VISTO DALL'ALTANA
Dietro il nome
Quando si è definiti, anche in modi neutri, si perde un grado di libertà. Si è messi in una categoria e si è attaccati o etichettati come persone. Ma sono le idee che vanno attaccate, non le persone
Prendo lo spunto per ricordare in primo luogo a me stesso quante volte invece di attaccare le idee ho attaccato la persona, sia pure involontariamente. Ma questa non deve essere una scusa. Faccio subito un esempio: «Sei come tanti protezionisti». Oppure: «Voi vegetariani non vi rendete conto che…». Sono definizioni. E non vanno bene.
Chiudono il discorso. È importante non che cosa uno è, ammesso poi che lo sia, quanto e piuttosto che cosa fa. Quali sono gli effetti della sua azione. Le conseguenze, insomma: quelle sono importanti. Non è decisivo se uno è bello o brutto, di destra o di sinistra, bianco, nero, italiano, tedesco. Importanti sono le sue azioni. E che cosa c’è dietro.
Qualche altra sciocchezza nel discutere
Partiamo con una classica frase fatta, apparentemente innocua e che in teoria disporrebbe al dialogo. Eccola: «Rispetto le tue idee ma ritengo che le cose non stiano così. Ed ecco perché».
Questa frase è un finto perbenismo. Finto: perché se quell’idea è stupida, spregevole o sbagliata, qual è il motivo per rispettarla? Non facciamolo e questo, semplicemente, perché le idee stupide non meritano rispetto.
Se uno dice: «Il lupo non si tocca, comunque e dovunque!» non devo aver problemi, se lo penso, a dire che questa è una stronzata e un’idea imbecille, fautrice di un bracconaggio che taluno potrebbe etichettare “di necessità”.
Altra cosa è dire «Tu sei uno stronzo». Qui le offese ci sono. Ovvio, no?
Fin qui ci siamo, lo spero almeno. Ma esistono non poche finezze per suggerire che il tale “è uno stronzo” senza pronunciare questa magica parola. così evocativa.
Ecco un altro esempio: «Rispetto le tue idee che sono però, concedimi, quelle di un cacciatore».
Se è stupida l’idea che il lupo sia intoccabile qualsiasi cosa faccia, perché essere deferenti verso un’opinione idiota? L’idea, lei medesima, si offende e mi toglie il saluto? Il pensiero che l’essere ossequiosi nei confronti di un’opinione sbagliata sia anche rispettare la persona che la possiede è cretino.
Il problema è invece la definizione: «Tu sei un cacciatore».
Sottointeso: «Quindi hai i difetti di quella categoria o comunque, con tutto quel che si vuole, sei quello che sei». Sei stato definito. E quindi condannato. Non deve esser così. Ogni persona è un essere umano dotato di una storia e di un futuro. Con errori, buone cose e altre meno. Con idee e azioni da lodare o da censurare. E tantissime altre semplicemente ignote: noi non sappiamo tutto degli altri e, credetemi, è meglio così. Tuttavia questo lui, di cui noi rispettiamo le idee, è un essere complesso che tra l’altro può cambiare. Può migliorare e peggiorare. O restare com’è, con le sue contraddizioni. L’offesa implicita è piuttosto la parola “cacciatore”. Questo innanzitutto perché è sbagliata: il tale non è cacciatore per mestiere. Ossia non fa solo ciò, e anche quello lo fa sempre nel tempo libero.
Ma in secondo luogo e in modo ben più grave l’attacco, l’insulto è nella definizione: «Sei cacciatore!». Con essa si appioppa al malcapitato un’etichetta, del tipo sei di parte, hai un approccio tipico di quella categoria. Lo stereotipo è in questo caso: «Uccidi per divertimento». Implicita allora la condanna seguente: «Poiché ti diverti a uccidere, sei malvagio».
Logica vorrebbe che con un malvagio, stile Hitler o Stalin (la scelta è ampia), non si tratti e non si parli neppure.
Ma il nostro ipotetico Buono, cioè colui che non vuole guerre con altri umani, se la cava, o almeno lo vorrebbe, dicendo con fare sornione: «Rispetto le tue idee». Anche se sotto sotto pensa, inserendo l’altro in una categoria non degna di credito: «Sei una persona poco affidabile».
Non basta. Il Buono, sempre implicitamente e con eleganza, ritiene poi di cavarsela così: «Io che rispetto le tue idee sono proprio generoso, visto che tu appartieni a una categoria che si comporta male. Sei insomma» ma non lo dice «inferiore a me». E proprio per questo il Buono ritiene di essere virtuoso e in possesso della virtù della tolleranza.
