Le Giubbe Rosse della Ciociaria
Ad Atina, in provincia di Frosinone, 37 anni fa una decina di cacciatori formò la prima squadra di cinghialai. La tenacia, l’impegno, la continua voglia di migliorarsi hanno regalato sempre ottimi risultati e soddisfazioni
L’inizio della storia della squadra del Comune di Atina, nella provincia di Frosinone, risale attorno agli anni Ottanta, quando una decina di cacciatori, uniti dalla stessa passione, decise di formare un gruppo per la caccia al cinghiale.
Atina, terra di mezzo tra Roma e Napoli, situata nel cuore delle Mainarde, gruppo montuoso calcareo dell’Appennino abruzzeselaziale, occupa buona parte di una collina che si sviluppa nella valle del Comino, al margine del complesso montuoso dei Monti Bianchi. La leggenda le attribuisce origini antichissime: sarebbe stata fondata da Saturno nell’età dell’oro, insieme ad altre cinque città del Lazio che cominciano con la lettera A, e fu definita da Cicerone “madre di molti uomini illustri, tanto che nessuna città d’Italia può dirsi più ricca”. Atina ha fatto il suo ingresso tra i borghi più belli d’Italia, data la sua costruzione decisamente particolare: la città antica è completamente arroccata su un colle, in passato inespugnabile, e per questo anche Virgilio soprannominò il borgo Atina potens.
La zona assegnata alla squadra dall’Ambito territoriale di caccia Frosinone 1 è di circa 500 ettari e comprende anche i Comuni di Villa Latina e Belmonte Castello, un suggestivo borgo che sorge su uno spuntone di roccia, dominato dai fitti boschi del monte Cairo. Il territorio, caratterizzato da macchia mediterranea con moltissime tagliate e fittissimi roveti, si trova al confine con il Parco nazionale d’Abruzzo.
una passione per gli ariégeois
In questo viaggio siamo accompagnati da Federico Pallisco, un ragazzo di 34 anni che ha messo tutta la sua passione nell’allevare ariégeois. Fin da piccolo ha seguito suo nonno Pietro e suo papà Paolo, esperti canai, nelle loro avventure con le squadre di cinghialai, cercando di apprendere tutte le tecniche necessarie. Il suo amore verso questo segugio francese è nato quando un amico del padre gli ha regalato il primo cane per consolarlo della perdita del nonno. Da lì è cominciato il suo percorso allevatoriale; ha cominciato a selezionare i suoi segugi arrivando ad averne in canile fino a 31 tutti insieme, e nel corso degli ultimi anni tutti i suoi sforzi sono stati premiati. Federico ha partecipato ai campionati italiani di categoria B e successivamente A, organizzati dalla Federazione italiana disciplina armi sportive da caccia e dall’Ente nazionale cinofilia italiana, ottenendo ottimi risultati; negli ultimi quattro anni è sempre stato finalista, fino a quando, quest’anno, è stato proclamato campione italiano Fidasc per prova di lavoro su cinghiale, vincendo anche il campionato italiano per le razze francesi. «Non finirò mai di ringraziare mio nonno e mio padre» afferma Federico emozionato. «Sono cresciuto con i segugi italiani rossi a pelo forte che mio papà adoperava nella sua squadra, grandi cani instancabili che cacciavano e inseguivano i cinghiali da mattina a sera. Ho avuto la fortuna di entrare nel 2008 nella squadra Giubbe Rosse, una delle prime nate in provincia di Frosinone, e di conoscere Gerardo Di Muccio, che mi ha raccontato la loro storia e lo svolgersi degli eventi. La squadra è nata intorno agli anni Ottanta da un gruppo di amici cacciatori, uniti dalla stessa passione per la caccia al cinghiale. Umberto Iannetta e Domenico Viti sono stati gli artefici della sua nascita e i primi a guidarla, attribuendole il nome dei mitici soldati britannici, perché un signore americano rifornì la squadra di gilet ad alta visibilità, onde evitare incidenti, precorrendo i tempi dell’obbligatorietà di questi dispositivi di sicurezza. Durante una battuta, alcuni cacciatori, vedendo che li indossavamo, hanno iniziato a gridare “ecco le giubbe rosse”, e da lì ha origine il nostro nome».
L'anima della squadra
La prerogativa del successo della squadra dei tre Comuni del Frusinate è sempre stata avere buonissimi cani e ottimi canai; fin da quando da Cassino sono arrivati i tre fratelli Grilli con i griffon bleu de Gascogne, Franco Pacitti con gli ariégeois, Antonio Evangelista
con i segugi maremmani e Crescenzo D’Agostino con i vandeani, che si sono uniti alle mute di Domenico e Paolo Di Duca.
