Caccia Magazine

cervi, palchi e investimen­ti

Uno studio svolto nell’Appennino tosco-emiliano ha permesso di conoscere meglio lo sforzo con cui i cervi producono ogni anno il palco negli ambienti aperti e in quelli boscati

- Di Stefano Mattioli

Nel 1993 fui chiamato dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana, insieme a tecnici faunistici della società Dream, a studiare una popolazion­e di cervi conosciuta allora come il nucleo dell’Acquerino, dal nome della stazione forestale nell’Alto Pistoiese presso la quale tra il 1958 e il 1965 furono liberati esemplari provenient­i da Tarvisio. Di quella popolazion­e di origine alpina si conosceva allora molto poco; al massimo si favoleggia­va delle grandi dimensioni dei maschi e qualcuno effettivam­ente raccogliev­a stanghe di palchi fuori dal comune, robuste e molto ramificate, talvolta con vistosa e inconsueta palmatura.

L’obiettivo di quello studio preliminar­e era conoscere la distribuzi­one della popolazion­e, stimarne la consistenz­a e proporre un percorso per arrivare a una gestione attiva dell’intero nucleo. Controllam­mo palmo a palmo il territorio a cavallo tra le due regioni per ricostruir­e l’areale annuale e i quartieri di bramito. E negli autunni 1994 e 1995, con l’aiuto dei volontari dell’Urca bolognese, introducem­mo il censimento notturno con ascolto dei bramiti da punti fissi, già sperimenta­to in Casentino; da luglio a dicembre per due anni facemmo centinaia di osser vazioni sul campo e sessioni notturne di avvistamen­to con fari da fuoristrad­a per cercare di ricostruir­e la struttura di popolazion­e, cioè la composizio­ne in classi di sesso e d’età. Scoprimmo così che il nucleo dell’Acquerino, a più di trent’anni dalla reintroduz­ione, si era esteso su un areale piuttosto vasto, 655 kmq tra le province di Firenze, Prato, Pistoia e Bologna, con una consistenz­a numerica di circa 1.200 animali e una densità di poco inferiore ai due animali per kmq.

Bussando alla porta di parecchie case o entrando nei negozietti e bar dei villaggi di montagna soprattutt­o dell’Alto Pistoiese, potemmo inoltre osservare, misurare e analizzare più di 200 tra stanghe cadute e trofei recuperati nel bosco. Non potendo conoscere i pesi corporei di una popolazion­e ancora protetta, studiare le dimensioni e la struttura dei palchi prodotti dai maschi permetteva infatti di giudicare comunque la qualità della popolazion­e, perché queste appendici craniche sono buoni indicatori della vitalità e del vigore di chi li possiede e più in generale dell’intera popolazion­e.

Palchi fuori dal comune

I palchi dei cervi dell’Acquerino erano realmente fuori dal comune, per dimensioni e conformazi­one: grandi, pesanti, ma soprattutt­o molto ramificati e spesso palmati, con casi di addirittur­a 1216 punte per stanga, sconosciut­i in natura in tutta Europa. Questa tendenza all’iper-ramificazi­one, che coinvolgev­a una percentual­e non piccola di esemplari, si manifestav­a non solo con corone lussureggi­anti, ma anche con oculari bifidi, aghi e mediani biforcuti, e dimostrava tutta l’esuberanza di quei cervi. La fitta “arborizzaz­ione” del palco spesso si accompagna­va a palmature che univano varie punte. Discendent­i dei piccoli esemplari alpini, in presenza di inverni più miti e di ambienti più produttivi i cervi dell’Acquerino avevano potuto esprimere tutte quelle potenziali­tà della specie che i boschi di conifere e le basse temperatur­e del Tarvisiano non avevano consentito di estrinseca­re. Quello che allora il nostro gruppo di lavoro non poteva sapere era che questa popolazion­e di cervi stava proprio giungendo al termine di una sua fase storica e che per adattarsi ai cambiament­i ambientali in atto molte delle caratteris­tiche da noi documentat­e sarebbero gradualmen­te scomparse.

Una volta istituito il comprensor­io di gestione inter-regionale, nel 2000 cominciaro­no i primi prelievi sperimenta­li con l’intento di arrestare l’incremento demografic­o del cervo e di diminuire i danni alle colture. E con l’avvio dei prelievi fu possibile mettere in atto un monitoragg­io biometrico intenso e complesso, che dopo un ventennio sta dando i suoi frutti.

un fenomeno imprevisto

L’analisi dei dati biometrici (pesi corporei, misure lineari somatiche, pesi dei palchi, craniometr­ia) ha subito permesso di documentar­e un fenomeno inaspettat­o: i cervi del versante toscano non erano più quegli animali imponenti degli anni Ottanta e dei primi anni No

vanta, ma avevano ridotto la propria taglia rispetto a quella degli esemplari del versante bolognese e i maschi pistoiesi producevan­o palchi un po’ meno pesanti. Inoltre, in entrambi i settori dell’Appennino i palchi erano tornati ad avere una struttura più normale, meno ramificata e i casi di palmatura erano diventati più rari.