Quest’anima pia può in seguito sostenere di avere ammorbidito le sue enunciazioni se pronuncia la solita frase: «Io non ho niente contro i cacciatori. Anzi! Molti dei miei migliori amici sono cacciatori».
È evidente che non è vero e comunque nessuno gli ha chiesto quest’accondiscendente dichiarazione. Se poi il Nostro Buono pronuncia la congiunzione “però” condito dalla postilla “non si può negare che” allora la sua appartenenza (mi si perdoni) alla categoria dei faziosi, pieni di pregiudizi, è evidente. È chiaro che, comunque sia, lui con i cacciatori ce l’ha. Però fa finta di no.
Una prima conclusione. Chi dice che non ha nulla contro una categoria l’odia invece e la disprezza. È un falso (lo offendo, sia chiaro). Sbugiardatelo.
Principi di rispetto
Una postilla prima di proseguire. Queste affermazioni e altre di questo genere, cioè inserire le persone in categorie, hanno un diverso peso nella parola scritta o in quella pronunciata. Lo scritto infatti rimane e si presta successivamente a
contestazioni oggettive o a smentite. Quindi anche a una rottura di rapporti, a denunce, a cause civili. Le sentenze fatte a voce sono diverse. Con l’atteggiamento, il sorriso, la battutina di replica, persino l’ammiccamento, hanno possibilità molto maggiori. Di essere alleggerite, smorzate, ritirate, spiegate. O anche appesantite, rese ancor più taglienti. Tante opzioni, insomma. Che dipendono tra l’altro da chi le ascolta, oltre che dai due contendenti. Ma se c’è un pubblico, sia pure di familiari, di amici o colleghi c’è poco da fare: quando si parla, si recita. Sempre. Si assume un ruolo, si fa una rappresentazione. Consapevole o no. Dunque, sia in positivo sia in negativo. Come si dice: «Le parole sono pietre. Per costruire o abbattere».
Penso di aver chiarito che attaccare le idee va bene, se non meritano rispetto. Inserire le persone in una categoria invece no. Quest’affermazione, a parte la sua scomodità, potrebbe essere contestata con la riflessione che alcune categorie possono essere del tutto neutre, ossia così ampie e aperte da non suggerire implicitamente biasimo o lode.
Ho forti dubbi. E se devo dirla proprio tutta, non ci credo. È la persona schedata a potere o dover dire che non desidera essere definita in questo modo.
Inoltre, schedare qualcuno proprio neutro non lo è mai e ciò dipende non solo dalla situazione ma anche, come detto, dal pubblico. E, suggerisco, c’è sempre un pubblico quando si è in più di due. Sei tedesco, sei animalista, sei meridionale, sei cacciatore sono definizioni che non servono e fanno, spesso, male. O creano fraintendimenti. Perché farlo?
La regola in queste discussioni è semplice ed è suggerita da tutti i testi sulla comunicazione: «Morbidi con le persone, duri con il problema». Scindere molto bene le idee da chi le ha è un obbligo.
Tutto ciò richiede molta cautela perché è pur vero che alcune idee sono così attaccate a chi le pronuncia da rendere assai disagevole distinguere le une dall’altro.
È però indispensabile separare le opinioni e le azioni da chi le possiede o le ha compiute. Allora. Come scindere la persona dalle idee? Si può: blandendola, lodandola, accarezzandola. Ma in modo serio, convinto, che non suoni come una presa in giro.
Il suggerimento. Far scattare nell’altro una disponibilità ad ascoltare. Creare empatia.
Quando le questioni sono delicate, gli umani non si devono affrontare da subito con il ragionamento. Bisogna
invece insinuarsi nella parte emotiva, aprire colà un varco e dopo, solo dopo, quando si è relativamente sicuri di una qualche sintonia, far transitare il messaggio della ragione: «La tua idea che il lupo deve essere intoccabile è pericolosa».
Tornando a dove siamo partiti, a come rispondere se vi dicono: «Sentiamo un po’ la tua opinione di cacciatore sul lupo», rispondete così:
«Io sono un frequentatore abituale del mio cesso e non solo quello. E sono cliente abituale delle osterie. Almeno tre volte al giorno mi metto le dita nel naso per asportarne le caccole che disperdo nell’ambiente (non sono tossiche). Vado in teatro. Faccio l’amore con lei / lui e piscio, con eleganza, in bosco. Come vuoi definirmi? Va bene come frequentatore di cessi? Oppure come un pisciator cortese?». Poi vi trovate all’alba, dietro la chiesa delle Carmelitane, sfidati a duello. D’Artagnan (voi, il Cattivo perché cacciatore) contro Athos (l’altro, il Buono, perché ambientalista). Affilate, cari amici, le vostre armi. Non fatevi definire.