RIFLESSIONI DI UN CACCIATORE
Non illudiamoci, ma diamoci una mossa
C’è ancora molto da lavorare perché l’opinione pubblica si apra alla caccia; è colpa anche dei cacciatori, che spesso forniscono un’immagine sconfortante del mondo venatorio
Vi ricordate che cosa disse il saggio mago Merlino a Semola quando questi, il futuro re Artù, nel peggiore momento delle sue fortune venne cacciato in fondo alle cucine a lavar pentole? «Sei in una posizione invidiabile, di qui non puoi che risalire». Mi pare che vi sia una stretta analogia con la situazione della caccia nel nostro Paese. Sono fiero e orgoglioso di essere cacciatore nel modo in cui lo sono, nel modo in cui lo siamo in molti: innamorati della natura, rispettosi delle regole, di un’etica rigorosa, ma soprattutto buoni gestori di un bene che non è solo nostro, di un patrimonio prezioso, di un’eredità che sarebbe folle e criminale non lasciare intatta, e dove possibile migliorata, ai nostri figli. Lo so che la caccia è prima di tutto una questione di passione nel miglior senso del termine, ma abbiamo imparato a far interagire questa nostra prepotente pulsione con la moderazione, con la scienza, con il sacrificio e la fatica personale, con la scuola, con la modestia di chi è sempre aperto ad apprendere, a migliorare, a condividere e a ridiscutere.
Un panorama desolante
Molti si stanno avviando con sicurezza in questa direzione e ciò conforta e offre una speranza per il futuro; ma guai a dimenticare che ciò che stiamo facendo non è che un principio da allevare e crescere con il
massimo impegno, con totale disponibilità al lavoro serio e fondato, con coraggio e determinazione. Guai a dimenticare che non siamo ancora in uno di quei civili Paesi europei in cui i cacciatori sono non solo accettati, ma anche rispettati nel loro lavoro e nella loro funzione. Guai a sottovalutare che l’ambiente sociale che ci circonda ci è, per una vasta serie di fattori, estremamente estraneo quando non ostile. Il panorama è desolante e assai poco rassicurante. Ed è anche questione di immagine. L’immagine della caccia, in cui la pubblica opinione non può distinguere chi lavora seriamente da chi urla, pretende, si azzuffa e dice colossali stupidaggini, è assolutamente sconfortante. Non possiamo più lasciarla nelle mani di chi, per ignoranza, calcolo demagogico, piccoli interessi settoriali, l’ha resa quello che oggi purtroppo è. Non possiamo lasciarla nelle mani di associazioni interessate solo alla difesa delle tessere, di dirigenti che paiono profondamente dediti solo alle loro piccole posizioni di potere nel mondo venatorio. Non possiamo lasciarla nelle mani di politici che per mero calcolo elettoralistico affermano e promettono cose al di fuori non solo di una gestione scientificamente e rigorosamente fondata, ma del più semplice buonsenso. Non possiamo lasciarla nelle mani di ambientalisti talebani (fortunatamente non sono tutti così) che ci avversano per questioni di fede e che per questo non riescono ad ascoltare con attenzione le nostre idee. Se lo facessero, forse cambierebbero qualcuna delle loro. Altrettanto possiamo dire degli operatori dei media che non sono solo ciecamente radicati nel politically correct, ma spesso sono anche ignoranti e ricchi solo di supponenza. Non possiamo più accettare che chi si occupa del nostro mondo presso certe istituzioni sia non qualificato e semmai ottenga le nomine non sulla base di studi, titoli e meriti ben impiantati nel campo tecnico-scientifico, ma solo per la resa e il merito politico.
Per una nuova disintermediazione
Nella gestione della natura i buoni risultati chiedono anni di dedizione, lavoro e sacrificio; i disastri invece si fanno in un attimo. Per una serie di fattori e di scelte giuste o sbagliate, questo nostro mondo è drasticamente, e talora irreversibilmente, mutato; condizioni valide e accettabili solo trent’anni fa non lo sono più. Come si può, con assoluta e arrogante sicumera, non tenerne conto? Come si può non tener conto che se dobbiamo scrivere o riscrivere delle regole le dobbiamo fondare saldamente in scienza e coscienza precedute da un profondo apprendimento di quanto stiamo facendo? Non possiamo accettare che presso la pubblica opinione ci rappresenti chi, pur definendosi cacciatore o difensore della caccia, va nella direzione opposta a ciò che abbiamo intrapreso con fatica, onestà e coerenza. Davvero rischiamo di essere cacciati con ignominia da un’opinione pubblica cui la nostra voce non giunge.
E allora? Allora usciamo da schemi e convenzioni, ritroviamoci direttamente tra di noi senza obsolete mediazioni. Molte teste pensano meglio di una e nel confronto possono nascere buone idee da far crescere. Almeno proviamo! Non sarà una passeggiata, ci tireremo addosso censure e rancori, cercheranno di fermarci o, cosa più probabile, di delegittimarci e mettere in campo maldicenze infondate, ci tacceranno di elitarismo, di difesa di interessi particolari, di arroganza. Ne ho già avuto diretta e personale esperienza. Ma anche se sono ormai vecchio, sono ancora qui che combatto con lo stesso entusiasmo. D’altronde se non una reazione dura e rabbiosa che cosa possiamo aspettarci da chi in questo settore ha ottenuto fortune politiche, che di solito sono anche economiche? Ma non credo che ci si debba preoccupare troppo. Questo, con tutti i suoi difetti, è ancora un Paese libero e aperto - almeno lo spero. E abbiamo eccellenti frecce al nostro arco soprattutto perché, e questo dobbiamo affermarlo chiaro e forte, ciò che diciamo e perseguiamo non è solamente nel nostro interesse: crea infatti un innegabile vantaggio anche per tutti coloro che vogliono fruire e godere della natura e imparare qualcosa da questo libro insostituibile. A noi non dispiace condividere il nostro patrimonio con gente di buona volontà. E non abbiamo scheletri negli armadi. Diamoci una mossa. Finché staremo qui a mugugnare o a piangere sulla situazione, non ne usciremo.