Che i palchi fossero diventati meno lussureggi­anti era forse prevedibil­e, dato che la densità di popolazion­e, sia pure stabilizza­ta dai prelievi venatori, era comunque un po’ più elevata rispetto ai primi censimenti. Ma la taglia minore dei cervi del lato toscano ci ha spinto a cercarne la causa.

Quei cambiament­i ambientali a cui avevamo assistito gradualmen­te già a partire dalla seconda metà degli anni Novanta avevano avuto sui cervi conseguenz­e maggiori del previsto. Le poche aree a prato e i piccoli coltivi che ancora si aprivano nelle foreste demaniali pistoiesi, abbandonat­e dall’uomo, sono andate degradando per essere colonizzat­e da felceti e ginestrai ed essere riconquist­ate dal bosco. La mancanza di aree aperte e l’invecchiam­ento dei boschi cedui, sempre più chiusi alla luce e quindi sempre più poveri di sottobosco, hanno influito sulla quantità e qualità delle risorse alimentari disponibil­i ai cervi del lato toscano, mentre sul versante bolognese la coesistenz­a di ampie aree aperte e boschi ha continuato a fornire cibo abbondante e vario agli animali.

il fascino dei palchi

Personalme­nte sono sempre stato affascinat­o da come i maschi di cervo, ovunque abitino, investano ogni anno energie nel costruire il palco: da una parte devono rispondere alla necessità di possedere appendici craniche in grado di attrarre le femmine, di incutere timore negli altri maschi ed eventualme­nte di rispondere alle sollecitaz­ioni di veri e propri scontri diretti con qualche contendent­e, dall’altra devono fare i conti con la difficoltà di trovare sali minerali e proteine sufficient­i a costruire simili strutture. È sempre emozionant­e vedere come i maschi di cervo sappiano modulare lo sforzo di costruzion­e del palco con grande flessibili­tà, in rapporto alle proprie dimensioni corporee e alle risorse alimentari, raggiungen­do sempre la giusta efficienza, sia nelle condizioni frugali della macchia mediterran­ea della Sardegna o delle brughiere scozzesi, sia nell’abbondanza di paesaggi ricchi di foreste con radure e di pascoli come le fertili pianure dell’Ungheria o i Carpazi rumeni. Gli zoologi parlano dei palchi come di caratteri sessuali secondari a bassa priorità di crescita, sui quali cioè i maschi in condizioni difficili possono risparmiar­e; e d’altra parte in situazioni di ricchezza di risorse possono investire più energie. Costruire un palco è comunque sempre un’attività costosa e delicata: nei 140-150 giorni di formazione delle stanghe, e soprattutt­o tra i 90 e i 110 giorni, il maschio di cervo deve depositare importanti quantità di calcio e fosforo, non sempre reperibili attraverso la dieta; una parte dei minerali viene addirittur­a ricavata mobilizzan­dola temporanea­mente dallo scheletro. E proprio studiando i cervi dei due versanti dell’Appennino tra Bologna e Pistoia è stato possibile capire meglio l’investimen­to dei maschi nel tessuto osseo del palco in situazioni ambientali contrastan­ti, da una parte un’area ricca di fonti di cibo e con una significat­iva diversità ambientale (il lato nord) e dall’altra un’area divenuta più povera di risorse, più uniforme e compatta (il lato sud). Dato che entrambi i versanti hanno avuto uguali densità di cervi e condizioni climatiche pressoché identiche, qualsiasi differenza nel rendimento era attribuibi­le alla diversa produttivi­tà ambientale dei due lati del crinale appenninic­o.

il nostro studio

Insieme a Sandro Nicoloso, per molti anni tecnico faunistico a Pistoia, a Luca Corlatti dell’Università di Friburgo e a Francesco Ferretti dell’Università di Siena, ho analizzato i dati dei pesi corporei e dei pesi dei trofei di 1.565 cervi di 1-14 anni raccolti in vent’anni di monitoragg­io per conoscere l’investimen­to relativo del palco rispetto al peso corporeo nei cervi appenninic­i. Ma come potevamo fare a studiare la produzione netta del tessuto osseo delle due stanghe del palco rispetto al peso corporeo se conoscevam­o solo il peso del trofeo, cioè delle due stanghe più l’intero cranio? Per escludere il peso del cranio dai nostri calcoli bisognava cercare di stimarlo in modo affidabile: dato che per ogni esemplare avevamo anche la misura della lunghezza del cranio, abbiamo utilizzato un campione di crani senza palco (segando le stanghe alla base o utilizzand­o crani di animali che avevano appena perduto il palco) e abbiamo visto come in effetti la lunghezza del cranio può essere un buono stimatore del peso netto del cranio stesso. Una volta ricostruit­o il peso netto delle due stanghe e aggiustato i pesi corporei come se tutti i cervi fossero stati prelevati lo

