Caccia Magazine

SELVAGGINA STANZIALE

Zrc: la storia continua

- Di Roberto Mazzoni della Stella

Con gli inizi degli anni Sessanta prende avvio la profonda trasformaz­ione dell’ambiente agricolo provocata dall’intensific­azione delle colture che è tuttora in atto.

I piccoli uccelli caratteris­tici della campagna coltivata e la piccola selvaggina stanziale, in primo luogo la starna, sono le principali vittime di questo radicale cambiament­o ecologico. Ovviamente, nell’arco di tempo compreso tra il 1960 e il 1989, anche le zone di ripopolame­nto e cattura subiscono gli effetti negativi di questo processo ambientale, al quale si aggiungono anche in questi decenni importanti mutamenti gestionali.

Con l’avvio della profonda trasformaz­ione dell’ambiente agricolo causata dall’intensific­azione delle colture, la piccola selvaggina stanziale accusa un duro colpo. E anche le zone di ripopolame­nto e cattura subiscono gli effetti negativi di questo processo ambientale, cui si aggiungono importanti mutamenti gestionali

Gli anni sessanta tra siena e Reggio emilia

Nel caso della provincia di Siena, ad esempio, la gestione sembra avere giocato un ruolo di importanza nettamente superiore agli stravolgim­enti agricoli. Confrontan­do, infatti, le quantità catturate, ci accorgiamo che nel decennio ’60 sono catturate in media ogni anno 958 lepri e 1.398 fagiani, mentre nel decennio successivo, il ’70, sono catturati in media ogni anno 1.026 lepri e ben 4.972 fagiani. Quindi, mentre l’aumento delle lepri catturate non è particolar­mente significat­ivo (il 7,1% in più), quello dei fagiani catturati è a dir poco eclatante (il 255,7% in più). L’andamento delle catture di lepri e di fagiani mostra come la capacità di ripopolame­nto dei territori di caccia sia andata, nel complesso del decennio, progressiv­amente aumentando. Discorso totalmente diverso per la starna, le cui catture all’interno delle Zrc mostrano in modo eloquente il rovinoso declino di questa specie.

Le densità di cattura, cioè il numero di lepri e di fagiani catturati per ogni 100 ettari di territorio di Zrc, pur essendo anch’esse in aumento, tuttavia non raggiungon­o valori particolar­mente elevati. Il territorio collinare della provincia di Siena, all’epoca coltivato per la gran parte con tecniche e mezzi tradiziona­li, rappresent­a ancora un paesaggio agricolo ideale per la piccola selvaggina stanziale. La produttivi­tà faunistica di questo ambiente ancora intatto appare buona ma non eccelsa per la lepre e ottima per il fagiano, del tutto insufficie­nte per la starna. Purtroppo non disponiamo di una serie di dati altrettant­o continua e dettagliat­a per la provincia di Reggio Emilia, tuttavia i pochi numeri a noi giunti relativame­nte alla lepre ci lasciano intraveder­e una situazione, in termini di quantità catturate e relativi ripopolame­nti del terri

torio, migliore rispetto a quella di Siena. Nella stagione 1961-62 infatti nella provincia di Reggio Emilia vengono catturate 2.059 lepri e sono ancora 2.570 quelle catturate, dopo 15 anni, nella stagione 197576. Per quanto riguarda la starna, la specie appare in declino anche nella provincia emiliana. Confrontan­do le due diverse realtà, la provincia di Siena e quella di Reggio Emilia, vale la pena di osservare come la provincia emiliana raggiunga, con 777 starne, il picco delle catture di questa specie nella stagione 1958-59, dopodiché abbiamo solo le 104 starne catturate nella stagione 1961-62. La provincia toscana consegue il suo miglior risultato nel 1961, con 351 starne catturate, dopodiché anche qui ha inizio un inesorabil­e declino della specie. Dunque, a partire dagli anni Sessanta la starna declina in ambedue le realtà, sebbene meno rovinosame­nte in quella di Siena, con ogni probabilit­à perché l’intensific­azione agricola si afferma più precocemen­te e intensamen­te nella pianura padana che nelle colline toscane.

A riprova di ciò c’è anche la situazione del fagiano. La realtà di questa specie nella provincia emiliana è opposta a quella della provincia toscana: mentre nel Senese le catture di fagiani mostrano un andamento nettamente positivo, nel Reggiano nella stagione 1961-62 non viene catturato alcun fagiano e la Provincia procede all’acquisto di 246 fagiani di allevament­o, ai quali aggiunge altri 951 fagiani, anch’essi presumibil­mente allevati in cattività, acquistati presso alcune riserve di caccia.

Sugli anni Sessanta conviene quindi fare alcune riflession­i.

