SELVAGGINA STANZIALE
Zrc: la storia continua
Con gli inizi degli anni Sessanta prende avvio la profonda trasformazione dell’ambiente agricolo provocata dall’intensificazione delle colture che è tuttora in atto.
I piccoli uccelli caratteristici della campagna coltivata e la piccola selvaggina stanziale, in primo luogo la starna, sono le principali vittime di questo radicale cambiamento ecologico. Ovviamente, nell’arco di tempo compreso tra il 1960 e il 1989, anche le zone di ripopolamento e cattura subiscono gli effetti negativi di questo processo ambientale, al quale si aggiungono anche in questi decenni importanti mutamenti gestionali.
Con l’avvio della profonda trasformazione dell’ambiente agricolo causata dall’intensificazione delle colture, la piccola selvaggina stanziale accusa un duro colpo. E anche le zone di ripopolamento e cattura subiscono gli effetti negativi di questo processo ambientale, cui si aggiungono importanti mutamenti gestionali
Gli anni sessanta tra siena e Reggio emilia
Nel caso della provincia di Siena, ad esempio, la gestione sembra avere giocato un ruolo di importanza nettamente superiore agli stravolgimenti agricoli. Confrontando, infatti, le quantità catturate, ci accorgiamo che nel decennio ’60 sono catturate in media ogni anno 958 lepri e 1.398 fagiani, mentre nel decennio successivo, il ’70, sono catturati in media ogni anno 1.026 lepri e ben 4.972 fagiani. Quindi, mentre l’aumento delle lepri catturate non è particolarmente significativo (il 7,1% in più), quello dei fagiani catturati è a dir poco eclatante (il 255,7% in più). L’andamento delle catture di lepri e di fagiani mostra come la capacità di ripopolamento dei territori di caccia sia andata, nel complesso del decennio, progressivamente aumentando. Discorso totalmente diverso per la starna, le cui catture all’interno delle Zrc mostrano in modo eloquente il rovinoso declino di questa specie.
Le densità di cattura, cioè il numero di lepri e di fagiani catturati per ogni 100 ettari di territorio di Zrc, pur essendo anch’esse in aumento, tuttavia non raggiungono valori particolarmente elevati. Il territorio collinare della provincia di Siena, all’epoca coltivato per la gran parte con tecniche e mezzi tradizionali, rappresenta ancora un paesaggio agricolo ideale per la piccola selvaggina stanziale. La produttività faunistica di questo ambiente ancora intatto appare buona ma non eccelsa per la lepre e ottima per il fagiano, del tutto insufficiente per la starna. Purtroppo non disponiamo di una serie di dati altrettanto continua e dettagliata per la provincia di Reggio Emilia, tuttavia i pochi numeri a noi giunti relativamente alla lepre ci lasciano intravedere una situazione, in termini di quantità catturate e relativi ripopolamenti del terri
torio, migliore rispetto a quella di Siena. Nella stagione 1961-62 infatti nella provincia di Reggio Emilia vengono catturate 2.059 lepri e sono ancora 2.570 quelle catturate, dopo 15 anni, nella stagione 197576. Per quanto riguarda la starna, la specie appare in declino anche nella provincia emiliana. Confrontando le due diverse realtà, la provincia di Siena e quella di Reggio Emilia, vale la pena di osservare come la provincia emiliana raggiunga, con 777 starne, il picco delle catture di questa specie nella stagione 1958-59, dopodiché abbiamo solo le 104 starne catturate nella stagione 1961-62. La provincia toscana consegue il suo miglior risultato nel 1961, con 351 starne catturate, dopodiché anche qui ha inizio un inesorabile declino della specie. Dunque, a partire dagli anni Sessanta la starna declina in ambedue le realtà, sebbene meno rovinosamente in quella di Siena, con ogni probabilità perché l’intensificazione agricola si afferma più precocemente e intensamente nella pianura padana che nelle colline toscane.
A riprova di ciò c’è anche la situazione del fagiano. La realtà di questa specie nella provincia emiliana è opposta a quella della provincia toscana: mentre nel Senese le catture di fagiani mostrano un andamento nettamente positivo, nel Reggiano nella stagione 1961-62 non viene catturato alcun fagiano e la Provincia procede all’acquisto di 246 fagiani di allevamento, ai quali aggiunge altri 951 fagiani, anch’essi presumibilmente allevati in cattività, acquistati presso alcune riserve di caccia.
Sugli anni Sessanta conviene quindi fare alcune riflessioni.
