DALL'ESTERO
Modelli oltremanica
Sono passati dieci anni dalla morte di Aroldo Tolomelli che nel 2021 avrebbe finito un secolo: ai suoi sforzi si deve la nascita della moderna gestione degli ungulati sull’Appennino. Il suo entusiasmo e il suo impegno portarono alla nascita dell’Urca in Emilia Romagna
Nel centenario della nascita e nel decennale della morte è importante ricordare l’amico Aroldo Tolomelli, all’anagrafe Araldo per un dispetto del funzionario fascista nei confronti del padre socialista che era andato a denunciarne la nascita. Fu vicecomandante delle brigate partigiane comuniste nella pianura bolognese, parlamentare comunista dal 1976 al 1983, grande appassionato di caccia di selezione appresa durante la permanenza nell’allora Cecoslovacchia.
Soprattutto ai suoi sforzi si devono la nascita della gestione moderna degli ungulati nell’Appennino, i primi corsi di abilitazione alla caccia di selezione a Bologna nel 1990, il primo regolamento regionale sulla gestione e il prelievo venatorio degli ungulati dell’Emilia-Romagna nel 1995. Al suo entusiasmo e al suo impegno si deve la nascita dell’Urca in Emilia-Romagna (1992), alla sua cocciutaggine l’obiettivo di diffondere subito l’associazione in tutta la penisola dalla Liguria alla
Calabria. E non fu casuale che volle costruire un’associazione in stretto contatto col mondo della ricerca, con rapporti solidi con l’Istituto per la fauna selvatica e con ricercatori del calibro di Sandro Lovari, Marco Apollonio, Pier Giuseppe Meneguz. Alla sua caparbietà si deve il progetto di studio della popolazione di cervi dell’Acquerino, affidato alla Scaf-Dream a partire dal 1993 e poi il progetto di gestione venatoria del cervo dal 1998, con i primi prelievi nel 2000.
Ottimismo contagioso
Fu personalmente Aroldo, con una manciata di volontari, a organizzare i primi censimenti al bramito nell’alto Bolognese, Pratese, Pistoiese, passando ore e ore al telefono fino a notte per convincere vari cacciatori a partecipare agli ascolti notturni e rifocillandosi con un pezzo di pane e un bicchiere di latte. La sua fu spesso una lotta impegnativa con funzionari, burocrati, politici che remavano apertamente contro, ma non l’abbiamo mai visto demoralizzato o pessimista. Anzi, più qualcuno cercava di ostacolare l’idea di una gestione moderna degli ungulati e più si mostrava determinato e agguerrito. Perché Aroldo aveva una visione ben precisa del futuro, aveva un vasto progetto al quale credeva fermamente. Quando gli proponemmo l’idea di una gestione interregionale del cervo, un’idea che andava contro i campanilismi e le rigidità di tante amministrazioni, ne fu entusiasta, vide la sfida e battagliò finché non riuscì a mettere d’accordo funzionari e politici delle due regioni. Il suo passato partigiano, il linguaggio nel contempo concreto e visionario, le sue instancabili energie facevano breccia in molti suoi interlocutori e riusciva a raggiungere parecchi obiettivi che altri non sarebbero riusciti a conseguire. Uno dei sogni rimasti irrealizzati ma che coltivava negli anni era ricomporre i conflitti tra cacciatori di selezione e agricoltori, cercando di immaginare modi perché della risorsa ungulati partecipassero tutte le componenti della società. Questa ampia prospettiva, guardare sempre a un futuro migliore, l’ottimismo di fondo erano contagiosi e caricavano quelli intorno a lui. Aroldo era molto socievole, scherzoso, aperto al confronto con persone di ogni credo, lontano anni luce dal prototipo del funzionario di partito, del politico di professione. Pur essendo stato un protagonista della gestione venatoria non ha mai preteso nulla, non ha mai sgomitato per avere un ruolo formale negli Atc o nei distretti, per ottenere un cervo o un capriolo da abbattere. Ha partecipato fino al giorno prima della morte ai conteggi primaverili dei cervidi, come semplice cacciatore abilitato ai censimenti e prelievi. Nonostante l’età avanzata e i problemi di salute della moglie, fin quasi all’ultimo non si è sottratto al volontariato anche in altri campi, come l’impegno nel consiglio di amministrazione dell’Istituto oncologico Ramazzini che ha garantito all’istituto stesso un forte radicamento nel territorio bolognese e fondi economici. A dieci anni dalla morte ci manca soprattutto la sua visione lungimirante, quel porsi obiettivi ambiziosi lontano da particolarismi.