Tra uomini e animali: le zoonosi emergenti
Grazie al suo rapporto stretto con la natura, il cacciatore osserva i cambiamenti dell’ecosistema da una posizione privilegiata. Attraverso i giusti strumenti culturali può andare oltre l’osservazione e comprendere il saldo legame tra uomo, animale e ambiente, fino a diventarne il portavoce
Per la maggior parte dei proprietari di animali, il veterinario è quel professionista che si dedica alla cura di un animale malato. Certamente lo è, ma è anche molto altro. Tra le attività che ricadono nella sua competenza vi sono, anche il controllo degli alimenti di origine animale (carne, pesce, uova, miele), il controllo della sanità animale e quello della salute pubblica. Ma come? Un medico veterinario che dovrebbe occuparsi della salute degli animali si occupa anche di sanità pubblica? Non c’è motivo di essere perplessi: il veterinario, infatti, ha tra i suoi doveri quello di tutelare la salute umana attraverso la salute degli animali.
Fino al verificarsi della pandemia di covid-19 ci si era più o meno dimenticati delle malattie infettive, incluse quelle che potevano arrivare dagli animali. Le malattie trasmissibili
dagli animali all’uomo, le zoonosi, sebbene siano state rinchiuse in qualche cassetto della memoria, sono numerose, nonché terribilmente attuali. Questo perché uomini e animali vivono l’uno accanto all’altro (pensiamo ai cani e ai gatti nelle nostre case), perché le città sconfinano sempre più nelle campagne, perché la fauna selvatica visita sempre più spesso le nostre città, perché in tempi brevissimi arriva, o si fa arrivare, merce dall’altra parte del mondo e, infine, perché stiamo assistendo a radicali cambiamenti ambientali. Tutti questi accadimenti sono elementi che favoriscono la comparsa e la diffusione di zoonosi.
Fatta questa premessa, diventa più semplice capire come e perché i veterinari che si occupano di sanità abbiano un ruolo di primo piano nel monitoraggio e nella prevenzione: la malattia deve essere individuata e controllata prima che raggiunga l’uomo.
cacciatori e criticità
Ci sono alcune criticità che la medicina veterinaria tiene d’occhio al fine di tutelare la salute dell’uomo. Tra queste abbiamo la prevenzione di malattie professionali di origine animale, l’epidemiologia all’interno delle popolazioni di animali domestici, selvatici e sinantropici, le emergenze sanitarie come conseguenza di disastri naturali o causati dall’uomo, il controllo dell’inquinamento creato dagli allevamenti e dalle lavorazioni dei prodotti di origine animale, gli aspetti sociali dell’animale da compagnia.
Il cacciatore, e credo sia intuibile, si inserisce nel contesto toccando più di una criticità. Anche se per passione e non per lavoro, è a contatto con gli animali selvatici, si muove in territori che possono essere inquinati e, quasi sempre, condivide la sua vita con almeno un animale domestico. È, insomma, sia sentinella sul territorio, sia primo indicatore di un eventuale problema. Pensiamo a quei cacciatori che hanno contratto la tularemia maneggiando una lepre o la trichinellosi mangiando un insaccato di cinghiale oppure, più banalmente, che hanno portato a casa qualche zecca attaccatasi alle gambe.
una sola salute
Le malattie infettive e parassitarie possono essere classificate come endemiche (stabilmente presenti in una popolazione o in un territorio), emergenti (l’agente patogeno è sconosciuto o si manifesta per la prima volta in una popolazione oppure in un territorio) o riemergenti (il patogeno ricompare in una popolazione o in un territorio in cui era stato eradicato). Volendo fare tre esempi, uno per categoria, potremmo parlare di leishmaniosi, di covid-19 e di tubercolosi bovina; Mycobacterium bovis è praticamente scomparso tra gli animali domestici, ma sta ricomparendo tra gli animali selvatici, soprattutto tra i cervidi.
