Costi e benefici
La pratica dei ripopolamenti dovrebbe essere impiegata con parsimonia seguendo poche ma fondamentali indicazioni, la cui applicazione può condizionare in maniera più o meno positiva gli esiti dell’attività. Occorre comunque che tale pratica sia inserita all’interno di un’accurata programmazione di cui siano chiari gli obiettivi da raggiungere nel tempo sulla base della vocazionalità e della capacità portante del territorio
La tradizione della caccia alla lepre in Italia si perde nella notte dei tempi e rappresenta tutt’oggi uno dei capisaldi tra le tipicità venatorie dei nostri territori. Dalla pianura fino alle zone montuose, non c’è ambiente naturale che non abbia conosciuto l’azione e la voce dei segugi intenti a levare la lepre e a spingerla verso le poste. Insieme a tante altre razze, di questa grande storia fa parte a pieno titolo il segugio italiano a pelo raso, simbolo nostrano della caccia alla lepre le cui origini, altrettanto antiche e rivolte inizialmente alla corsa, scaturiscono addirittura dall’antico Egitto, da dove la razza sarebbe partita per approdare sulle nostre coste a seguito delle attività di scambio e commercio condotte dai Fenici. Fin da queste poche note è possibile capire il grande rilievo che la lepre riveste da sempre sotto il profilo venatorio, cinegetico e, di conseguenza, gestionale. Anche ai giorni nostri, infatti, gli appassionati ricercano assiduamente zone particolarmente vocate a ospitare questa specie, in cui la consistenza del selvatico sia abbondante e capace di soddisfare le aspettative di scovo e di caccia. Come da sempre accade per tutta la piccola selvaggina, la grande importanza gestionale si è tradotta, ormai da molti anni, nell’esigenza sentita da gestori e cacciatori di procedere con periodici ripopolamenti atti a incrementare le consistenze della lepre su tutto il territorio, e in particolare in quelle tipologie di habitat particolarmente adatte alla specie quali spazi aperti o parzialmente arbustati.
origini diverse
I tipi di ripopolamento che generalmente interessano o hanno riguardato in passato la lepre sono sostanzialmente tre, legati alle diverse origini dei selvatici da immettere: lepri selvatiche di importazione, animali selvatici di cattura locale o, ancora, lepri di allevamento. Le lepri di importazione provengono da popolazioni selvatiche che generalmente vengono catturate con reti nei Paesi dell’Europa orientale; specialmente in passato, sono stati impiegati anche animali provenienti dal Sud America. Questo tipo di selvatico viene commercializzato e immesso soprattutto nei medi di dicembre e gennaio; generalmente, proprio per il fatto che tale animale proviene dall’ambiente naturale, è piuttosto apprezzato dal mondo venatorio. Malgrado questa valutazione, tuttavia svariate ricerche svolte a partire dagli anni Settanta evidenziano come la sopravvivenza di questi animali risulti piuttosto limitata, con una media di ricattura a caccia raramente superiore al 20% del contingente immesso. Le ragioni di questa elevata mortalità vanno ricercate sia nel forte stress legato alla cattura e alla permanenza in cassetta (se non correttamente minimizzato dai venditori attraverso una buona organizzazione temporale della filiera che va dalla cattura all’immissione), sia all’immissione in zone diverse, dal punto di vista ambientale, rispetto ai luoghi originari. Le lepri di cattura locale sono invece esemplari generalmente catturati in istituti interdetti alla caccia, come per esempio le zone di ripopolamento e cattura, e rilasciate in territori limitrofi nel giro di poche ore o il giorno successivo. Anche in questo tipo di ripopolamento, per contenere il più possibile eventuali danni o mortalità a femmine gravide o a primi leprotti, l’attività viene condotta tra dicembre e gennaio. Attraverso questa pratica si raggiungono tassi di sopravvivenza un po’ più elevati, con punte fino al 50%, in quanto viene contenuto l’impatto dei fattori limitanti che invece possono insorgere tra le lepri di importazione; nel caso della cattura locale, infatti, la permanenza in cassetta e lo stress diminuiscono. Un fattore che tuttavia sembra chiaramente condizionare la permanenza dei selvatici di cattura è legato alla consistenza di lepri naturali già presenti sul territorio interessato dal ripopolamento. Generalmente il successo dell’immissione appare correlato in maniera inversamente proporzionale alla densità dei selvatici già residenti
nell’ambiente naturale. A causa di fenomeni di competizione, infatti, in zone con densità discrete di lepri residenti le nuove arrivate sceglieranno un’area di vita definitiva più lontana dal sito di immissione e lo stesso processo di adattamento e stabilizzazione nelle nuove zone sarà più lento. Inoltre, tra le valutazioni preliminari alla scelta di effettuare l’immissione non va dimenticato anche l’aspetto legato al costo delle lepri, che nel caso di animali di cattura si colloca indicativamente tra i cento e i duecento euro a capo e di conseguenza può finire per condizionare, in molti casi, le scelte dei gestori.
