Oggi estinti. Ma chi c'era ancora all'epoca di Dante?
Da molto tempo, ormai, l’adozione di provvedimenti e il compimento di azioni e interventi per scongiurare il rischio di estinzione di specie animali sono diventati la normalità. Non è sempre facile, non è sempre lineare, però lo si fa, a volte a furor di popolo, a volte per autonoma iniziativa delle amministrazioni e dei governi. Anche questi sono i frutti dell’evoluzione di Homo sapiens e della sua accresciuta consapevolezza della necessità di non perdere biodiversità o, perlomeno, di limitare i danni che le attività antropiche le arrecano quotidianamente. Non fu sempre così, anzi, semmai avvenne tutto il contrario. Delle specie animali, come di quelle vegetali, si concepiva la sola utilità per la collettività umana, che fosse per alimentarci, per ricavarne il vestiario, per il legname per costruire navi, per produrre energia o per cento altri motivi. Non vi è granché da imputare agli umani del passato, dato che la sensibilità e l’attenzione per la fauna selvatica sono conquiste piuttosto recenti: non a caso, ad esempio, in epoca rinascimentale fu il solo Leonardo da Vinci a esprimersi palesemente a contrasto del sentire collettivo, ma ci volle appunto un genio stupefacente, se non il genio per eccellenza di ogni epoca. Fatto sta che quando Dante visse e scrisse diverse specie omeoterme, cioè di mammiferi e uccelli, poi estinte ancora popolavano quasi indisturbate il pianeta e continuarono a popolarlo per secoli dopo il Trecento. Alcune anche nella nostra vecchia Europa. Dobbiamo necessariamente sceglierne alcune. Si pensi all’uro (Bos taurus primigenius), grande e massiccio bovino selvatico, il cui ultimo esemplare fu avvistato in natura nel 1627 nelle foreste della Polonia; o al dodo (Raphus cucullatus), grande uccello inetto al volo, esponente dei columbiformi, endemico dell’isola di Mauritius ed estintosi, secondo le fonti, nel 1662 o nel 1681; o ancora, per tornare nel Vecchio Continente, all’alca impenne (Pinguinus impennis), altra specie di uccello inabile al volo e simile agli odierni pinguini, che abitava il Nord Atlantico fra Europa e America, il cui ultimo esemplare in natura fu avvistato nel 1852 sui Grandi Banchi di Terranova. Ciascuno di noi, oggi, può informarsi su questi animali, così come su tutti gli altri che vennero in qualche modo sacrificati semplicemente – ma tragicamente negli effetti – sull’altare dell’inconsapevolezza o dell’ignoranza o magari della noncuranza. Nei tre casi citati l’estinzione sopraggiunse per distruzione degli habitat, invasione di specie arrivate al seguito degli umani e pericolosissime per i nidi (i ratti e i maiali), sovrasfruttamento tramite caccia e uccisioni indiscriminate. La cosa migliore che oggi noi possiamo fare è impedire che accada di nuovo.