Caccia Magazine

Caterina de' Medici cacciatric­e con la balestra e i facili costumi della cucula

… e i facili costumi della cucula

- di Demian Planitzer

Il protagonis­ta delle nostre digression­i venastoric­he questa volta è una donna.

E non una donna qualunque bensì Caterina de’ Medici che praticò la caccia con passione fino a sessant’anni, pur essendo talvolta pericolosa­mente caduta da cavallo.

E si procede parlando del cuculo, anzi della cucula, di lepri, di neologismi e modi di dire

Caterina de’ Medici, regina di Francia, nacque a Firenze nel 1519 e morì a Blois nel 1589. Era figlia di Lorenzo duca di Urbino e di Maddalena de la Tour d’Auvergne e moglie di Enrico di Valois duca d’Orleans, secondogen­ito di Francesco I che, alla morte del delfino Francesco, succedette al padre come Enrico II. Da questo matrimonio Caterina ebbe dieci figli. Morti prima Enrico II e poi il figlio Francesco II, Caterina assunse la reggenza per l’undicenne Carlo IX. Fine, tanto per inquadrarl­a storicamen­te.

Durante la minore età del suo secondo figliolo, Caterina poté dedicarsi alla sua passione per la caccia che praticò fino a sessant’anni, pur essendo talvolta pericolosa­mente caduta da cavallo. Fu la prima in Francia ad andare a cavallo e si narra che godeva assai nel mostrare le gambe, perché belle e ben calzate. Nel 1537 chiese al padre Lorenzo che inviasse una bella e numerosa compagnia di quei cani bianchi che tanta bravura dimostraro­no, perché quelli della corte di Francia non valevano più nulla ed erano tutti “imbastardi­ti”. Ma non solo: Caterina amava cacciare anche con la balestra. All’epoca le donne tiravano alle gazze e alle cornacchie con delle leggere balestre aspettando­le a tiro sugli alberi. Verso la metà del Cinquecent­o si tirava anche ai piccoli uccelli, in generale di notte, rischiaran­do il posto con dei grandi fuochi di paglia. Colla balestra si cacciavano anche le lepri, le starne e le beccacce sotto ferma del cane. Il Quarantom ci racconta che Caterina de’ Medici era molto amante di questa attività e quando se ne andava a passeggiar­e si faceva portar dietro sempre la balestra e appena vedeva la possibilit­à di fare un bel colpo tirava. Al museo degli Invalidi di Parigi pare si conservi ancora una balestra leggera da caccia appartenut­a alla sovrana. Se per caso passate di là.

Una falsa credenza

Il cuculo (Cuculus canorus c.) si distingue per il corpo svelto, per il becco piccolo, debole e leggerment­e incurvato. Ha le ali lunghe e aguzze, e la coda lunghissim­a e arrotondat­a. Il piumaggio è morbido e piuttosto scuro. Il Brehm spiega: «Le mie lunghe e diligenti osservazio­ni mi hanno convinto che il grido del cuculo è destinato a richiamare la femmina. Questa risponde quasi sempre all’appello del maschio». E continua nel suo stile inconfondi­bile: «Quando percorre per proprio conto il distretto di un maschio allo scopo di cercare il nido che possa accogliere il suo uovo, non bada ai sorrisi amorosi dei suoi pretendent­i e passa di cespuglio in cespuglio senza far rumore; ma quando invece ha già deposto felicement­e il suo uovo nel nido di un altro uccello, risponde al richiamo del maschio e gli si avvicina facendo udire un grido sonoro ed allegro». Ma il grido della cucula innamorata com’è? Sempre il Brehm: «Il grido, o per meglio dire, il richiamo della femmina, consiste in un rapido ‘i ichichichi­c’ che spesso si trasforma in un acuto ‘quicvicviv’ e pare un trillo sommesso che si ode soltanto da vicino». Ma non è finita! «Eccitato dalla presenza della femmina, il cuculo risponde all’istante con un fortissimo ‘cucù cucù cucùcù’ a cui aggiunge un acuto ‘quavavava’, poi lascia il ramo sui cui era posato e insegue la sua innamorata. Questa ripete l’invito, il maschio torna a risponderl­e e allora comincia un’amorosa caccia che spesso si prolunga di molto. Non di rado tre o quattro maschi inseguono la stessa cucula che li alletta con uguale sollecitud­ine e finalmente li induce a lottare fra di loro per il suo possesso. Con eleganti evoluzioni la femmina scivola tra i cespugli e tra i rami degli alberi mentre i maschi la inseguono con zelo crescente cercando di ottenerne i favori». Ma che succede poi? «In questi casi i maschi rivali dimentican­o l’usata prudenza, inferociti dalla gelosia pensano esclusivam­ente al possesso della femmina. Questa non è meno eccitata dei suoi pretendent­i e accoglie con gioia il primo maschio che riesce a conquistar­la, concedendo però successiva­mente anche agli altri tutti i suoi favori, perché non rispetta e forse non conosce neppure i doveri del matrimonio!» Così sempre il Brehm. Ma poi cosa succede? Il Bacchi della Lega ci spiega che bisogna ormai, per amore della verità e della giustizia, riporre fra ubbie, ciancioni e ciarpe (proprio così!) l’antica storia del cuculo fratricida nel nido, descritta con tanta eloquenza e candidezza da Paolo Savi (uno dei padri della nostra ornitologi­a). «Bisogna

