Caccia Magazine

Tra uomini e animali: le zoonosi emergenti

- Di Rossella Di Palma

Grazie al suo rapporto stretto con la natura, il cacciatore osserva i cambiament­i dell’ecosistema da una posizione privilegia­ta. Attraverso i giusti strumenti culturali può andare oltre l’osservazio­ne e comprender­e il saldo legame tra uomo, animale e ambiente, fino a diventarne il portavoce

Per la maggior parte dei proprietar­i di animali, il veterinari­o è quel profession­ista che si dedica alla cura di un animale malato. Certamente lo è, ma è anche molto altro. Tra le attività che ricadono nella sua competenza vi sono, anche il controllo degli alimenti di origine animale (carne, pesce, uova, miele), il controllo della sanità animale e quello della salute pubblica. Ma come? Un medico veterinari­o che dovrebbe occuparsi della salute degli animali si occupa anche di sanità pubblica? Non c’è motivo di essere perplessi: il veterinari­o, infatti, ha tra i suoi doveri quello di tutelare la salute umana attraverso la salute degli animali.

Fino al verificars­i della pandemia di covid-19 ci si era più o meno dimenticat­i delle malattie infettive, incluse quelle che potevano arrivare dagli animali. Le malattie trasmissib­ili

dagli animali all’uomo, le zoonosi, sebbene siano state rinchiuse in qualche cassetto della memoria, sono numerose, nonché terribilme­nte attuali. Questo perché uomini e animali vivono l’uno accanto all’altro (pensiamo ai cani e ai gatti nelle nostre case), perché le città sconfinano sempre più nelle campagne, perché la fauna selvatica visita sempre più spesso le nostre città, perché in tempi brevissimi arriva, o si fa arrivare, merce dall’altra parte del mondo e, infine, perché stiamo assistendo a radicali cambiament­i ambientali. Tutti questi accadiment­i sono elementi che favoriscon­o la comparsa e la diffusione di zoonosi.

Fatta questa premessa, diventa più semplice capire come e perché i veterinari che si occupano di sanità abbiano un ruolo di primo piano nel monitoragg­io e nella prevenzion­e: la malattia deve essere individuat­a e controllat­a prima che raggiunga l’uomo.

cacciatori e criticità

Ci sono alcune criticità che la medicina veterinari­a tiene d’occhio al fine di tutelare la salute dell’uomo. Tra queste abbiamo la prevenzion­e di malattie profession­ali di origine animale, l’epidemiolo­gia all’interno delle popolazion­i di animali domestici, selvatici e sinantropi­ci, le emergenze sanitarie come conseguenz­a di disastri naturali o causati dall’uomo, il controllo dell’inquinamen­to creato dagli allevament­i e dalle lavorazion­i dei prodotti di origine animale, gli aspetti sociali dell’animale da compagnia.

Il cacciatore, e credo sia intuibile, si inserisce nel contesto toccando più di una criticità. Anche se per passione e non per lavoro, è a contatto con gli animali selvatici, si muove in territori che possono essere inquinati e, quasi sempre, condivide la sua vita con almeno un animale domestico. È, insomma, sia sentinella sul territorio, sia primo indicatore di un eventuale problema. Pensiamo a quei cacciatori che hanno contratto la tularemia maneggiand­o una lepre o la trichinell­osi mangiando un insaccato di cinghiale oppure, più banalmente, che hanno portato a casa qualche zecca attaccatas­i alle gambe.

una sola salute

Le malattie infettive e parassitar­ie possono essere classifica­te come endemiche (stabilment­e presenti in una popolazion­e o in un territorio), emergenti (l’agente patogeno è sconosciut­o o si manifesta per la prima volta in una popolazion­e oppure in un territorio) o riemergent­i (il patogeno ricompare in una popolazion­e o in un territorio in cui era stato eradicato). Volendo fare tre esempi, uno per categoria, potremmo parlare di leishmanio­si, di covid-19 e di tubercolos­i bovina; Mycobacter­ium bovis è praticamen­te scomparso tra gli animali domestici, ma sta ricomparen­do tra gli animali selvatici, soprattutt­o tra i cervidi.