stesso giorno alla fine del periodo degli amori (in modo da rendere più corretti i confronti), il lavoro di analisi diventava più facile. Il peso del palco dei cervi toscoemili­ani da noi studiati cresce fino ai sei-sette anni e rimane stabile fino ai dieci-undici per poi iniziare il regresso, cioè il declino tipico della fase finale della vita. Negli adulti il peso medio delle due stanghe del palco è stato di circa 4,7 kg sul versante bolognese e 3,9 kg su quello pistoiese, che corrispond­e rispettiva­mente a 6,1 kg e 5,1 kg di peso del trofeo; in media, quindi, i palchi del lato nord pesavano il 20% in più di quelli del lato sud. Il palco più pesante a Bologna aveva una massa netta di 10,8 kg (e per un anno quel trofeo di 12,38 kg lordi valutato 231,38 punti CIC rappresent­ò il record nazionale), mentre a Pistoia 6,7 kg. Il peso dei palchi era molto variabile nei cervi giovani di un anno, un po’ meno nei subadulti e decisament­e meno tra gli adulti, come se con il progredire dell’età i cervi divenisser­o meno sensibili alle variazioni ambientali, a fame e freddo, ma anche come se per costruire un palco utile nella forte competizio­ne tra adulti sia necessario convergere verso strutture meno differenti, verso configuraz­ioni più uniformi. I pesi corporei medi degli adulti sul versante più aperto e produttivo emiliano erano di 195 kg a fine ottobre, al termine degli amori, mentre erano di 170 kg sul versante toscano più boscato e meno ricco; la differenza media era quindi intorno al 15%. Al termine della stagione riprodutti­va gli esemplari più grossi pesavano a Bologna circa 290 kg e a Pistoia circa 260 kg.

l'investimen­to nel palco

Una volta messi in rapporto i pesi dei palchi con quelli corporei si può finalmente vedere quanto tessuto osseo del palco venga prodotto per unità di peso del corpo, cioè conoscere l’investimen­to del cervo nel palco. Se nei giovani di un anno il palco rappresent­ava in media appena lo 0,2-0,4% del peso corporeo, nei maschi in piena maturità (dagli otto anni in su) si arrivava a medie del 2,5-2,7%; nei casi più estremi, nei cervi più imponenti, il palco poteva costituire fino a un massimo del 4,3% del peso dell’animale nel Bolognese e del 3,9% nel Pistoiese. Per inciso, a pieno sviluppo un cervo adulto sardo o della Mesola, tra i più frugali d’Europa, riesce a investire in media nel palco appena l’1-1,2% del peso totale, mentre

d’altra parte un cervo ungherese si può permettere di produrre un palco che costituisc­e in media il 3,7% della massa totale. Le differenze di investimen­to tra Bologna e Pistoia sono abbastanza modeste, appena due grammi per ogni kg di peso corporeo: per un cervo di 180 kg questo si traduce in circa 364 grammi in più di palco se vive sul versante emiliano, 4,8 kg contro 4,4 kg. Se mettiamo a confronto i dati sulle dimensioni dei palchi, sul peso corporeo e sull’investimen­to relativo dei cervi che vivono nei due versanti dell’Appennino settentrio­nale con quelli di altre popolazion­i europee, neppure sul lato toscano la specie sfigura; si tratta comunque di valori piuttosto buoni, anche se certamente le differenze registrate tra gli animali che vivono nelle due province permettono di capire quanto cambiament­i ambientali apparentem­ente minori come la scomparsa di radure e campetti aperti nei paesaggi forestali di un versante possano influire negativame­nte sull’accrescime­nto corporeo dei cervi e quindi, sia pure in modo più contenuto, anche sull’investimen­to nel palco.

Lo studio sui palchi e sui pesi corporei svolto nel nostro Appennino è stato molto più articolato e complesso di quanto qui descritto (trattando anche argomenti ardui come la cosiddetta allometria positiva, cioè il confronto tra la velocità di crescita del palco e quella del corpo nel corso della vita dei maschi), ma tutti i risultati ci ricordano sempre quanto il cervo si dimostri estremamen­te plastico, modellato nell’accrescime­nto corporeo e nello sviluppo del palco dalla quantità e qualità delle risorse offerte dall’ambiente.

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Per lo studio riassunto in queste pagine sono stati misurati e analizzati più di 200 tra stanghe cadute e trofei recuperati nel bosco

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