In medicina si parla sempre più spesso di approccio one health: la salute è una e una sola per tutti; ossia la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente sono legate l’una all’altra. In quest’ottica, una modificazione del clima o dell’ecosistema può arrecare danno alla salute dell’uomo e degli animali, e lo stesso può accadere quando compare una malattia all’interno di una popolazione animale. Tutto è legato e in questo fragile gioco di equilibri l’essere umano si colloca sullo stesso piamo in cui si trovano l’ambiente e gli animali. Siamo in tutto e per tutto parte dello stesso gioco senza alcun privilegio. E in questo gioco si inseriscono anche le zoonosi.
un problema con cui dobbiamo confrontarci
Il contatto tra l’uomo e gli animali selvatici si è intensificato e le cose sono destinate a proseguire in questa direzione. Noi che andiamo a caccia siamo abituati a vedere i selvatici da vicino, ma il commercio, legale e non, di animali selvatici vivi è fiorente, il che li porta a stretto contatto con l’uomo. Ma non solo. I cambiamenti ambientali, modificando gli habitat naturali, abbassano la biodiversità e, contemporaneamente, portano in città o in nuovi territori animali che lì non dovrebbero stare. Quando una specie animale non programmata per vivere accanto all’uomo gli si sposta vicino, alcune problematiche si palesano immediatamente (pensiamo agli incidenti d’auto causati dagli ungulati), altre agiscono in maniera più subdola, come accaduto a Wuhan.
Le zoonosi sono patologie indotte da agenti patogeni (virus, batteri, parassiti) che hanno la capacità di modificarsi per adattarsi a un ospite appartenente a una nuova specie (uomo). I patogeni coinvolti nelle zoonosi sono molto versatili, capaci di adattarsi per sopravvivere e per propagarsi. A seguito della pandemia di covid-19 gli studiosi e coloro che si occupano di sanità pubblica hanno acceso i riflettori sulle cosiddette zoonosi emergenti. In medicina veterinaria se ne parla da più di dieci anni, ma questo problema è uscito dalla cerchia degli addetti ai lavori solo di recente. Per zoonosi emergente si intende una zoonosi riconosciuta o che si è evoluta di recente oppure che, sebbene già presente, si è diffusa in maniera rapida e improvvisa. È qualcosa che arriva di sorpresa e che può creare problemi a livello locale o globale come è successo nel 2020.
Alla luce di ciò, non resta che chiedersi se non sia giunto il momen
to di ripensare il rapporto tra l’uomo e l’ecosistema. Poniamo per un attimo le zoonosi emergenti al centro del quadro. Attorno a esse ruotano almeno quattro fattori: i mercati in cui si vendono animali vivi, la caccia, l’allevamento intensivo di animali selvatici (anche a uso venatorio) e l’allevamento intensivo di animali domestici. A questi ingredienti se ne aggiungono altri, ossia le caratteristiche del patogeno, le caratteristiche dell’ospite target, le caratteristiche della popolazione interessata e le caratteristiche dell’ambiente in cui tutto questo accade. Il patogeno, per esempio, può essere più o meno capace di resistere nell’ambiente e ai disinfettanti, alla stessa stregua può essere più o meno veloce a replicarsi e più o meno capace di adattarsi a ospiti di diverse specie. Il singolo ospite, dal canto suo, può essere più o meno ricettivo al patogeno; pensate ad esempio a quelle persone che, pur vivendo accanto a familiari che si sono infettati con il covid-19, non lo hanno mai contratto. La predisposizione di un soggetto ad ammalarsi dipende dallo stato di salute, dal funzionamento del sistema immunitario, dal precedente contatto con un patogeno e da molto altro. A livello di popolazione (umana) invece, dobbiamo prendere in considerazione in primis la densità della stessa, la sua efficienza immunitaria, le sue abitudini (mangiare cibo crudo, andare a caccia, condividere gli spazi con animali) e la sua vicinanza con popolazioni di specie diverse. E statisticamente le zoonosi emergenti tendono a comparire nelle aree più densamente popolate. Si è portati a pensare che le zoonosi siano un problema dei Paesi meno sviluppati o dei Paesi con standard igienici piuttosto bassi, ma non è così. Al contrario, la densità della popolazione, in questo caso umana appunto, appare essere un fattore determinante. Così come la facilità e la rapidità degli spostamenti di persone, animali o alimenti di origine animale, fenomeni che interessano i Paesi ricchi, sono fattori che contribuiscono alla diffusione di eventuali zoonosi.
