SAFARI CLUB INTERNATIONAL ITALIAN CHAPTER
Sudafricano nell'anima
Giulio Contini, area manager della mia azienda per l’Africa, mi accompagnò con grande entusiasmo alla ricerca del capriolo grigio. Per l’organizzazione mi rivolsi all’amico Mauro Daolio che mi affidò alle cure di un ph sudafricano, bravo e simpatico. Antilope fra le meno conosciute, il vaal rhebok vive esclusivamente in alcune zone montagnose della Repubblica sudafricana; queste zone, non collegate fra loro, si trovano principalmente nella Eastern Cape Province. È
La perseveranza porta all’abbattimento di un selvatico dalle caratteristiche eccezionali: il vaal rhebok, o antilope capriolo, vale un posto d’onore nel libro dei record
quindi endemico di quell’unico Paese ed è forse il solo ungulato africano così precisamente localizzato; non esiste e non è mai esistito altrove.
Il mostro
Chiamato dai colonizzatori boeri vaal rhebok, ossia capriolo grigio, per le dimensioni e la snellezza del corpo (20 chilogrammi circa) e per il colore del manto, presenta una pelliccia lanuginosa simile a quella del coniglio; il suo trofeo, ce l’hanno i soli maschi, ha forma di ago, dritto con leggeri anelli. Somiglia a quello dell’oribi, ma è assai più lungo. È dunque una creatura veramente bizzarra, se non altro per il pelo: nel suo libro African Hunter II il colonnello Craig Boddington lo definisce
“the South Africa’s greatest game”. È l’unico rappresentante della fauna sudafricana che non può esser allevato nelle farm: ha un carattere estremamente aggressivo e, se confinato in uno spazio recintato, nel periodo degli accoppiamenti col trofeo a stiletto tenderebbe a uccidere i rivali.
Una credenza probabilmente errata degli allevatori di ovini vuole che trafigga le pecore con le sue micidiali corna a spillo; pertanto nei secoli precedenti è stato trattato alla stregua di un predatore e sottoposto a una caccia indiscriminata. Il prelievo, oggi estremamente controllato per via dell’esigua popolazione superstite, si svolge in montagna in ambiente di prateria d’altura mischiata a roccia, molto simile alle brughiere scozzesi. Richiede attenzione nello stalking, buona forma fisica e tiri generalmente lunghi, con calibri radenti che non risentano troppo del vento laterale sempre presente su quelle brulle colline.
Dopo cinque ore di cammino su e giù per quei rilievi scartai il prelievo di due selvatici che a giudizio del mio ph erano buoni ma non eccezionali: mi lasciai convincere
a continuare la ricerca di un soggetto migliore. La perseveranza fu premiata con l’ottenimento di un trofeo che andò ben oltre le più rosee aspettative e che, in gergo venatorio, a buona ragione può essere definito un mostro. Occupa tuttora i primissimi posti del record book del Safari Club International e concorse al Carlo Caldesi Award: non vinse perché, nonostante la straordinarietà delle misure, la specie e la relativa facilità con cui lo conquistai non soddisfacevano alcuni requisiti richiesti.
Usai quel gioiellino di kipplauf 7 mm Stv, volandolo a 300 metri ma centrandolo poi a 230: spaventata
dalle schegge di roccia che la mia palla aveva fatto esplodere alle sue spalle, la piccola antilope si era per fortuna avvicinata a noi invece di fuggire in direzione opposta. Avevo dovuto recarmi in Sudafrica ben due volte per il vaal rhebok; ma questa seconda, oltre ad aver rappresentato il safari più corto della mia vita (due giornate!), si concretizzò nel classico “Veni, vidi, vici” che a volte fa tanto piacere anche se non procura il Carlo Caldesi Award.