Il primo dato di fatto è che la pianura padana, sebbene interessata dalla rivoluzione agricola ben prima e molto più intensamente delle colli
ne toscane, presenta una produttività, per quanto concerne la lepre, assai più elevata. Questa specie, erbivoro estremamente esigente, si giova per la propria alimentazione primaverile, estiva e autunnale della forte produzione di foraggere (soprattutto erba medica) destinate all’alimentazione dei bovini allevati intensamente per la produzione lattierocasearia. In inverno, viceversa, la lepre può giovarsi dei cereali autunnali in erba. Ed è proprio questa alternanza tra colture foraggere e colture cerealicole, ancorché coltivate entrambe intensamente, a creare condizioni ecologiche ideali per la lepre. In Toscana invece la coltivazione di foraggere è assai più contenuta, essendo destinata quasi esclusivamente ai pochi bovini tenuti nelle stalle poderali principalmente come forza lavoro e in misura del tutto marginale per la produzione di latte e carne. Qui prevalgono i cereali a semina autunnale che diverranno addirittura dominanti a partire dagli anni Settanta in seguito all’abbandono pressoché generalizzato dei bovini. Nelle colline toscane, in particolare nelle aree argillose delle province di Siena e Pisa, si vengono a creare condizioni ecologiche meno favorevoli per le lepri, costrette a subire gli effetti negativi derivanti dal deserto arativo presente per tutto il periodo estivo e autunnale. Per contro, le cospicue quantità di fagiani catturate nelle Zrc della provincia di Siena riflettono i benefici derivanti per questa specie, prevalentemente granivora, proprio da una vasta presenza di stoppie cerealicole invernali. Abbastanza curioso si presenta il caso della starna: in provincia di Siena, sebbene l‘intensificazione agricola negli anni Sessanta e agli albori degli anni Settanta sia ancora pressoché inesistente, la specie è già in grande difficoltà. A tale proposito
esiste una testimonianza davvero significativa. Nel verbale della seduta del comitato provinciale della caccia di Siena del 20 luglio 1952, il presidente provinciale della Fidc definisce la starna come “selvaggina in forte diminuzione nella nostra provincia”. Dunque, mentre il fagiano prospera sempre di più, la starna, al contrario, versa già in seri pasticci. In altre parole, due galliformi con esigenze ecologiche abbastanza simili, viventi entrambi in un ambiente estremamente variegato, coltivato ancora con criteri, tecniche e mezzi pressoché identici a quelli in uso prima della seconda guerra mondiale, subiscono due destini opposti. Inoltre, mentre le Zrc riescono a salvaguardare lepre e fagiano, falliscono totalmente nell’evitare l’estinzione della starna. E questo vale anche per la provincia di Reggio Emilia.
Gli anni settanta e il peso della gestione
Gli anni Settanta, almeno per quanto riguarda le zrc della provincia di Siena, sono la prova del preponderante peso che può avere la gestione, intesa soprattutto come azione di contrasto al bracconaggio e di contenimento dei predatori. A partire dal 1955, l’amministrazione provinciale affianca il comitato provinciale della caccia. Questo, in breve tempo, consente di rafforzare la vigilanza all’interno delle Zrc, dislocando in alcune delle migliori addirittura una guardia venatoria fissa. Le guardie della Provincia sono tenute a provvedere, oltre che alla vigilanza, anche alla riduzione di tutti i predatori. Animali allora definiti dalla legge nocivi e in quanto tali abbattuti con ogni mezzo, compresi i bocconi avvelenati, in ogni stagione dell’anno. Per quanto riguarda le catture, nel caso delle lepri, i cacciatori volontari partecipano in modo assolutamente disciplinato sotto la guida autorevole delle guardie, mentre nel caso dei fagiani sono invece le sole guardie a provvedere alla loro cattura, con notevoli sacrifici, mediante l’impiego di specifiche trappole, le “prodine”.
Ebbene, se andiamo a vedere i dati delle catture relativi al decennio
Settanta colpisce, rimanendo al caso senese, come queste siano elevate fino al 1975 e subiscano poi un vero e proprio tracollo a partire dal 1976, sia nel caso delle lepri sia in quello dei fagiani. La causa di tale disastro è esclusivamente di carattere gestionale. Nel 1977 infatti, con la legge sulla caccia 968, termina la vita dei comitati provinciali della caccia e tutte le competenze passano alle Province. Nel caso della Regione Toscana tuttavia la gestione delle
Zrc viene trasferita alle associazioni intercomunali. Le guardie venatorie della Provincia si ritirano progressivamente dalle Zrc, finendo per abbandonarle del tutto nel 1981, anno in cui le catture non hanno addirittura luogo.
Gli anni ottanta: un nuovo capitolo
A partire dal 1982, con le associazioni intercomunali ha inizio un nuovo capitolo della storia delle Zrc. Innanzitutto viene cambiata radicalmente la strategia gestionale. Da un numero di Zrc che si è sempre mantenuto fino al 1978 sotto le 20 unità, nel 1982 si passa a ben 62 Zrc, sebbene la superficie media di ciascuna delle Zrc rimanga sostanzialmente stabile, passando dagli 854 ettari degli anni Settanta ai 785 ettari degli anni Ottanta. Come prodotto di questa sorta di rivoluzione le catture tornano gradualmente ad aumentare, sia nel caso delle lepri sia in quello dei fagiani, e con esse la capacità complessiva di ripopolamento del territorio provinciale aperto alla caccia con selvaggina di grande qualità.
Tuttavia, nonostante il lodevole impegno posto dal volontariato venatorio nel sostituire le guardie provinciali, non saranno più eguagliate le quantità raggiunte negli anni Sessanta e nel primo quinquennio degli anni Settanta. Nel decennio ’80 aumentano le Zrc, ma diminuisce notevolmente l’efficienza della loro gestione, in considerazione anche del cambiamento dello stato giuridico dei predatori e della concreta possibilità di contenerli.
Negli anni Ottanta vengono catturate annualmente in media 367 lepri, con una diminuzione rispetto al decennio precedente del 64,2%, e 3.366 fagiani, con una riduzione in questo caso del 32,3%. Le trasformazioni gestionali, unitamente anche ai cambiamenti ambientali ormai diffusi anche nella provincia di Siena, portano a una drastica riduzione delle densità di cattura. Nel caso della lepre, si passa così da una densità di 8,3 lepri catturate per 100 ettari negli anni Sessanta a una di 7,3 negli anni Settanta, per poi precipitare a un valore di sole 0,9 lepri catturate per 100 ettari negli anni Ottanta. Mentre nel caso del fagiano, la densità di cattura passa dagli 11,9 fagiani catturati per 100 ettari negli anni Sessanta, agli stratosferici 33,2 negli anni Settanta e poi crolla ai 7,9 fagiani degli anni Ottanta. (continua)