Nel caso delle lepri di allevamento, infine, vengono spesso impiegati animali giovani, sia provenienti direttamente dalla gabbia, sia pre-ambientati in recinto; di solito questo tipo di pratica viene condotta in primavera, con condizioni ambientali favorevoli alla sopravvivenza e all’ambientamento in natura delle giovani lepri. I tassi di sopravvivenza delle lepri allevate tuttavia sembrano assai simili a quelli riscontrati tra le lepri di importazione, con medie di ricattura a caccia solitamente non superiori al 20%.
il peso dello stress
Se la messa in atto di queste pratiche può inizialmente fornire un’impressione di corretta implementazione del patrimonio di lepri su un determinato territorio, in realtà non sempre è così, come abbiamo potuto constatare da un primo esame delle percentuali di sopravvivenza e ricattura degli animali immessi.
Uno dei fattori più importanti sull’incidenza della mortalità tra le lepri di immissione è indubbiamente lo stress, che molto spesso finisce per emergere sotto forma di patologie gravi. Tutte le lepri ospitano, infatti, numerosi parassiti in particolare all’altezza degli apparati digerente e respiratorio, con i quali instaurano delicate forme di equilibrio fisiologico; con l’abbassarsi delle difese immunitarie a causa di traumi o stress questo equilibrio viene meno e gli animali tendono ad ammalarsi, andando spesso incontro a decesso a causa della malattia stessa oppure non riuscendo a sottrarsi alla predazione in quanto debilitati.
Tra le patologie più comuni nelle lepri troviamo la pasteurellosi e la coccidiosi. La prima si manifesta
per l’azione di batteri a livello respiratorio con costipazione, scolo nasale, tracheite o anche polmonite, talvolta associate a comportamenti apatici o depressivi. La coccidiosi è invece causata da protozoi che impattano sull’intestino producendo dissenteria, infiammazione e disidratazione grave. Queste malattie, che possono condurre gli animali alla morte, sono enfatizzate da densità di lepri sul terreno particolarmente elevate, tali da causare una forte presenza di patogeni al suolo; da questo si comprende come possano costituire una grave minaccia non solo verso le lepri di cattura, bensì anche nei confronti dei selvatici di allevamento, soprattutto se pre-ambientati in recinti molto utilizzati e non correttamente trattati sotto il profilo igienico-sanitario.
serve un ambiente amico
Un altro elemento che può influire su una scarsa resa degli animali immessi è la difficoltà da parte loro, soprattutto se provenienti da lontano, di ritrovare un ambiente con caratteristiche ecologiche familiari a quelle in cui erano abituati a vivere. Questa difficoltà nel ritrovare rifugi e alimenti usuali, che si manifesta soprattutto nel primo periodo post-immissione, porta gli animali a effettuare spostamenti anche molto ampi dal punto di rilascio, tali da esporli notevolmente al rischio di essere predati o di incappare in incidenti stradali. In presenza di esemplari di recente rilascio, debilitati o spaesati, anche la rete viaria finisce così per costituire un’altra importante causa di mortalità, tale da incidere anche con percentuali elevate in territori ricchi di strade e infrastrutture.