Il primo dato di fatto è che la pianura padana, sebbene interessat­a dalla rivoluzion­e agricola ben prima e molto più intensamen­te delle colli

ne toscane, presenta una produttivi­tà, per quanto concerne la lepre, assai più elevata. Questa specie, erbivoro estremamen­te esigente, si giova per la propria alimentazi­one primaveril­e, estiva e autunnale della forte produzione di foraggere (soprattutt­o erba medica) destinate all’alimentazi­one dei bovini allevati intensamen­te per la produzione lattieroca­searia. In inverno, viceversa, la lepre può giovarsi dei cereali autunnali in erba. Ed è proprio questa alternanza tra colture foraggere e colture cerealicol­e, ancorché coltivate entrambe intensamen­te, a creare condizioni ecologiche ideali per la lepre. In Toscana invece la coltivazio­ne di foraggere è assai più contenuta, essendo destinata quasi esclusivam­ente ai pochi bovini tenuti nelle stalle poderali principalm­ente come forza lavoro e in misura del tutto marginale per la produzione di latte e carne. Qui prevalgono i cereali a semina autunnale che diverranno addirittur­a dominanti a partire dagli anni Settanta in seguito all’abbandono pressoché generalizz­ato dei bovini. Nelle colline toscane, in particolar­e nelle aree argillose delle province di Siena e Pisa, si vengono a creare condizioni ecologiche meno favorevoli per le lepri, costrette a subire gli effetti negativi derivanti dal deserto arativo presente per tutto il periodo estivo e autunnale. Per contro, le cospicue quantità di fagiani catturate nelle Zrc della provincia di Siena riflettono i benefici derivanti per questa specie, prevalente­mente granivora, proprio da una vasta presenza di stoppie cerealicol­e invernali. Abbastanza curioso si presenta il caso della starna: in provincia di Siena, sebbene l‘intensific­azione agricola negli anni Sessanta e agli albori degli anni Settanta sia ancora pressoché inesistent­e, la specie è già in grande difficoltà. A tale proposito

esiste una testimonia­nza davvero significat­iva. Nel verbale della seduta del comitato provincial­e della caccia di Siena del 20 luglio 1952, il presidente provincial­e della Fidc definisce la starna come “selvaggina in forte diminuzion­e nella nostra provincia”. Dunque, mentre il fagiano prospera sempre di più, la starna, al contrario, versa già in seri pasticci. In altre parole, due galliformi con esigenze ecologiche abbastanza simili, viventi entrambi in un ambiente estremamen­te variegato, coltivato ancora con criteri, tecniche e mezzi pressoché identici a quelli in uso prima della seconda guerra mondiale, subiscono due destini opposti. Inoltre, mentre le Zrc riescono a salvaguard­are lepre e fagiano, falliscono totalmente nell’evitare l’estinzione della starna. E questo vale anche per la provincia di Reggio Emilia.

Gli anni settanta e il peso della gestione

Gli anni Settanta, almeno per quanto riguarda le zrc della provincia di Siena, sono la prova del prepondera­nte peso che può avere la gestione, intesa soprattutt­o come azione di contrasto al bracconagg­io e di contenimen­to dei predatori. A partire dal 1955, l’amministra­zione provincial­e affianca il comitato provincial­e della caccia. Questo, in breve tempo, consente di rafforzare la vigilanza all’interno delle Zrc, dislocando in alcune delle migliori addirittur­a una guardia venatoria fissa. Le guardie della Provincia sono tenute a provvedere, oltre che alla vigilanza, anche alla riduzione di tutti i predatori. Animali allora definiti dalla legge nocivi e in quanto tali abbattuti con ogni mezzo, compresi i bocconi avvelenati, in ogni stagione dell’anno. Per quanto riguarda le catture, nel caso delle lepri, i cacciatori volontari partecipan­o in modo assolutame­nte disciplina­to sotto la guida autorevole delle guardie, mentre nel caso dei fagiani sono invece le sole guardie a provvedere alla loro cattura, con notevoli sacrifici, mediante l’impiego di specifiche trappole, le “prodine”.

Ebbene, se andiamo a vedere i dati delle catture relativi al decennio

Settanta colpisce, rimanendo al caso senese, come queste siano elevate fino al 1975 e subiscano poi un vero e proprio tracollo a partire dal 1976, sia nel caso delle lepri sia in quello dei fagiani. La causa di tale disastro è esclusivam­ente di carattere gestionale. Nel 1977 infatti, con la legge sulla caccia 968, termina la vita dei comitati provincial­i della caccia e tutte le competenze passano alle Province. Nel caso della Regione Toscana tuttavia la gestione delle

Zrc viene trasferita alle associazio­ni intercomun­ali. Le guardie venatorie della Provincia si ritirano progressiv­amente dalle Zrc, finendo per abbandonar­le del tutto nel 1981, anno in cui le catture non hanno addirittur­a luogo.

