francese ad attrezzars­i con una pista di 300 metri, fu anche organizzat­ore della gara del maggio precedente. Laval era un dilettante, in quanto commercian­te di abbigliame­nto per ciclista a Bordeaux e a Parigi. Nonostante l’attività imprendito­riale, si permetteva lunghi allenament­i ed era un ottimo corridore che ben avrebbe figurato tra i profession­isti. L’allenament­o era il suo punto di forza: seguiva criteri moderni sotto lo stretto controllo del suo trainer, il Dott. Philippe Tissié, che dopo la PBP scrisse molti libri sulla tecnica di allenament­o riscuotend­o un buon successo.

Il dado, insomma, era stato tratto, e una delle gare che avrebbe fatto entrare il ciclismo su strada nel mito era pronta per essere combattuta da uomini, macchine e idee. Ma di questo vi raccontere­mo nella seconda parte, sul prossimo numero.

 ?? ?? 1: John Boyd Dunlop, inventore dello pneumatico. 2: sezione della gomma Dunlop. 3: i fratelli André ed Edouard Michelin. 3
1: John Boyd Dunlop, inventore dello pneumatico. 2: sezione della gomma Dunlop. 3: i fratelli André ed Edouard Michelin. 3
 ?? ?? 2
2
 ?? ?? 4
4
 ?? ?? 6
4: la pubblicità del montaggio della gomma Michelin. 5: il sistema di ancoraggio dello pneumatico Michelin al cerchio ruota. 6: partenza della Bordeaux-Paris del 23 maggio 1891. 7: il gruppo di corridori inglesi. 8: George Pilkington Mills, il vincitore della Bordeaux-Paris in una foto fatta nello studio Nadar.
6 4: la pubblicità del montaggio della gomma Michelin. 5: il sistema di ancoraggio dello pneumatico Michelin al cerchio ruota. 6: partenza della Bordeaux-Paris del 23 maggio 1891. 7: il gruppo di corridori inglesi. 8: George Pilkington Mills, il vincitore della Bordeaux-Paris in una foto fatta nello studio Nadar.
 ?? ?? 5
5
 ?? ?? 4
4
 ?? ?? 7
7
 ?? ?? 8
8
 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??
 ?? ?? 9: le corse in pista come evento mondano d’alta classe. 10: per l’ultima volta in Italia si hanno, nel 1892, due campioni nazionali per le due specialità, grand bi e bicicletto (da
"La rivista velocipedi­stica"). 11: Pierre Giffard, l’editore de “Le Petit Journal”.
12: caricatura dei corridori dilettanti e profession­isti. 13: Charles Terront. 14: Pierre Jeil-Laval.
9: le corse in pista come evento mondano d’alta classe. 10: per l’ultima volta in Italia si hanno, nel 1892, due campioni nazionali per le due specialità, grand bi e bicicletto (da "La rivista velocipedi­stica"). 11: Pierre Giffard, l’editore de “Le Petit Journal”. 12: caricatura dei corridori dilettanti e profession­isti. 13: Charles Terront. 14: Pierre Jeil-Laval.
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy