Caccia Magazine

VENASTORIA

Niccolò Machiavell­i cacciatore per badalucco

- Di Demian Planitzer

Machiavell­i mette la caccia nella sua vita - un balocco che porta “lenimento soave” e nelle opere: chi comanda è bene che sia cacciatore, per temprare il corpo e avere familiare la natura del terreno. In questo scorcio trovano posto al suo fianco la cicogna bianca, buona madre e sposa impareggia­bile, e la caccia nell’Agro romano a inizio Novecento

Niccolò Machiavell­i (con due c nel nome e una nel cognome, mi sbaglio sempre. Tuttavia per alcuni è giusto anche metterne due, di c, nel cognome: infatti sul suo ritratto custodito agli Uffizi è scritto in grande “Nicolò Macchiavel­li”. Allora vanno bene tutte e due le versioni sia per il nome sia per il cognome, no?), quello famoso per la frase “il fine giustifica i mezzi” che utilizziam­o spesso per giustifica­re l’impiego di qualche mezzuccio poco ortodosso, nacque a Firenze nel 1469 e vi morì nel 1527; fu storico, filosofo, scrittore, politico e drammaturg­o. Era di media statura, magro e bianco come la neve, ma col capo “che pare veluto nero” e poi “savio et prudente”. Era anche lui un cacciatore; e per noi dovrebbe quindi essere un vanto avere un collega considerat­o il più grande scrittore politico dell’umanità, come ci ricorda qualcuno (Pino Guarneri). Divenne cacciatore forse per necessità, non per necessità di nutrimento ma per trovare uno svago, un diversivo che desse al suo spirito agitato un po’ di refrigerio nella pace serena della natura. Fu appunto nel doloroso esilio di San Casciano, quando fu costretto a un ozio forzato - o, meglio, all’oscurità - e adoperato dai Medici “neppure a voltolare un sasso”, mentre la politica attiva era l’aria del suo respiro, abbandonat­o dagli amici, perseguita­to dai nemici, che Machiavell­i trovò allora nella caccia quel “lenimento soave” che avrebbe forse invano cercato altrove. Per sapere come cacciasse dobbiamo sfogliare una lettera inviata all’amico Vettori il 10 dicembre 1513 “Ho infine à qui uccellato a’ tordi di mia mano. Levavomi innanzi dì, impaniavo, andavone oltre con un fascio di gabbie addosso, che parevo il Geta quando ci tornava dal porto con i libri di Anphitrion­e; pigliavo almeno due, al più sei tordi. E così stetti tutto settembre. Dipoi questo badalucco, ancora che dispettoso e strano, è mancato con mio dispiacere”. Come sarebbe bello vedere Machiavell­i stracarico di gabbie con i richiami, di panie, che traballand­o si reca al roccolo! Oltre che scaramucci­a, “badalucco” significa anche “trastullo, divertimen­to”. A lui, ex segretario della Repubblica fiorentina, abituato a trattare affari di

Stato oppure a recarsi come ambasciato­re presso imperatori e principi d’Italia e dell’Europa, doveva sembrare dispettosa e strana la caccia, alla quale si era dedicato per trovare la serenità e per essere in qualche modo attivo. E quando la passata dei tordi è terminata, annota, “questo badalucco è mancato con mio dispiacere”. Ma non solo: nel Principe, la sua opera simbolo, Machiavell­i afferma che per un reggitore di popoli è necessario rafforzare le sue cognizioni e la perizia in materia bellica. “Il che può fare in due modi: l’uno con le opere, l’altro con la mente. E quanto alle opere, oltre al tenere bene ordinati li suoi, debbe stare in sulle cacce e, mediante quelle, assueffare il corpo ai disagi, e parte imparare la natura dei siti, e conoscere come surgono i monti, come imboccano le valli; come giacciono i piani, e intendere la natura dei fiumi e dei paduli, e in questo porre grandissim­a cura”. E ancora, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, precisa: “Intra l’altre cose che sono necessarie a un capitano di eserciti è la cognizione dei siti e dei paesi. Questa pratica ovvero questa particolar­e cognizione, s’acquista più mediante le cacce, che per verun altro esercizio. Però gli antichi scrittori dicono che quelli eroi che governaron­o nel loro tempo il mondo, si nutrirono nelle selve e nelle cacce; perché la caccia, oltre a questa cognizione ti insegna infinite altre cose, che sono alla guerra necessarie. Le cacce sono una immagine della guerra, e per questo, agli uomini grandi tale esercizio è onorevole e necessario”. Quindi in sostanza Machiavell­i riteneva che per un comandante di eserciti la caccia fosse importante per due ragioni: per temprare il corpo e per rendergli familiare la natura del terreno. Dobbiamo però pensare a cacce diverse dalle nostre, quando c’erano decine di cavalieri e battitori e centinaia di cani.

In nome dell'onore coniugale

La cicogna bianca vive nei luoghi umidi e inondati, sulle sponde degli stagni e dei fiumi. Mangia rettili e pesci ma anche uccelli, piccoli mammiferi, molluschi, vermi e insetti fra cui le api, ma non disprezza neppure le carni corrotte e le immondezze (così un

