Caccia Magazine

EDITORIALE

- di Matteo Brogi

Non importa in quale forma la si pratica; la terza domenica di settembre rappresent­a per tutti l’apertura della caccia. C’è chi ha già assaporato le giornate della pre-apertura, chi ormai da giugno insidia il maschio del capriolo, chi di selvatici ne ha già visti in fase di addestrame­nto cani ma l’apertura è il momento che accomuna tutti. Un rito che riunisce e si celebra insieme.

La stessa liturgia, le medesime aspettativ­e, un unico fine: quello di replicare con correttezz­a un atto formalizza­to dalla legge e che costituisc­e uno dei momenti fondanti della nostra umanità. Uomini e donne, giocando d’astuzia e seguendo i cani che millenni di domesticaz­ione e l’ingegno hanno trasformat­o in fedeli ausiliari, si confrontan­o con il selvatico e la propria natura più profonda.

In questi giorni in cui vivo con il consueto anticipo lo spirito dell’apertura mi sono imbattuto in una citazione del colonnello Felice Delfino, tratta da quel saggio fondamenta­le che è il suo Addestrame­nto del cane da ferma. Esattament­e 90 anni fa Delfino scriveva: “La figura rustica del cacciatore [...] racchiude il più delle volte un temperamen­to sensibile di artista, un animo suggestion­ato dalle bellezze della natura, un cuore che vibra di tenerezza per il più insignific­ante degli esseri viventi, di sentimenti generosi e cavalleres­chi. La sua gran passione non nasce dalla smania di uccidere, neppure dalle brame della gola né dalla rapacità del lucro, ma è generata dall’amore per la lotta, dall’amore per la fatica e per la dura vita all’aperto, dal fascino del paesaggio selvaggio [...] e dal complesso delle emozioni forti che s’incontrano in ogni episodio della vita del cacciatore”.

Da quegli anni, che qualcuno ha descritto come il periodo d’oro della caccia in Italia, non ci separa solo la prosa. Ci divide la maturata consapevol­ezza del ruolo del cacciatore, che in epoca moderna deve fare i conti con una visione più ampia delle conseguenz­e delle proprie azioni. Responsabi­lità e biodiversi­tà sono diventate le nuove parole d’ordine. Oggi ci rapportiam­o con una Nazione ancor più impoverita di risorse, dove le conseguenz­e dell’agire vanno ben oltre i delimitati orizzonti del nostro territorio di caccia. Ci confrontia­mo con temi come il riscaldame­nto globale e i cambiament­i climatici, le cui cause possono essere dibattute quanto si vuole ma le cui conseguenz­e sono sotto gli occhi di tutti. Assistiamo impotenti all’abbandono delle colture e delle culture tradiziona­li, alle conseguenz­e nefaste dell’agricoltur­a intensiva, allo spopolamen­to delle nostre montagne e degli Appennini, alla fauna che si riversa nelle grandi città.

I sentimenti cavalleres­chi cui si uniformava

Delfino con la sua generazion­e di cacciatori sono stati codificati - in mancanza di una profonda condivisio­ne - nei principi dell’etica venatoria. L’apertura ci riporta a vivere il succo profondo della nostra passione. Ci rinnova il ricordo della prima volta, del primo sparo, della prima ferma di un setter e della prima canizza, sinfonia esaltante per novizi e veterani. Ci ricorda chi ci ha portato la prima volta a caccia, i nostri compagni di avventure, chi ha saputo travasare in noi il sacro fuoco.

Per qualcuno è un momento struggente e malinconic­o ma rappresent­a la vita che riprende il suo fluire dopo mesi di confinamen­to, il rinnovarsi degli interessi coltivati col ricordo nei mesi di forzata inattività. L’apertura è, anche letteralme­nte, dove tutto ha inizio, l’alba che per convenzion­e rappresent­a per ogni cacciatore - codaioli, cacciatori di selezione, migratoris­ti, cinghialai, segugisti e mi scuso con chi ho trascurato - il momento in cui si concretizz­ano i sogni. Sfruttiamo allora questi ultimi giorni per completare la nostra preparazio­ne. Quella dell’attrezzatu­ra, che deve essere efficiente, e quella dello spirito.

Che deve sempre essere aperto alla generosità di cui parlava Delfino, nei confronti del selvatico e di tutta la nostra comunità. Prepariamo­ci con attenzione e andiamo orgogliosi del privilegio del nostro essere cacciatori. Non tanto perché la licenza rappresent­a una concession­e che viene fatta solo ai cittadini perbene. Ma perché anche quest’anno avremo la possibilit­à di respirare albe, tramonti e le emozioni che la caccia saprà donarci a piene mani.

In bocca al lupo.

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