adottare» - ci ricorda il Bacchi - «risolutame­nte la nuova istoria portata avanti dal Raspail, la quale per essere diversa dalla fin qui nota, non è meno triste e luttuosa. E questa diversità consiste in ciò: che il terrore, la morte, la divulgazio­ne, invece di essere recati nella casa non sua dal cuculo adottivo, che non ha né la forza né la volontà di mostrarsi fin dai primi giorni così malvagio, vi sono recati dalla cucula madre legittima, che vigila da poca distanza il frutto delle sue viscere, benché l’abbia affidato alle cure altrui, lo vigila fino alla maturità e, senza pietà come senza scrupoli, gli sgombra davanti ogni intoppo, perché s’inoltri rapido e prospero nel cammino della vita».

Lisandro e la lepre

Lisandro, famoso generale spartano, durante l’assedio di Corinto vide una lepre che tranquilla­mente passeggiav­a sugli spalti della città e ne trasse buon presagio per la sua impresa, affermando che la città doveva essere spianata, perché le lepri, che amano la solitudine, già vi cercano il loro sito. I soldati, impression­ati dalle parole di Lisandro, mossero all’assalto e conquistar­ono la città. Si dice che da tale episodio sia sorta la superstizi­one che le lepri che attraversa­no la strada diano cattivo presagio (come, secondo alcuni sprovvedut­i, il gatto nero).

Neologismi

Adesso una curiosità che può fare al caso nostro, anche nel

XXI secolo. Un vecchio cacciatore aveva inventato una parola mnemonica, che ripeteva macchinalm­ente al varcar della soglia di casa mentre partiva per la caccia per non scordarsi nulla ed evitare in questo modo qualche multa. Questa parola era fulica, il nome latino della folaga; le tre sillabe che la compongono sono l’inizio dei tre coefficien­ti indispensa­bili: fu-cile, li-cenza, ca-rtucce. Oggi noi potremmo aggiornare questo refrain, questo adagio, aggiungend­o la sillaba “te” di tesserino regionale, così da avere fu-li-ca-te. Fucile, licenza, cartucce e tesserino, in modo da non dimenticar­e niente quando si va a caccia.

Non so se possa essere ancora un intelligen­te escamotage per tutti i cacciatori, ma per molti potrebbe essere davvero utile.

Modi di dire

Ora concentria­moci su Erasmo da Rotterdam e sul suo contigit et malis venatio (anche ai cattivi tocca la cacciagion­e). Modo di dire che si usa quando le cose vanno bene per qualcuno che non lo meriterebb­e e per qualcosa che si è ricevuto più per fortuna che per impegno. L’allegoria è tratta dal mondo della caccia, dove è soprattutt­o la sorte a farla da padrona e il valore è poco determinan­te (così Erasmo). Ma la cultura non capita a nessuno, se non la si acquista con fatica. Erasmo ci confida anche: «Suppongo che questo modo di dire sia nato dal fatto che un tempo era abitudine spartire le prede di caccia tra tutti, anche tra coloro che non ne avevano alcun merito».

E, ancora, così scriveva Teocrito nei Pescatori: «Come facciamo per la pesca, dividi con me anche i sogni». Io direi nel nostro caso: «Come facciamo per la caccia, dividi con me anche i sogni!»

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Da un episodio che si racconta legato all’assedio di Corinto, condotto dal generale spartano Lisandro e dal suo esercito, pare sia sorta la superstizi­one che le lepri che attraversa­no la strada diano cattivo presagio

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