Atc Ferrara 5: un esempio da seguire
Un modello di gestione della piccola selvaggina stanziale davvero apprezzabile: l’ambito territoriale di caccia Ferrara 5, grazie a misure gestionali d’avanguardia e al prezioso contributo di cacciatori sensibili e disciplinati, ha raggiunto risultati faunistici e venatori di grande soddisfazione
Nel deserto faunistico e venatorio caratterizzato dalle dilaganti immissioni di selvaggina allevata in cattività, legate alle screditanti pratiche della pronta-caccia, ci sono delle oasi di buona gestione della piccola selvaggina stanziale che meritano di essere fatte conoscere e apprezzate. È questo il caso dell’Atc Ferrara 5, nei Comuni di Comacchio e Lagosanto. E non è certo casuale che il piano 2016-2021 di gestione sperimentale di questo Atc sia stato predisposto e poi seguito nella sua concreta realizzazione da un tecnico faunistico di comprovata esperienza e professionalità qual è Valter Trocchi. La sua intera vita lavorativa, sin dal 1975, si è svolta in quel di Ozzano Emilia, nella sede di quello che fu un tempo il Laboratorio di zoologia applicata alla caccia, divenuto poi Istituto nazionale di biologia della selvaggina prima e della fauna selvatica dopo, per finire ai giorni nostri come Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale o Ispra che dir si voglia.
Nei 7.355 ettari dei Comuni di Comacchio e Lagosanto, che costituiscono il territorio dell’Atc Ferrara 5, 1.017 ettari sono occupati da cinque zone di ripopolamento e cattura, aventi una dimensione media di 203 ettari, alle quali si affiancano sei aree di rispetto venatorio, con una superficie media di 62,5 ettari. Sono questi 11 istituti faunistici che costituiscono nel loro complesso il fulcro intorno al quale ruota la gestione faunistica della piccola selvaggina.
L’attività venatoria dei circa 170 cacciatori iscritti annualmente all’Atc (rapporto un cacciatore / 28 ettari), fatta eccezione per una decina di essi che si dedica solo alla selvaggina migratoria, è dunque rivolta nei confronti di lepri, fagiani e qualche silvilago o minilepre come è comunemente conosciuta questa specie alloctona.
Siamo dunque in uno spicchio della Pianura padana, posto a ridosso dell’antica strada Romea, non distante quindi dal mare Adriatico, dove viene esercitata un’agricoltura intensiva finalizzata alla produzione di mais, frumento, medica, soia e diversi ortaggi (insalate, radicchi, asparagi, piselli, carote, eccetera), con una diffusione altresì di vivai di alberi da frutto e piantine di fragole. Nonostante la delicatezza di queste colture, l’Atc, nei primi cinque anni di vita del piano, ha rimborsato complessivamente meno di 2.000 euro e questo piccolo miracolo è dovuto all’attenta attività di prevenzione messa in atto dai cacciatori, in stretta collaborazione con gli agricoltori, tramite l’impianto di recinzioni e tubi shelter, il tempestivo scaccio con i cani delle lepri dai vivai e la cattura o l’abbattimento delle nutrie.
Eccellenti risultati venatori
Alla gestione del tutto naturale della lepre, priva di qualsiasi tipo di immissione esterna (si è immessa annualmente circa una trentina di animali catturati nelle Zrc), si è gradualmente ispirata anche quella del fagiano, con una progressiva riduzione del numero dei soggetti immessi in estate: 750 nel 2016,
550 nel 2020. Tutti i fagiani man mano introdotti sono stati dotati di anelli; così è stato possibile verificare ogni anno il reale contributo di questo tipo di animali al carniere realizzato. Ebbene, i fagiani di allevamento hanno rappresentato al massimo il 16% degli animali complessivamente abbattuti, essendo il restante 84% costituito invece da fagiani selvatici frutto della riproduzione naturale. D’altro canto, la percentuale dei fagiani allevati abbattuti sul totale dei soggetti immessi si è sempre mantenuta tra un minimo del 10% e un massimo del 20%, ossia il contributo del ripopolamento al carniere dei cacciatori è sempre stato alla prova dei fatti decisamente modesto.