Comportamenti anomali e predazione
Va inoltre ricordato come le lepri di allevamento manifestino spesso un comportamento anomalo quando sollecitate dai cani. Anziché levarsi dal covo e iniziare la tipica fuga ricca di scatti repentini e
cambi di direzione, spesso gli animali allevati si fanno raggiungere quasi subito dagli ausiliari accennando solo scatti timidi e contenuti, andando così a limitare o addirittura a inficiare il corretto lavoro dei segugi e di conseguenza il gusto cinegetico legato agli aspetti cinofili che, invece, in questa tipologia di caccia dovrebbero raggiungere momenti di elevata piacevolezza. Infine non dobbiamo dimenticare come la predazione, sia da parte di selvatici come volpe o faina sia a opera di domestici come il cane o il gatto, risulti significativamente impattante sugli animali rilasciati soprattutto nel primo mese post-immissione, quando i nuovi arrivati non sono ancora riusciti a elaborare adeguati comportamenti anti-predatori idonei al nuovo ambiente di vita.
Ripopolamenti con parsimonia
Da quanto descritto fino a ora si può comprendere come i ripopolamenti di lepre non costituiscano sempre la panacea nel caso si evidenzino cali di consistenza nelle popolazioni naturali o qualora si intenda incrementare le densità della specie sui territori. Infatti, se innanzitutto non vengono elimi
nate prioritariamente le criticità limitanti che hanno portato alla contrazione dei popolamenti selvatici, assai difficilmente si potrà pensare di risolvere il problema, sul medio-lungo periodo, intervenendo solo mediante attività di immissione.
In ogni caso quando si impiegano animali di cattura sono da preferire soggetti provenienti da territori il più possibile limitrofi e assimilabili sotto il profilo vegetazionale e colturale rispetto alle zone dove gli animali saranno liberati, in modo da agevolare le loro capacità di adattamento e di impiego delle risorse. Una maggiore variabilità ambientale facilita comunque la colonizzazione e l’individuazione delle risorse da parte delle lepri; i siti di rilascio dovrebbero sempre presentare, per quanto possibile, una buona presenza di vegetazione naturale, con erba, cespugli e boschetti, affiancata a idonee colture a perdere.
Gli habitat costituiti da una buona presenza di vegetazione erbacea e cespugli sono importanti per qualsiasi tipo di lepre immessa; questi ambienti devono sempre essere presenti nei siti individuati per i ripopolamenti. In questo modo si riesce a dare una risposta efficace all’esigenza di rifugi ottimali per gli esemplari appena immessi, che non conoscendo bene l’ambiente circostante tendono a impiegare strategie di difesa passiva sia nei confronti dei predatori, sia verso le lepri selvatiche già presenti sul territorio.
La pratica dei ripopolamenti dovrebbe essere impiegata con parsimonia seguendo perlomeno queste poche indicazioni, la cui applicazione può condizionare in maniera più o meno positiva gli esiti dell’attività. Occorre comunque che i ripopolamenti si inseriscano all’interno di un’accurata programmazione di cui siano chiari gli obiettivi da raggiungere nel tempo sulla base della vocazionalità e della capacità portante del territorio. Ogni valutazione dovrebbe essere basata su una precedente stima della densità delle lepri, tale da permettere di accertare le densità post-riproduttive, cui dovrebbe essere affiancata una valutazione sulla dinamica della popolazione da ottenere analizzando i rapporti tra i sessi e tra giovani e adulti nei carnieri.
Luca Ciuffardi è tecnico faunistico laureato in Scienze naturali, che lavora sia come dipendente dell’Atc Genova 2 Levante, sia come libero professionista nei settori della fauna omeoterma e dell’ittiofauna d’acqua dolce (www.lucaciuffardi.it). Giornalista pubblicista specializzato in tematiche faunistiche, già docente a contratto presso l’Università di Genova, negli ultimi anni, in ambito di animali terrestri, si è occupato soprattutto di lepre, pernice rossa, capriolo e lupo, in collaborazione con i principali studiosi ed enti di ricerca italiani. Dal 2018 è inoltre coadiutore della Banca dati ungulati gestita da Ispra.