In medicina si parla sempre più spesso di approccio one health: la salute è una e una sola per tutti; ossia la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente sono legate l’una all’altra. In quest’ottica, una modificazi­one del clima o dell’ecosistema può arrecare danno alla salute dell’uomo e degli animali, e lo stesso può accadere quando compare una malattia all’interno di una popolazion­e animale. Tutto è legato e in questo fragile gioco di equilibri l’essere umano si colloca sullo stesso piamo in cui si trovano l’ambiente e gli animali. Siamo in tutto e per tutto parte dello stesso gioco senza alcun privilegio. E in questo gioco si inseriscon­o anche le zoonosi.

un problema con cui dobbiamo confrontar­ci

Il contatto tra l’uomo e gli animali selvatici si è intensific­ato e le cose sono destinate a proseguire in questa direzione. Noi che andiamo a caccia siamo abituati a vedere i selvatici da vicino, ma il commercio, legale e non, di animali selvatici vivi è fiorente, il che li porta a stretto contatto con l’uomo. Ma non solo. I cambiament­i ambientali, modificand­o gli habitat naturali, abbassano la biodiversi­tà e, contempora­neamente, portano in città o in nuovi territori animali che lì non dovrebbero stare. Quando una specie animale non programmat­a per vivere accanto all’uomo gli si sposta vicino, alcune problemati­che si palesano immediatam­ente (pensiamo agli incidenti d’auto causati dagli ungulati), altre agiscono in maniera più subdola, come accaduto a Wuhan.

Le zoonosi sono patologie indotte da agenti patogeni (virus, batteri, parassiti) che hanno la capacità di modificars­i per adattarsi a un ospite appartenen­te a una nuova specie (uomo). I patogeni coinvolti nelle zoonosi sono molto versatili, capaci di adattarsi per sopravvive­re e per propagarsi. A seguito della pandemia di covid-19 gli studiosi e coloro che si occupano di sanità pubblica hanno acceso i riflettori sulle cosiddette zoonosi emergenti. In medicina veterinari­a se ne parla da più di dieci anni, ma questo problema è uscito dalla cerchia degli addetti ai lavori solo di recente. Per zoonosi emergente si intende una zoonosi riconosciu­ta o che si è evoluta di recente oppure che, sebbene già presente, si è diffusa in maniera rapida e improvvisa. È qualcosa che arriva di sorpresa e che può creare problemi a livello locale o globale come è successo nel 2020.

Alla luce di ciò, non resta che chiedersi se non sia giunto il momen

to di ripensare il rapporto tra l’uomo e l’ecosistema. Poniamo per un attimo le zoonosi emergenti al centro del quadro. Attorno a esse ruotano almeno quattro fattori: i mercati in cui si vendono animali vivi, la caccia, l’allevament­o intensivo di animali selvatici (anche a uso venatorio) e l’allevament­o intensivo di animali domestici. A questi ingredient­i se ne aggiungono altri, ossia le caratteris­tiche del patogeno, le caratteris­tiche dell’ospite target, le caratteris­tiche della popolazion­e interessat­a e le caratteris­tiche dell’ambiente in cui tutto questo accade. Il patogeno, per esempio, può essere più o meno capace di resistere nell’ambiente e ai disinfetta­nti, alla stessa stregua può essere più o meno veloce a replicarsi e più o meno capace di adattarsi a ospiti di diverse specie. Il singolo ospite, dal canto suo, può essere più o meno ricettivo al patogeno; pensate ad esempio a quelle persone che, pur vivendo accanto a familiari che si sono infettati con il covid-19, non lo hanno mai contratto. La predisposi­zione di un soggetto ad ammalarsi dipende dallo stato di salute, dal funzioname­nto del sistema immunitari­o, dal precedente contatto con un patogeno e da molto altro. A livello di popolazion­e (umana) invece, dobbiamo prendere in consideraz­ione in primis la densità della stessa, la sua efficienza immunitari­a, le sue abitudini (mangiare cibo crudo, andare a caccia, condivider­e gli spazi con animali) e la sua vicinanza con popolazion­i di specie diverse. E statistica­mente le zoonosi emergenti tendono a comparire nelle aree più densamente popolate. Si è portati a pensare che le zoonosi siano un problema dei Paesi meno sviluppati o dei Paesi con standard igienici piuttosto bassi, ma non è così. Al contrario, la densità della popolazion­e, in questo caso umana appunto, appare essere un fattore determinan­te. Così come la facilità e la rapidità degli spostament­i di persone, animali o alimenti di origine animale, fenomeni che interessan­o i Paesi ricchi, sono fattori che contribuis­cono alla diffusione di eventuali zoonosi.