Il carniere medio realizzato ogni anno da ciascun cacciatore si è sempre mantenuto a un livello senz’altro eccellente: in media quasi tre lepri (2,84) e cinque fagiani, senza contare i silvilaghi, peraltro pochi, i germani, i colombacci eccetera. Tutto ciò con un’attività venatoria rivolta alla piccola sel
vaggina stanziale (e qui sta il dato più positivo) svolta con assoluta continuità, dal primo fino all’ultimo giorno di caccia, testimoniata da un numero medio di 11-12 giornate fruite per cacciatore all’anno. Questo risultato venatorio non è certo piovuto come manna dal cielo, ma è il frutto di un’accorta gestione, non solo faunistica ma anche venatoria. I conteggi notturni a febbraio delle lepri e dei fagiani maschi territoriali in aprile-maggio, sia all’interno delle aree protette sia nei territori aperti alla caccia, rappresentano per i cacciatori una prassi ormai consolidata. Censendo circa il 30% dell’intero territorio, la densità media annua delle lepri a fine inverno è risultata di 17 animali per km2 all’interno delle aree protette, mentre quella dei fagiani, sempre in periodo preriproduttivo, è risultata di 22 animali per km2 e nei territori di caccia di 13 lepri e 15 fagiani per km2.
Innovative forme di monitoraggio
Ma la forma di monitoraggio più innovativa adottata nell’Atc Ferrara 5, grazie anche alla sensibilità dimostrata dal suo presidente Cesare Zanoli, è senz’altro quella basata sul conferimento volontario da parte dei cacciatori delle zampe delle lepri e delle ali dei fagiani abbattuti. In questo modo, il tecnico, coadiuvato da cacciatori formati, è in grado di stimare l’età dei soggetti conferiti tramite due sperimentate tecniche: la palpazione del tubercolo di Stroh nelle zampe delle lepri e la valutazione delle remiganti primarie nelle ali dei fagiani. Il rapporto tra giovani nati nell’anno e adulti è infatti di fondamentale importanza per valutare con sufficiente precisione il successo riproduttivo annuale di queste specie e, sulla base di questo decisivo fattore, calcolare il prelievo venatorio sostenibile. Così il rapporto si è mantenuto intorno a 1,5, massimo 2 giovani per lepre adulta e a 3,6 giovani per fagiano priva di anello.
Questo monitoraggio, inoltre, prevedendo anche la consegna volontaria di un campione di uteri delle femmine, ha consentito di constatare la costante assenza di patologie, comprese le aderenze a livello delle tube di Falloppio o salpingi, indizio di passate patologie infettive, viceversa rinvenute con frequenza nelle femmine adulte non riproduttive in altre aree dell’Emilia.
In aggiunta, i cacciatori, essendo
dotati di uno specifico libretto di caccia, alla data del 15 ottobre di ciascun anno compilano una scheda riepilogativa e la riconsegnano all’Atc entro il successivo 20 di ottobre. Queste schede consentono al tecnico di effettuare un’altra forma di monitoraggio (Cpue, Catch per unit effort) attraverso il calcolo della resa media e dello sforzo di caccia per ciascuna giornata, sia per la lepre sia per il fagiano, e tenendo in considerazione i dati pregressi permettono di arrivare a formulare una previsione circa il prelievo complessivo a fine stagione venatoria. A riprova dell’affidabilità di tali previsioni, nel 2020, sulla base di un prelievo di circa 200 lepri registrato alla data del 15 ottobre, è stato ipotizzato un prelievo di 400 lepri; il consuntivo reale è stato a fine stagione di 405 lepri. Allo stesso modo a una stima di prelievo di 650 fagiani, effettuata sempre il 15 ottobre sulla base di 298 abbattimenti, al termine della stagione ha corrisposto l’abbattimento effettivo di 670 fagiani. Questo metodo si è dunque dimostrato affidabile per valutare la sostenibilità del prelievo venatorio solo dopo il primo mese di caccia. Nel caso, infatti, che si dovesse manifestare qualche rischio a metà ottobre, ci sarebbe quindi l’opportunità di poter adottare dei provvedimenti correttivi, così come la riduzione del carniere annuale individuale o una chiusura anticipata della stagione venatoria (ad esempio alla femmina di fagiano), volti a tutelare l’integrità delle popolazioni naturali delle due specie.
