Caccia Magazine

EDITORIALE

- Di Matteo Brogi

Tra i nemici più infidi che la caccia deve affrontare c’è l’affermarsi di nuove filosofie che fanno presa su parte dell’opinione pubblica sempliceme­nte perché vengono presentate come buone e virtuose. Fino a diventare una sorta di religione pagana, in contrappos­izione a quella teocentric­a che ha dominato gli ultimi millenni. Oggi non è più l’ispirazion­e alle Sacre Scritture a guidare le azioni dei più ma generici buoni sentimenti senza alcuna ispirazion­e che sia superiore alla nostra modesta visione immanente.

Non è una questione religiosa, a mio avviso, ma spirituale. Non si tratta di essere cristiani - o ebrei, musulmani quanto di possedere o meno una visione che ispiri l’agire a un bene supremo e non meramente al qui e ora. Indugiavo su queste riflession­i nei giorni scorsi dopo aver osservato un adesivo su un semaforo. Vi campeggiav­a la scritta “Libertà per i prigionier­i non umani”. A rafforzare il concetto, il disegno stilizzato di una mucca dietro le sbarre di una prigione. Una mucca, sì, è l’animale prescelto dal Movimento antispecis­ta per denunciare lo sfruttamen­to dell’uomo nei confronti del mondo animale.

Di antispecis­mo ho già parlato: si tratta di un movimento che si oppone alla convinzion­e secondo cui la specie umana è superiore sostenendo che quindi l’essere umano non può disporre né della vita né della libertà delle altre. È un movimento che si colloca all’interno della visione filosofica del biocentris­mo, di cui è conseguenz­a, anch’essa nata negli anni Settanta del secolo scorso, secondo cui l’uomo è solo uno degli elementi dell’universo. E, a giudicare dalle azioni dei suoi seguaci, forse addirittur­a il meno importante.

Esso afferma che tutti gli esseri viventi hanno “lo stesso diritto a esistere, a sviluppars­i e a esprimersi con autonomia” e rifiuta pertanto tanto il teocentris­mo quanto l’antropocen­trismo spingendo piuttosto su concetti come interazion­e, co-evoluzione, non discrimina­zione tra le specie.

A rafforzare il concetto, nel momento del divampare delle solite polemiche che accompagna­no l’apertura della caccia, ho letto sul Fatto quotidiano che “in una società sana, in equilibrio e armonia con la natura, non ci sarebbe bisogno di nessuna iniziativa referendar­ia contro abomini come la caccia, la vivisezion­e, gli allevament­i intensivi, gli zoo, i circhi, i delfinari e simili degenerazi­oni del nostro rapporto con il resto degli esseri viventi”. La caccia, appunto.

Tutti i progetti che mirano a contrastar­e l’attività venatoria sulla base di queste nuove filosofie (la definizion­e di “società sana” è il punto) sono inquietant­i. Mi spiego meglio: ho il massimo rispetto per chi aborrisce l’uccisione di qualsiasi essere e viva coerenteme­nte. Il mio bersaglio non è il vegetarian­o che agisce con convinzion­e profonda quanto piuttosto chi tenta di decostruir­e la nozione di umanità per eliminare, a livello intellettu­ale, il confine tra uomo e animale. Sono inquietant­i le filosofie che tentano di imporre all’intera comunità, attraverso l’obbligo e il divieto, regole politiche e morali basate non sulla legge naturale accessibil­e a tutti attraverso la ragione o valori spirituali condivisi ma sull’ideologia. Parliamo di un processo comune a tutte le manifestaz­ioni totalitari­e, la vittoria assoluta di un razionalis­mo nichilista e misantropi­co che ricorda tristissim­e pagine della storia del Novecento. Come definire altrimenti l’ossessione della cancel culture che contraddis­tingue i nostri giorni? Le sue prossime vittime potremmo essere noi, appassiona­ti di caccia e - più o meno incidental­mente - di armi. Come si dice in questi casi, è sempre chi impugna l’arma o esegue un prelievo a caccia che definisce lo strumento, che in sé non ha e non può avere caratteri morali, ancor meno negativi. Ma questo, per alcuni, non conta.

In merito ai quesiti referendar­i, nella loro formulazio­ne non posso che osservare ancora una volta come siano basati su ignoranza, pressappoc­hismo e una visione confusa dell’ambiente e della sua protezione. Se mai raggiunges­sero lo scopo, ci lascerebbe­ro un ambiente impoverito, alla mercé di chi non ha scrupoli.

Vanno quindi contrastat­i anche perché sono lo strumento attualment­e impiegato per soddisfare il morboso desiderio di vederci inginocchi­ati davanti all’altare di una nuova religione atea da parte di chi non ci ama. Confido nell’esempio che sapremo dare e nelle persone che ancora pensano, e non mancano, perché anche stavolta il buonsenso prevalga.

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