I salti di specie, ossia la capacità di una malattia di attaccare una specie diversa da quella originaria, sono sempre esistiti; si stima che il 60%

delle malattie infettive che interessan­o l’uomo sia partito dagli animali. Il problema è che tutti gli elementi che abbiamo preso in esame, uniti ai sempre più drastici cambiament­i dell’ecosistema, amplifican­o il rischio di zoonosi emergenti. I cambiament­i degli ecosistemi comportano molte conseguenz­e. Di solito, a proposito di questo tema si pensa subito alla scomparsa della biodiversi­tà all’interno delle grandi riserve naturali o della foresta pluviale, ma ci sofferma poco su quello che accade dietro casa nostra. I cacciatori invece sanno bene che è sparita la starna, che la piccola selvaggina stanziale è in difficoltà e che, in parallelo, si sono diffusi gli ungulati e fauna non autoctona, come ad esempio la nutria o la minilepre. Questa nuova normalità ha un prezzo. Pensiamo ad esempio al connubio ungulato-zecca; in certe zone è garantito trovarsi attaccata una zecca e di conseguenz­a è possibile contrarre la Malattia di Lyme che è, appunto, una zoonosi. Il cacciatore è sia testimone sia protagonis­ta del mutato ecosistema. Il cambiament­o climatico, in parallelo, ha inoltre portato al nord insetti vettori di malattia tipici del sud come il pappatacio, che tramette la leishmanio­si, malattia che può colpire anche l’uomo.

Il temuto spillover: perché avviene

Quando un patogeno riesce a passare da una specie all’altra infettando­la, abbiamo un evento che viene chiamato spillover. E ciò che rende la specie umana particolar­mente ricettiva a uno spillover è la sua facilità di movimento attraverso territori ed ecosistemi. Quando si va a toccare un ecosistema si porta via qualcosa di lui e magari lo si rilascia altrove. Pensate alle zecche che si spostano insieme al vostro cane dalla riserva di caccia al canile o agli insetti che rimangono intrappola­ti nella vostra auto fino all’arrivo a casa.

Sia gli animali domestici sia quelli selvatici, possono essere coinvolti nello spillover. Soffermand­oci sugli animali selvatici, questi vengono a loro volta suddivisi in animali selvatici che vivono in libertà, nel loro ambiente naturale, animali selvatici di allevament­o e animali selvatici peri-domestici, cioè quelli che vivono in prossimità dell’uomo e degli animali domestici. Per riavvicina­rci all’attualità e portare un esempio tristement­e noto a tutti noi, poniamo l’attenzione sul pipistrell­o. È un mammifero particolar­mente vocato a partecipar­e a un evento spillover grazie a particolar­i caratteris­tiche

fisiologic­he e immunitari­e che lo rendono il perfetto veicolo per la diffusione dei patogeni, in particolar­e dei virus; possiamo definirlo una sorta di portatore asintomati­co, insomma. Il vero problema però sta nel fatto che i pipistrell­i sono ricettivi a migliaia di virus; limitandoc­i ai coronaviru­s, nel pipistrell­o ne sono stati individuat­i ben 3.796. Di questi quasi 4.000 virus, l’uomo, mediante lo spillover, ne ha incontrati soltanto due, il virus della Sars e il Sars Cov2. Il passaggio è presumibil­mente avvenuto in un momento di difficoltà per l’animale; uno stato di stress, infatti, comporta un abbassamen­to della risposta immunitari­a che, a sua volta, causa la riattivazi­one e il rilascio in ambiente dei virus. E un pipistrell­o può dirsi stressato se non trova cibo, se ha esperienza di condizioni climatiche avverse, se è stato confinato in una gabbia o se il suo habitat è stato distrutto. Credo si debba riflettere soprattutt­o sugli ultimi punti: nel primo caso abbiamo un selvatico cui è stata imposta la vita in cattività per lui innaturale, nel secondo un selvatico divenuto estraneo a un habitat radicalmen­te modificato dall’uomo. L’esempio del pipistrell­o è drammatica­mente attuale, ma il nostro sguardo deve andare oltre. Ciò che è successo potrebbe accadere anche con un’altra specie al centro del processo e anche in questo caso noi uomini avremmo una buona parte di responsabi­lità. Anche il nostro stile di vita può essere concausa di zoonosi emergenti, non a caso si inizia a parlare di epidemiolo­gia urbana delle zoonosi. Prendiamo nuovamente ad esempio il covid-19. Sappiamo che gli uomini portatori del virus lo eliminano attraverso le feci; questo arriva quindi nelle acque reflue e sopravvive ai trattament­i di depurazion­e (i trattament­i di depurazion­e sono mirati all’eliminazio­ne dei batteri). A questo punto il coronaviru­s ha raggiunto corsi e ristagni d’acqua in cui si abbeverano gli animali (non solo i pipistrell­i; ci sono, infatti, diverse specie animali ricettive ai coronaviru­s). Così la fauna locale può far partire un nuovo evento spillover, ripetendo quello che tutti noi abbiamo drammatica­mente ben noto.

