Una sola cosa da fare
Il pescatore siciliano che è incappato in due cinghiali a cinque miglia dalla costa avrebbe dovuto chiamare la capitaneria di porto e chiedere un intervento immediato. Altrimenti c’era un’unica alternativa possibile
Cosi, dopo L’invasione degli gli orsi in Sicilia di Buzzati, abbiamo pure quella dei cinghiali. Il mio amico Maurizio Cabona, grande critico cinematografico, mi segnala che ne Le crin blanc, film di Albert Lamorisse, “un cavallo nuotava verso la morte”. Anche lui ha visto - e se n’è stupito - il filmato più volte condiviso sul web, da Torino a Pachino. Girato da un pescatore professionista della Sicilia sud-orientale, riprende l’epica traversata di due cinghialotti diretti, nientemeno, alla volta di Marzamemi. Se dobbiamo prestar fede al regista, la ripresa - che parrebbe autentica - viene effettuata a cinque miglia dalla costa, quindi a poco meno di dieci chilometri. Naturalmente abbiamo tutti fatto il tifo per le bestie, sperando che la loro avventura fosse a lieto fine, pur trattandosi di evento eccezionale e per molti versi inspiegabile.
Infatti, se non è raro che i cinghiali facciano il bagno a mare e sono ampiamente dimostrate le loro qualità natatorie - dalla Sardegna giungono periodici filmati in tal senso, anche in queste ore -, non può dimenticarsi che nella più grande isola d’Italia la specie è presente solo in alcune zone.
Una catastrofe ecologica zannuta
Per meglio dire, si era estinta del tutto nei primi del Novecento; è stata reintrodotta per errore dall’Azienda regionale per le foreste demaniali, a causa della fuga di alcuni esemplari da recinti. Se ne è poi incredibilmente incrementato il numero anche per via di scriteriati (e illegali) ripopolamenti venatori. Tuttavia, la presenza del selvatico risulta limitata ai boschi, alle cave (i valloni stretti e incassati formatisi nei millenni con l’azione erosiva delle piogge), alle zone molto selvagge e intricate. E meno male, considerando la nocività del suide nei confronti delle colture. Già appare causa di non poco danno il suo onnivoro e smisurato appetito, che lo porta a ingerire indifferentemente tuberi, granturco, uova e nidiacei di coturnice, leprotti e piccoli di coniglio e a devastare grufolando ogni tipo di coltivazione.
Qui, dove si è registrato l’avvistamento dei cinghiali nuotatori, tuttavia non risulta la presenza del suide alieno. Siamo vicini all’oasi di Vendicari e al massimo, se non li han fatti fuori le epizoozie, abbondano i conigli selvatici.
In altri tempi, a queste latitudini, il buon pescatore si sarebbe certo limitato a pescare, con l’epilogo delle due creature in pentola, così da alimentare per le future generazioni le leggende alieutico-gastronomiche della sua famiglia.
Oggi, forse, abbiamo una sensibilità diversa, o semplicemente la possibilità e il desiderio di essere popolari prevalgono sul brutale istinto di accaparramento. Che cosa sia meglio non giudico; per i cinghiali di sicuro un pescatore compassionevole e con velleità cinematografare.
Per chiunque guardi un po’ più in là - e cioè all’ambiente, agli ecosistemi, agli equilibri della natura - la soluzione auspicabile sarebbe stata un tempestivo intervento della capitaneria di porto (spesso sollecita nel contravvenzionare il bagnante con cagnolino al seguito in spiaggia) che garantisse nell’ordine salvataggio, cattura e messa in sicurezza dei cinghiali.
Il primo per ragioni compassionevoli; la seconda e la terza onde evitare che una catastrofe ecologica zannuta si abbattesse su quest’area incontaminata della Sicilia sud-orientale.
Catturarli, rinchiuderli in gabbia, per poi trasferirli in area idonea era l’unica cosa giusta da fare. Altrimenti, anche se ciò sconvolge le anime belle, mangiarli.