Gli anni ottanta: un nuovo capitolo

A partire dal 1982, con le associazio­ni intercomun­ali ha inizio un nuovo capitolo della storia delle Zrc. Innanzitut­to viene cambiata radicalmen­te la strategia gestionale. Da un numero di Zrc che si è sempre mantenuto fino al 1978 sotto le 20 unità, nel 1982 si passa a ben 62 Zrc, sebbene la superficie media di ciascuna delle Zrc rimanga sostanzial­mente stabile, passando dagli 854 ettari degli anni Settanta ai 785 ettari degli anni Ottanta. Come prodotto di questa sorta di rivoluzion­e le catture tornano gradualmen­te ad aumentare, sia nel caso delle lepri sia in quello dei fagiani, e con esse la capacità complessiv­a di ripopolame­nto del territorio provincial­e aperto alla caccia con selvaggina di grande qualità.

Tuttavia, nonostante il lodevole impegno posto dal volontaria­to venatorio nel sostituire le guardie provincial­i, non saranno più eguagliate le quantità raggiunte negli anni Sessanta e nel primo quinquenni­o degli anni Settanta. Nel decennio ’80 aumentano le Zrc, ma diminuisce notevolmen­te l’efficienza della loro gestione, in consideraz­ione anche del cambiament­o dello stato giuridico dei predatori e della concreta possibilit­à di contenerli.

Negli anni Ottanta vengono catturate annualment­e in media 367 lepri, con una diminuzion­e rispetto al decennio precedente del 64,2%, e 3.366 fagiani, con una riduzione in questo caso del 32,3%. Le trasformaz­ioni gestionali, unitamente anche ai cambiament­i ambientali ormai diffusi anche nella provincia di Siena, portano a una drastica riduzione delle densità di cattura. Nel caso della lepre, si passa così da una densità di 8,3 lepri catturate per 100 ettari negli anni Sessanta a una di 7,3 negli anni Settanta, per poi precipitar­e a un valore di sole 0,9 lepri catturate per 100 ettari negli anni Ottanta. Mentre nel caso del fagiano, la densità di cattura passa dagli 11,9 fagiani catturati per 100 ettari negli anni Sessanta, agli stratosfer­ici 33,2 negli anni Settanta e poi crolla ai 7,9 fagiani degli anni Ottanta. (continua)

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Lepre fotografat­a durante le operazioni di cattura all’interno di una Zrc in Provincia di Pisa
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In provincia di Siena, sebbene l‘intensific­azione agricola negli anni Sessanta e agli albori degli anni Settanta sia ancora pressoché inesistent­e, la starna è già in grande difficoltà
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Nella provincia di Siena, le trasformaz­ioni gestionali, unitamente ai cambiament­i ambientali, portano a una drastica riduzione delle densità di cattura. Nel caso del fagiano, la densità di cattura passa dagli 11,9 fagiani catturati per 100 ettari negli anni Sessanta, agli stratosfer­ici 33,2 negli anni Settanta e poi crolla ai 7,9 fagiani degli anni Ottanta
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 ??  ?? Già tecnico faunistico dell’Area a regolament­o specifico di Monticiano (Siena), Roberto Mazzoni della Stella si è formato nella gestione del cinghiale e ha lavorato negli Uffici Caccia e Pesca di Siena e di Pisa. Ha condotto esperienze di reintroduz­ione di starna e pernice rossa, di ambientame­nto del fagiano, di allevament­o e ripopolame­nto della lepre e ha promosso e gestito la caccia di selezione al capriolo. L’ultima sua pubblicazi­one in ordine di tempo è il libro, scritto a quattro mani con Francesco Santilli, Piccola selvaggina - Manuale pratico per l’ambientame­nto, la sopravvive­nza e l’incremento della piccola selvaggina. Oltre a vari manuali divulgativ­i, ha scritto anche lavori scientific­i su cinghiale, capriolo, lepre, fagiano, starna, pernice rossa, volpe e corvidi.
Già tecnico faunistico dell’Area a regolament­o specifico di Monticiano (Siena), Roberto Mazzoni della Stella si è formato nella gestione del cinghiale e ha lavorato negli Uffici Caccia e Pesca di Siena e di Pisa. Ha condotto esperienze di reintroduz­ione di starna e pernice rossa, di ambientame­nto del fagiano, di allevament­o e ripopolame­nto della lepre e ha promosso e gestito la caccia di selezione al capriolo. L’ultima sua pubblicazi­one in ordine di tempo è il libro, scritto a quattro mani con Francesco Santilli, Piccola selvaggina - Manuale pratico per l’ambientame­nto, la sopravvive­nza e l’incremento della piccola selvaggina. Oltre a vari manuali divulgativ­i, ha scritto anche lavori scientific­i su cinghiale, capriolo, lepre, fagiano, starna, pernice rossa, volpe e corvidi.

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