I salti di specie, ossia la capacità di una malattia di attaccare una specie diversa da quella originaria, sono sempre esistiti; si stima che il 60%
delle malattie infettive che interessano l’uomo sia partito dagli animali. Il problema è che tutti gli elementi che abbiamo preso in esame, uniti ai sempre più drastici cambiamenti dell’ecosistema, amplificano il rischio di zoonosi emergenti. I cambiamenti degli ecosistemi comportano molte conseguenze. Di solito, a proposito di questo tema si pensa subito alla scomparsa della biodiversità all’interno delle grandi riserve naturali o della foresta pluviale, ma ci sofferma poco su quello che accade dietro casa nostra. I cacciatori invece sanno bene che è sparita la starna, che la piccola selvaggina stanziale è in difficoltà e che, in parallelo, si sono diffusi gli ungulati e fauna non autoctona, come ad esempio la nutria o la minilepre. Questa nuova normalità ha un prezzo. Pensiamo ad esempio al connubio ungulato-zecca; in certe zone è garantito trovarsi attaccata una zecca e di conseguenza è possibile contrarre la Malattia di Lyme che è, appunto, una zoonosi. Il cacciatore è sia testimone sia protagonista del mutato ecosistema. Il cambiamento climatico, in parallelo, ha inoltre portato al nord insetti vettori di malattia tipici del sud come il pappatacio, che tramette la leishmaniosi, malattia che può colpire anche l’uomo.
Il temuto spillover: perché avviene
Quando un patogeno riesce a passare da una specie all’altra infettandola, abbiamo un evento che viene chiamato spillover. E ciò che rende la specie umana particolarmente ricettiva a uno spillover è la sua facilità di movimento attraverso territori ed ecosistemi. Quando si va a toccare un ecosistema si porta via qualcosa di lui e magari lo si rilascia altrove. Pensate alle zecche che si spostano insieme al vostro cane dalla riserva di caccia al canile o agli insetti che rimangono intrappolati nella vostra auto fino all’arrivo a casa.
Sia gli animali domestici sia quelli selvatici, possono essere coinvolti nello spillover. Soffermandoci sugli animali selvatici, questi vengono a loro volta suddivisi in animali selvatici che vivono in libertà, nel loro ambiente naturale, animali selvatici di allevamento e animali selvatici peri-domestici, cioè quelli che vivono in prossimità dell’uomo e degli animali domestici. Per riavvicinarci all’attualità e portare un esempio tristemente noto a tutti noi, poniamo l’attenzione sul pipistrello. È un mammifero particolarmente vocato a partecipare a un evento spillover grazie a particolari caratteristiche
fisiologiche e immunitarie che lo rendono il perfetto veicolo per la diffusione dei patogeni, in particolare dei virus; possiamo definirlo una sorta di portatore asintomatico, insomma. Il vero problema però sta nel fatto che i pipistrelli sono ricettivi a migliaia di virus; limitandoci ai coronavirus, nel pipistrello ne sono stati individuati ben 3.796. Di questi quasi 4.000 virus, l’uomo, mediante lo spillover, ne ha incontrati soltanto due, il virus della Sars e il Sars Cov2. Il passaggio è presumibilmente avvenuto in un momento di difficoltà per l’animale; uno stato di stress, infatti, comporta un abbassamento della risposta immunitaria che, a sua volta, causa la riattivazione e il rilascio in ambiente dei virus. E un pipistrello può dirsi stressato se non trova cibo, se ha esperienza di condizioni climatiche avverse, se è stato confinato in una gabbia o se il suo habitat è stato distrutto. Credo si debba riflettere soprattutto sugli ultimi punti: nel primo caso abbiamo un selvatico cui è stata imposta la vita in cattività per lui innaturale, nel secondo un selvatico divenuto estraneo a un habitat radicalmente modificato dall’uomo. L’esempio del pipistrello è drammaticamente attuale, ma il nostro sguardo deve andare oltre. Ciò che è successo potrebbe accadere anche con un’altra specie al centro del processo e anche in questo caso noi uomini avremmo una buona parte di responsabilità. Anche il nostro stile di vita può essere concausa di zoonosi emergenti, non a caso si inizia a parlare di epidemiologia urbana delle zoonosi. Prendiamo nuovamente ad esempio il covid-19. Sappiamo che gli uomini portatori del virus lo eliminano attraverso le feci; questo arriva quindi nelle acque reflue e sopravvive ai trattamenti di depurazione (i trattamenti di depurazione sono mirati all’eliminazione dei batteri). A questo punto il coronavirus ha raggiunto corsi e ristagni d’acqua in cui si abbeverano gli animali (non solo i pipistrelli; ci sono, infatti, diverse specie animali ricettive ai coronavirus). Così la fauna locale può far partire un nuovo evento spillover, ripetendo quello che tutti noi abbiamo drammaticamente ben noto.