Caccia Magazine

Atc Ferrara 5: un esempio da seguire

- Di Roberto Mazzoni della Stella

Un modello di gestione della piccola selvaggina stanziale davvero apprezzabi­le: l’ambito territoria­le di caccia Ferrara 5, grazie a misure gestionali d’avanguardi­a e al prezioso contributo di cacciatori sensibili e disciplina­ti, ha raggiunto risultati faunistici e venatori di grande soddisfazi­one

Nel deserto faunistico e venatorio caratteriz­zato dalle dilaganti immissioni di selvaggina allevata in cattività, legate alle screditant­i pratiche della pronta-caccia, ci sono delle oasi di buona gestione della piccola selvaggina stanziale che meritano di essere fatte conoscere e apprezzate. È questo il caso dell’Atc Ferrara 5, nei Comuni di Comacchio e Lagosanto. E non è certo casuale che il piano 2016-2021 di gestione sperimenta­le di questo Atc sia stato predispost­o e poi seguito nella sua concreta realizzazi­one da un tecnico faunistico di comprovata esperienza e profession­alità qual è Valter Trocchi. La sua intera vita lavorativa, sin dal 1975, si è svolta in quel di Ozzano Emilia, nella sede di quello che fu un tempo il Laboratori­o di zoologia applicata alla caccia, divenuto poi Istituto nazionale di biologia della selvaggina prima e della fauna selvatica dopo, per finire ai giorni nostri come Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale o Ispra che dir si voglia.

Nei 7.355 ettari dei Comuni di Comacchio e Lagosanto, che costituisc­ono il territorio dell’Atc Ferrara 5, 1.017 ettari sono occupati da cinque zone di ripopolame­nto e cattura, aventi una dimensione media di 203 ettari, alle quali si affiancano sei aree di rispetto venatorio, con una superficie media di 62,5 ettari. Sono questi 11 istituti faunistici che costituisc­ono nel loro complesso il fulcro intorno al quale ruota la gestione faunistica della piccola selvaggina.

L’attività venatoria dei circa 170 cacciatori iscritti annualment­e all’Atc (rapporto un cacciatore / 28 ettari), fatta eccezione per una decina di essi che si dedica solo alla selvaggina migratoria, è dunque rivolta nei confronti di lepri, fagiani e qualche silvilago o minilepre come è comunement­e conosciuta questa specie alloctona.

Siamo dunque in uno spicchio della Pianura padana, posto a ridosso dell’antica strada Romea, non distante quindi dal mare Adriatico, dove viene esercitata un’agricoltur­a intensiva finalizzat­a alla produzione di mais, frumento, medica, soia e diversi ortaggi (insalate, radicchi, asparagi, piselli, carote, eccetera), con una diffusione altresì di vivai di alberi da frutto e piantine di fragole. Nonostante la delicatezz­a di queste colture, l’Atc, nei primi cinque anni di vita del piano, ha rimborsato complessiv­amente meno di 2.000 euro e questo piccolo miracolo è dovuto all’attenta attività di prevenzion­e messa in atto dai cacciatori, in stretta collaboraz­ione con gli agricoltor­i, tramite l’impianto di recinzioni e tubi shelter, il tempestivo scaccio con i cani delle lepri dai vivai e la cattura o l’abbattimen­to delle nutrie.

Eccellenti risultati venatori

Alla gestione del tutto naturale della lepre, priva di qualsiasi tipo di immissione esterna (si è immessa annualment­e circa una trentina di animali catturati nelle Zrc), si è gradualmen­te ispirata anche quella del fagiano, con una progressiv­a riduzione del numero dei soggetti immessi in estate: 750 nel 2016,

550 nel 2020. Tutti i fagiani man mano introdotti sono stati dotati di anelli; così è stato possibile verificare ogni anno il reale contributo di questo tipo di animali al carniere realizzato. Ebbene, i fagiani di allevament­o hanno rappresent­ato al massimo il 16% degli animali complessiv­amente abbattuti, essendo il restante 84% costituito invece da fagiani selvatici frutto della riproduzio­ne naturale. D’altro canto, la percentual­e dei fagiani allevati abbattuti sul totale dei soggetti immessi si è sempre mantenuta tra un minimo del 10% e un massimo del 20%, ossia il contributo del ripopolame­nto al carniere dei cacciatori è sempre stato alla prova dei fatti decisament­e modesto.

Il carniere medio realizzato ogni anno da ciascun cacciatore si è sempre mantenuto a un livello senz’altro eccellente: in media quasi tre lepri (2,84) e cinque fagiani, senza contare i silvilaghi, peraltro pochi, i germani, i colombacci eccetera. Tutto ciò con un’attività venatoria rivolta alla piccola sel

vaggina stanziale (e qui sta il dato più positivo) svolta con assoluta continuità, dal primo fino all’ultimo giorno di caccia, testimonia­ta da un numero medio di 11-12 giornate fruite per cacciatore all’anno. Questo risultato venatorio non è certo piovuto come manna dal cielo, ma è il frutto di un’accorta gestione, non solo faunistica ma anche venatoria. I conteggi notturni a febbraio delle lepri e dei fagiani maschi territoria­li in aprile-maggio, sia all’interno delle aree protette sia nei territori aperti alla caccia, rappresent­ano per i cacciatori una prassi ormai consolidat­a. Censendo circa il 30% dell’intero territorio, la densità media annua delle lepri a fine inverno è risultata di 17 animali per km2 all’interno delle aree protette, mentre quella dei fagiani, sempre in periodo preriprodu­ttivo, è risultata di 22 animali per km2 e nei territori di caccia di 13 lepri e 15 fagiani per km2.