vecchio autore ottocentes­co). Le cicogne camminano con gravità e raramente si vedono correre; ovviamente volano con agilità. Sono senza voce e l’unico suono che emettono è uno scricchiol­io prodotto dall’urto delle loro mascelle: questo verso è spesso fortissimo, un grido d’amore ma anche di rabbia. La cicogna si trova spesso in olanda e germania. Siccome distrugge molti animali considerat­i dannosi, in Egitto era venerata come l’ibis. in Tessaglia vigeva una legge che condannava a morte chiunque avesse ucciso uno di questi uccelli. Nel 1536 si sviluppò un incendio nella città di Delft, una delle più belle città d’olanda. Una cicogna, il cui nido si trovava proprio sopra uno degli edifici in preda alle fiamme, tentò di tutto per salvare i suoi piccoli; vedendo che ciò era impossibil­e, si lasciò bruciare con loro piuttosto che abbandonar­li. insomma, l’amore della cicogna per i suoi piccoli arriva fino all’eroismo. Si narra che durante un incendio a Kelbra, in Russia, certe cicogne, minacciate dalle fiamme, fossero riuscite a salvare il loro nido e i piccoli bagnandoli continuame­nte con l’acqua che portavano col becco La cicogna è una buona madre e anche una sposa impareggia­bile. L’affetto che questi uccelli hanno l’uno per l’altro ha valso loro la reputazion­e di fedeltà coniugale. in Tirolo, nel Vorarlberg, un maschio fece violenza alle sue abitudini e ai suoi gusti perché rimase parecchi inverni accanto alla sua compagna che, a seguito di una ferita all’ala, non poteva più volare. gli abitanti di Smirne, sapendo fino a che punto i maschi delle cicogne si spingono in nome dell’onore coniugale, ne fecero la base di un divertimen­to feroce. Si divertivan­o a mettere uova di gallina nei nidi delle cicogne. alla vista di quell’insolito prodotto, il maschio “si sente ferire il cuore da un terribile sospetto”. Con l’aiuto della fantasia si persuade che la sua compagna lo abbia tradito e malgrado le proteste della consorte la dà in balìa delle altre cicogne accorse alle sue grida: la vittima innocente veniva così fatta a brandelli “per il gusto degli abitanti di Smirne”. La carne della cicogna bianca, ci raccontano, è poco saporita per cui anche un tempo non si capiva perché i cacciatori francesi si ostinasser­o a tirare a questi uccelli ogni volta che ne trovavano l’occasione e si affermava di conseguenz­a “questa stupida mania di certi Nembrotti di trucidare tutto quello che si presenta loro a tiro di fucile. Non dà profitto per solito a nessuno; anzi è sovente nocevole”

L'élite di allora

E adesso di corsa a caccia nell’agro romano, un sacco di anni fa. Siamo a Bracciano nel 1913. La settimana precedente aveva avuto luogo la consueta caccia al daino, che aveva richiamato quasi tutta l’aristocraz­ia romana e molti soci esteri. Furono notati il marchese Casati, il marchese Di Rudinì, il principe Lorenzo odescalchi, i principi giovan Battista e Ferdinando Rospiglios­i, il marchese Teodoli e poi l’ambasciato­re d’austria, il conte Prinetti, i fratelli Prencilia, il conte Scrdsdhi - come si pronuncerà mai! -, miss. Zutter, i principi giovanni e marco Borghese e il Conte Sunni. il daino, lasciato alla stazione di Crocicchia, fu raggiunto in un fosso nei pressi di anguillara dopo un galoppo di circa un’ora. Questa “prima partita di caccia” riuscì di grande soddisfazi­one per i gentiluomi­ni intervenut­i, in ispecie il marchese Casati, il master di questa caccia.

Risponde dall’altra parte altra cacciata, questa volta al cinghiale. Seguitano brillantis­sime le battute al cinghiale nelle immense foreste dei marchesi giorgio e guglielmo guglielmi a montalto di Castro. Sempre nel 1913 ebbe luogo una grande caccia, alla quale partecipò una larga rappresent­anza della Camera dei Deputati. Erano presenti il sottosegre­tario agli interni onorevole Falcioni, l’onorevole Valenzani, l’onorevole Frasso Dentice, l’onorevole di Bagno e il figlio dell’onorevole Facta. C’erano anche don Federico Lante della Rovere, il generale Troya, il marchese Franco Sacchetti, il conte giovanni della Somaglia, il marchese giuseppe Patrizi, il giovane signor Tittoni, il consiglier­e provincial­e montani, il commendato­re Breciaglia: insomma, un po’ di tutto. Uccisero dieci grossi cinghiali e due cervi. i cacciatori però non tornarono a casa subito, ma si fermarono a cena nel castello dei marchesi guglielmi, edificio costruito pare, o almeno secondo la leggenda, dall’ultimo re dei Longobardi, Desiderio. La squisita ospitalità della marchesa servì un lauto pranzo per quaranta coperti; così ci tramandano le cronache cacciatore­sche di allora. Facile immaginare i discorsi dei convitati a tavola dopo una giornata così.

 ??  ?? Demian Planitzer vive nella Valdadige veronese, sul confine del vecchio impero austro-ungarico. È autore dei romanzi Il giovane Hanno Buddenbroo­k, la parte mancante dei Buddenbroo­k di Thomas Mann e Memorie di un nummomane ovvero tramonto di un collezioni­sta di monete antiche, Alboversor­io Editore, Milano; quest’ultima opera è stata segnalata al premio letterario Bukowski, con il romanzo Cadio, di prossima pubblicazi­one. Planitzer è stato finalista al premio letterario Il Giovane Holden.
Demian Planitzer vive nella Valdadige veronese, sul confine del vecchio impero austro-ungarico. È autore dei romanzi Il giovane Hanno Buddenbroo­k, la parte mancante dei Buddenbroo­k di Thomas Mann e Memorie di un nummomane ovvero tramonto di un collezioni­sta di monete antiche, Alboversor­io Editore, Milano; quest’ultima opera è stata segnalata al premio letterario Bukowski, con il romanzo Cadio, di prossima pubblicazi­one. Planitzer è stato finalista al premio letterario Il Giovane Holden.

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