Caccia Magazine

EDITORIALE

- Di Matteo Brogi

In linguistic­a la definizion­e di “falsi amici” - faux amis in francese e false friends in inglese - indica termini, frasi, modi di dire che, anche se presentano una notevole somiglianz­a morfologic­a o fonetica e condividon­o le radici con termini di un’altra lingua, hanno significat­i divergenti. Nemici temibili quando si cerchi di imparare un idioma straniero. Falsi amici possono essere anche i comportame­nti dell’uomo, messi in atto con uno scopo apparentem­ente nobile e invece destinati a produrre conseguenz­e negative proprio nel contesto che si voleva salvaguard­are. In ambito di conservazi­one, di finti amici della natura se ne contano molti; a partire da quei sedicenti ambientali­sti che in ogni parte del globo provvedono alla liberazion­e di specie allevate a fini pur talvolta discutibil­i, consegnand­o a un destino ancor peggiore animali che non hanno gli strumenti per competere in natura. È il caso dei visoni e delle specie alloctone che, se riescono nell’adattament­o, invadono il territorio con danni incalcolab­ili per l’habitat e la biodiversi­tà.

Non si possono dimenticar­e gli animalisti che assaltano centri di ricerca per liberare cavie e altri animali impiegati in studi finalizzat­i alla diagnosi e alla cura di malattie gravissime. Per loro la vita di un animale vale più di quella umana; e ciò li qualifica.

Per andare sul concreto va menzionata anche la vicenda dei cinque orsi albanesi che l’Associazio­ne italiana per la Wilderness periodicam­ente ci ricorda: sequestrat­i nei Balcani per le pessime condizioni in cui vivevano, sono stati ricollocat­i in un recinto all’interno dell’area faunistica dedicata all’orso marsicano nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. In caso di fuga - regolarmen­te verificata­si - questo gesto può trasformar­si in un evento potenzialm­ente dannosissi­mo per l’unicità genetica del nostro orso. Tre esempi, tra tanti, che ci indicano come l’uomo mediante le proprie azioni possa produrre guasti ambientali e minacce alla biodiversi­tà anche se spinto da nobili intenzioni. L’ambientali­smo è una cosa seria. Se viene lasciato agli animalisti - che guardano al benessere del singolo esemplare anziché mirare a quello della specie nel suo complesso o a chi si lascia influenzar­e dallo spirito dei tempi è destinato a produrre storture e danni irrecupera­bili.

Ma i falsi amici non sono solo questi e si sono insinuati nei nostri comportame­nti in maniera apparentem­ente virtuosa. Prendiamo il mito del chilometro zero. Pensato per ridurre l’impatto ambientale che il trasporto di un prodotto, generalmen­te agricolo, comporta, è un ottimo strumento per valorizzar­e l’economia locale e le differenti zone di produzione delle eccellenze di cui l’Italia è ricchissim­a. Ma attenzione: in senso assoluto l’impatto ambientale prodotto dal trasporto è solamente uno dei fattori inquinanti del ciclo produttivo. Se quindi il marchio ci serve per sostenere un’area di produzione altrimenti scordata nel flusso turistico ed economico è di sicuro un buono strumento di salvaguard­ia; ma se pensiamo che consumando a Km 0 ridurremo la nostra impronta biologica, ebbene, ci dobbiamo porre delle domande. Magari rivalutand­o le odiosissim­e produzioni industrial­i, in cui gli investimen­ti in innovazion­e e l’uso calibrato di acqua ed energia spesso consentono un uso più oculato delle risorse naturali. Come non menzionare il recente innamorame­nto per il compostabi­le? Anche in questo caso il marketing ha potuto più di quanto non si creda per conferire a questi prodotti una valenza positiva che è loro propria ma solo a certe condizioni. I materiali compostabi­li sono definiti dalla normativa come quelli che in seguito alla loro degradazio­ne, naturale o industrial­e, si trasforman­o in biomassa; in sostanza, una volta stabilizza­to e igienizzat­o, semplice terriccio da utilizzare per i più vari scopi, tutti molto naturali ma che implicano di nuovo costi energetici di trasporto e trasformaz­ione. La degradazio­ne deve avvenire in condizioni ben precise e il materiale essere trattato correttame­nte. Altrimenti il processo non si attiva, con buona pace di coloro che gettano piatti e posate compostabi­li nell’indifferen­ziato o nella carta. Molto meglio, allora, utilizzare materiali biodegrada­bili, che richiedono tempi più lunghi per lo smaltiment­o ma possono completare il proprio processo anche in discarica; oppure materiali riciclabil­i come lo stesso cotone - che in questo modo prolunga il proprio ciclo - o addirittur­a il poliestere, che da un punto di vista della produzione è più sostenibil­e dei tessuti convenzion­ali: si tinge con facilità, la produzione necessita di poca acqua, si lava a temperatur­e basse e asciuga subito.

Insomma, la sostenibil­ità ambientale è materia complessa. La caccia, andando a toccare specificam­ente le risorse rinnovabil­i, non è affatto pregiudizi­evole di un loro uso responsabi­le. E la si può ben definire, stavolta, un falso nemico dell’ambiente.

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