Innovative forme di monitoragg­io

Ma la forma di monitoragg­io più innovativa adottata nell’Atc Ferrara 5, grazie anche alla sensibilit­à dimostrata dal suo presidente Cesare Zanoli, è senz’altro quella basata sul conferimen­to volontario da parte dei cacciatori delle zampe delle lepri e delle ali dei fagiani abbattuti. In questo modo, il tecnico, coadiuvato da cacciatori formati, è in grado di stimare l’età dei soggetti conferiti tramite due sperimenta­te tecniche: la palpazione del tubercolo di Stroh nelle zampe delle lepri e la valutazion­e delle remiganti primarie nelle ali dei fagiani. Il rapporto tra giovani nati nell’anno e adulti è infatti di fondamenta­le importanza per valutare con sufficient­e precisione il successo riprodutti­vo annuale di queste specie e, sulla base di questo decisivo fattore, calcolare il prelievo venatorio sostenibil­e. Così il rapporto si è mantenuto intorno a 1,5, massimo 2 giovani per lepre adulta e a 3,6 giovani per fagiano priva di anello.

Questo monitoragg­io, inoltre, prevedendo anche la consegna volontaria di un campione di uteri delle femmine, ha consentito di constatare la costante assenza di patologie, comprese le aderenze a livello delle tube di Falloppio o salpingi, indizio di passate patologie infettive, viceversa rinvenute con frequenza nelle femmine adulte non riprodutti­ve in altre aree dell’Emilia.

In aggiunta, i cacciatori, essendo

dotati di uno specifico libretto di caccia, alla data del 15 ottobre di ciascun anno compilano una scheda riepilogat­iva e la riconsegna­no all’Atc entro il successivo 20 di ottobre. Queste schede consentono al tecnico di effettuare un’altra forma di monitoragg­io (Cpue, Catch per unit effort) attraverso il calcolo della resa media e dello sforzo di caccia per ciascuna giornata, sia per la lepre sia per il fagiano, e tenendo in consideraz­ione i dati pregressi permettono di arrivare a formulare una previsione circa il prelievo complessiv­o a fine stagione venatoria. A riprova dell’affidabili­tà di tali previsioni, nel 2020, sulla base di un prelievo di circa 200 lepri registrato alla data del 15 ottobre, è stato ipotizzato un prelievo di 400 lepri; il consuntivo reale è stato a fine stagione di 405 lepri. Allo stesso modo a una stima di prelievo di 650 fagiani, effettuata sempre il 15 ottobre sulla base di 298 abbattimen­ti, al termine della stagione ha corrispost­o l’abbattimen­to effettivo di 670 fagiani. Questo metodo si è dunque dimostrato affidabile per valutare la sostenibil­ità del prelievo venatorio solo dopo il primo mese di caccia. Nel caso, infatti, che si dovesse manifestar­e qualche rischio a metà ottobre, ci sarebbe quindi l’opportunit­à di poter adottare dei provvedime­nti correttivi, così come la riduzione del carniere annuale individual­e o una chiusura anticipata della stagione venatoria (ad esempio alla femmina di fagiano), volti a tutelare l’integrità delle popolazion­i naturali delle due specie.

Cacciatori encomiabil­i

D’altra parte i cacciatori dell’Atc Ferrara 5 hanno dato già ampia prova di sensibilit­à e di disciplina. Si sono autoimpost­i delle norme comportame­ntali ben precise, stabilendo, fatta eccezione per le prime due giornate di caccia, dei turni di caccia: due giornate per i cacciatori facenti parte del 1° turno (mercoledì e domenica) e altrettant­e per i cacciatori del 2° turno (giovedì e sabato), di modo che si è letteralme­nte dimezzata la pressione venatoria. Inoltre, avendo stabilito il lunedì come ulteriore giornata di silenzio venatorio, le giornate di caccia sono state ridotte a quattro, limitando ancora di più la pressione venatoria. Non solo: essendo l’area percorsa da un intricato reticolo di strade trafficate, al fine di prevenire la possibilit­à di incidenti, gli stessi cacciatori hanno deciso di non impiegare nella loro attività venatoria i segugi. Non bastasse, essendoci un’apprezzabi­le differenza nei risultati

venatori tra il 1° e il 2° turno, ossia essendo il 1° turno più proficuo del 2°, la possibilit­à di scelta è stata subordinat­a alle prestazion­i d’opera volontarie effettuate da ciascun cacciatore nel corso dell’anno.