Cacciatori encomiabili
D’altra parte i cacciatori dell’Atc Ferrara 5 hanno dato già ampia prova di sensibilità e di disciplina. Si sono autoimposti delle norme comportamentali ben precise, stabilendo, fatta eccezione per le prime due giornate di caccia, dei turni di caccia: due giornate per i cacciatori facenti parte del 1° turno (mercoledì e domenica) e altrettante per i cacciatori del 2° turno (giovedì e sabato), di modo che si è letteralmente dimezzata la pressione venatoria. Inoltre, avendo stabilito il lunedì come ulteriore giornata di silenzio venatorio, le giornate di caccia sono state ridotte a quattro, limitando ancora di più la pressione venatoria. Non solo: essendo l’area percorsa da un intricato reticolo di strade trafficate, al fine di prevenire la possibilità di incidenti, gli stessi cacciatori hanno deciso di non impiegare nella loro attività venatoria i segugi. Non bastasse, essendoci un’apprezzabile differenza nei risultati
venatori tra il 1° e il 2° turno, ossia essendo il 1° turno più proficuo del 2°, la possibilità di scelta è stata subordinata alle prestazioni d’opera volontarie effettuate da ciascun cacciatore nel corso dell’anno.
Alcune criticità
L’attento monitoraggio delle popolazioni di lepre e di fagiano ha consentito di mettere in luce anche alcuni problemi. Ad esempio, per quanto riguarda i fagiani sel
vatici il rapporto maschi-femmine è risultato in media pari a 1,7, cioè fortemente squilibrato a favore dei maschi, mostrando quindi una maggiore vulnerabilità/mortalità delle fagiane. Lo stesso fenomeno è stato osservato anche nella lepre, con un rapporto medio maschifemmine pari a 1,14 (±0,06), meno penalizzante per le femmine.
Il caso minilepre
Molto interessante, infine, è risultata la situazione del silvilago (minilepre), che è presente da oltre vent’anni e oggi ha il suo centro di diffusione nel Parco del Po. La presenza della specie, che non è stata cacciabile fino al 2016, all’inizio era limitata al solo territorio del Comune di Comacchio, ma negli ultimi tempi si sta diffondendo, sia pure solo con qualche esemplare, anche nel territorio del Comune di Lagosanto. Tuttavia, il monitoraggio dei carnieri anche di questo animale alloctono ha reso possibile constatare come la sua consistenza si sia mantenuta estremamente bassa e molto stabile, come dimostrato da una media di soli 0,04 animali abbattuti per giornata di caccia/cacciatore, allorché la stessa media per la lepre è risultata pari a 0,26, quindi assai più elevata ma anch’essa molto stabile nel tempo.
In conclusione, l’impostazione davvero d’avanguardia adottate dall’Atc Ferrara 5 e il prelievo sostenibile di circa 25 animali (piccola selvaggina stanziale in larga parte naturale) per chilometro quadrato dimostrano in modo inoppugnabile come una gestione razionale della piccola selvaggina, perfino nella Pianura padana ferrarese intensamente coltivata, sia ancora possibile e come questa possa dare dei risultati faunistici e venatori di grande soddisfazione.