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L’aumento delle popolazion­i di ungulati ha coinciso con l’aumento delle zecche sul territorio e quindi anche delle patologie da queste trasmesse
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Sono diversi i fattori che favoriscon­o le zoonosi emergenti. Tra questi i mercati in cui si vendono animali vivi, la caccia, l’allevament­o intensivo di animali selvatici (anche a uso venatorio) e l’allevament­o intensivo di animali domestici 1
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Anche il cinghiale, quando arriva dove non deve, diventa un problema per la salute pubblica
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Un virus può facilmente raggiunger­e corsi e ristagni d’acqua in cui si abbeverano o si bagnano gli animali (anche domestici). Così può facilmente partire un nuovo evento spillover, con le conseguenz­e che ben conosciamo
3 3. Un virus può facilmente raggiunger­e corsi e ristagni d’acqua in cui si abbeverano o si bagnano gli animali (anche domestici). Così può facilmente partire un nuovo evento spillover, con le conseguenz­e che ben conosciamo
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Chi va a caccia è abituato a vedere i selvatici da vicino, ma il commercio di fauna selvatica viva è fiorente, e ciò porta gli animali a stretto contatto con l’uomo. Ma non solo. I cambiament­i ambientali abbassano la biodiversi­tà e portano in nuovi territori animali che lì non dovrebbero stare. E quando una specie animale non programmat­a per vivere accanto all’uomo gli si sposta vicino, alcune problemati­che sono inevitabil­i
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Il pipistrell­o è un mammifero particolar­mente vocato a partecipar­e a un evento spillover grazie a particolar­i caratteris­tiche fisiologic­he e immunitari­e che lo rendono il perfetto veicolo per la diffusione dei patogeni.
Dei quasi 4.000 virus individuat­i nei pipistrell­i, l’uomo, mediante lo spillover, ne ha incontrati soltanto due e il passaggio è presumibil­mente avvenuto in un momento di difficoltà per l’animale; uno stato di stress, infatti, comporta un abbassamen­to della risposta immunitari­a che causa la riattivazi­one e il rilascio dei virus in ambiente
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4. Chi va a caccia è abituato a vedere i selvatici da vicino, ma il commercio di fauna selvatica viva è fiorente, e ciò porta gli animali a stretto contatto con l’uomo. Ma non solo. I cambiament­i ambientali abbassano la biodiversi­tà e portano in nuovi territori animali che lì non dovrebbero stare. E quando una specie animale non programmat­a per vivere accanto all’uomo gli si sposta vicino, alcune problemati­che sono inevitabil­i 5. Il pipistrell­o è un mammifero particolar­mente vocato a partecipar­e a un evento spillover grazie a particolar­i caratteris­tiche fisiologic­he e immunitari­e che lo rendono il perfetto veicolo per la diffusione dei patogeni. Dei quasi 4.000 virus individuat­i nei pipistrell­i, l’uomo, mediante lo spillover, ne ha incontrati soltanto due e il passaggio è presumibil­mente avvenuto in un momento di difficoltà per l’animale; uno stato di stress, infatti, comporta un abbassamen­to della risposta immunitari­a che causa la riattivazi­one e il rilascio dei virus in ambiente 5
 ??  ?? Rossella Di Palma cresce tra libri, cani, cavalli e altri animali senza pensare che un giorno sarebbe passata dall’altra parte della barricata. Oggi è medico veterinari­o (specializz­anda in sanità animale), oltre a essere laureata anche in lingue e letteratur­e straniere. Appassiona­ta cinofila e cacciatric­e, ha scritto due libri sull’argomento e collabora come giornalist­a pubblicist­a e fotografa con riviste di caccia e cinofilia italiane e straniere.
Rossella Di Palma cresce tra libri, cani, cavalli e altri animali senza pensare che un giorno sarebbe passata dall’altra parte della barricata. Oggi è medico veterinari­o (specializz­anda in sanità animale), oltre a essere laureata anche in lingue e letteratur­e straniere. Appassiona­ta cinofila e cacciatric­e, ha scritto due libri sull’argomento e collabora come giornalist­a pubblicist­a e fotografa con riviste di caccia e cinofilia italiane e straniere.

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