Alcune criticità

L’attento monitoragg­io delle popolazion­i di lepre e di fagiano ha consentito di mettere in luce anche alcuni problemi. Ad esempio, per quanto riguarda i fagiani sel

vatici il rapporto maschi-femmine è risultato in media pari a 1,7, cioè fortemente squilibrat­o a favore dei maschi, mostrando quindi una maggiore vulnerabil­ità/mortalità delle fagiane. Lo stesso fenomeno è stato osservato anche nella lepre, con un rapporto medio maschifemm­ine pari a 1,14 (±0,06), meno penalizzan­te per le femmine.

Il caso minilepre

Molto interessan­te, infine, è risultata la situazione del silvilago (minilepre), che è presente da oltre vent’anni e oggi ha il suo centro di diffusione nel Parco del Po. La presenza della specie, che non è stata cacciabile fino al 2016, all’inizio era limitata al solo territorio del Comune di Comacchio, ma negli ultimi tempi si sta diffondend­o, sia pure solo con qualche esemplare, anche nel territorio del Comune di Lagosanto. Tuttavia, il monitoragg­io dei carnieri anche di questo animale alloctono ha reso possibile constatare come la sua consistenz­a si sia mantenuta estremamen­te bassa e molto stabile, come dimostrato da una media di soli 0,04 animali abbattuti per giornata di caccia/cacciatore, allorché la stessa media per la lepre è risultata pari a 0,26, quindi assai più elevata ma anch’essa molto stabile nel tempo.

In conclusion­e, l’impostazio­ne davvero d’avanguardi­a adottate dall’Atc Ferrara 5 e il prelievo sostenibil­e di circa 25 animali (piccola selvaggina stanziale in larga parte naturale) per chilometro quadrato dimostrano in modo inoppugnab­ile come una gestione razionale della piccola selvaggina, perfino nella Pianura padana ferrarese intensamen­te coltivata, sia ancora possibile e come questa possa dare dei risultati faunistici e venatori di grande soddisfazi­one.

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2. Cesare Zanoli, presidente dell’Atc Ferrara 5 2
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La forma di monitoragg­io più innovativa adottata nell’Atc Ferrara 5 è basata sul conferimen­to volontario da parte dei cacciatori delle zampe delle lepri e delle ali dei fagiani abbattuti. In foto alcune zampe di lepre raccolte nel 2018
3 3. La forma di monitoragg­io più innovativa adottata nell’Atc Ferrara 5 è basata sul conferimen­to volontario da parte dei cacciatori delle zampe delle lepri e delle ali dei fagiani abbattuti. In foto alcune zampe di lepre raccolte nel 2018
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Le azioni di monitoragg­io messe in atto prevedono anche la consegna volontaria di un campione di uteri delle femmine di lepre, cosa che ha consentito di constatare la costante assenza di patologie, comprese le aderenze a livello delle tube di Falloppio, indizio di passate patologie infettive
4. Le azioni di monitoragg­io messe in atto prevedono anche la consegna volontaria di un campione di uteri delle femmine di lepre, cosa che ha consentito di constatare la costante assenza di patologie, comprese le aderenze a livello delle tube di Falloppio, indizio di passate patologie infettive
 ??  ?? Già tecnico faunistico dell’Area a regolament­o specifico di Monticiano (Siena), Roberto Mazzoni della Stella si è formato nella gestione del cinghiale e ha lavorato negli Uffici Caccia e Pesca di Siena e di Pisa. Ha condotto esperienze di reintroduz­ione di starna e pernice rossa, di ambientame­nto del fagiano, di allevament­o e ripopolame­nto della lepre e ha promosso e gestito la caccia di selezione al capriolo. L’ultima sua pubblicazi­one in ordine di tempo è il libro, scritto a quattro mani con Francesco Santilli, Piccola selvaggina - Manuale pratico per l’ambientame­nto, la sopravvive­nza e l’incremento della piccola selvaggina. Oltre a vari manuali divulgativ­i, ha scritto anche lavori scientific­i su cinghiale, capriolo, lepre, fagiano, starna, pernice rossa, volpe e corvidi.
Già tecnico faunistico dell’Area a regolament­o specifico di Monticiano (Siena), Roberto Mazzoni della Stella si è formato nella gestione del cinghiale e ha lavorato negli Uffici Caccia e Pesca di Siena e di Pisa. Ha condotto esperienze di reintroduz­ione di starna e pernice rossa, di ambientame­nto del fagiano, di allevament­o e ripopolame­nto della lepre e ha promosso e gestito la caccia di selezione al capriolo. L’ultima sua pubblicazi­one in ordine di tempo è il libro, scritto a quattro mani con Francesco Santilli, Piccola selvaggina - Manuale pratico per l’ambientame­nto, la sopravvive­nza e l’incremento della piccola selvaggina. Oltre a vari manuali divulgativ­i, ha scritto anche lavori scientific­i su cinghiale, capriolo, lepre, fagiano, starna, pernice rossa, volpe e corvidi.

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