«Ma le dinamiche interne a una squadra di cinghialai non sempre accontentano tutti» continua a raccontare Federico. «Allora, infatti, alcuni membri del gruppo manifestavano un certo malcontento per la gestione e per le decisioni che venivano adottate. Tra queste, per esempio, non era accettata da tutti la regola secondo la quale ai canai doveva essere riconosciuto un rimborso spese e il 10% in più sulla parte di carne che veniva distribuita. Tra i malumori generali, nel contempo si andava affermando la figura di Gerardo, un canaio che conduceva gli ausiliari di Umberto. La svolta avvenne la vigilia di Natale, quando quest’ultimo non volle fare la battuta e chiuse con un lucchetto i suoi cani nel recinto, adducendo come motivazione il fatto che nessuno l’avrebbe poi aiutato a recuperarli visto il giorno di festa. A quel punto Gerardo si rifiutò di andare avanti a fare il canaio e prese in mano la squadra, appoggiato da tutti i cacciatori. La sua storia ha accompagnato e continua ancora oggi a seguire le Giubbe Rosse, perché Gerardo è l’anima della squadra: dipendiamo da lui perché è un grandissimo cacciatore, con esperienza da vendere, ottimo conoscitore del territorio e dei cinghiali. Se vede una pista sa dire se si tratta di un maschio o di una femmina e addi
rittura il loro peso, arriva a scovare i cinghiali dove nemmeno i cani potrebbero addentrarsi, perché notte e giorno vive sulle montagne. Non lo ferma nessuno. Già dai primi anni di vita della squadra, durante i tre mesi di caccia, Gerardo lavorava solo il martedì e il venerdì; gli altri giorni andava a tracciare all’alba. E per questa sua passione irrefrenabile, che gli faceva perdere la strada di casa, è stato soprannominato “lo sbandato”.
Il 1° novembre 1984, il suo primo giorno di caccia, riuscì ad abbattere tre cinghiali (in quell’anno in totale furono 18: un bel numero per quei tempi). Ai tempi non c’era niente, né cellulari, né radioline, né collari per i cani (si chiamavano a voce); all’alba si scioglievano i cani e le poste sapevano già dove mettersi. Lo stesso Gerardo mi ha raccontato di essersi perso tra i boschi a causa della fitta nebbia. Solo il rumore del brecciolino sotto le ruote di una macchina lo aiutò a riconoscere la strada e a tornare al punto di ritrovo».
Pochi ma buoni
Gerardo Di Muccio non ha mai voluto essere nominato capocaccia. Nel corso degli anni ha lasciato l’incombenza a Franco Pacitti, Federico Mancini e ora a Mirko Iannetta, un ragazzo molto giovane che ha subìto il fascino di questa pratica venatoria; ha iniziato quasi per gioco, ma ora questa passione gli fa vivere giornate memorabili scovando i cinghiali con la sua muta mista. Le Giubbe Rosse è una squadra forte, che vanta bravissimi tiratori e ottimi canai dotati di grande esperienza, capaci di trasmettere il loro sapere ai più giovani vogliosi di crescere e imparare. I componenti della squadra sono una trentina, di cui sette canai (Riccardo Pesce, Mirko Iannetta, Massimiliano Grilli, Paolo e Federico Pallisco, Davide e Paolo Di Duca). Il più anziano è Gino Franchi, classe 1951, il più giovane, Giuseppematteo Grilli, classe 1998. «Siamo pochi ma buoni, la nostra amicizia e l’unione sono alla base di tutto, ed è per questo che riusciamo sempre a ottenere ottimi numeri negli abbattimenti. Ogni canaio ha la propria muta che alleva e gestisce da solo per tutto l’anno, senza alcun contributo della squadra, la quale provvede alle spese veterinarie solo in caso di ferimento dei cani durante le battute di caccia» continua il suo racconto il neocampione Fidasc. «Soprattutto è fondamentale l’affiatamento tra noi canai, la predisposizione ad aiutarci nelle situazioni di pericolo e di difficoltà. Non dobbiamo essere in concorrenza, ma cercare di offrirci agli altri quando siamo richiesti. Essendo vicini al Parco nazionale d’Abruzzo, abbiamo una presenza numerosa anche di caprioli e di lupi, che rende ancora più difficile la caccia al cinghiale.
I cani devono imparare prima di tutto a rispettare il capriolo e a essere prudenti con i cinghiali che, tormentati dai lupi, sono sempre più aggressivi, e il tutto ci rende la battuta molto impegnativa e difficile. Ci dice sempre Gerardo: “Ricordatevi quando non avevamo niente per localizzare gli ausiliari e metterci in contatto tra postaioli e canai. Eppure ce la siamo sempre cavata egregiamente e abbiamo ottenuto ottime soddisfazioni”. Ora siamo dei privilegiati a poter usufruire di tutte le tecnologie, che ci rendono la vita più agevole».
Imperativo sicurezza
La mattina di ogni giorno di caccia, dopo il rientro dei tracciatori il caposquadra e Gerardo decidono in quale zona si farà la battuta, dopo aver dispensato, prioritariamente, consigli e avvertenze sulla sicurezza (indossare il gilet ad alta visibilità, sparare solo quando si è sicuri del bersaglio, non lasciare mai la posta, immobilità e silenzio; per il resto valgono l’esperienza e il buonsenso).
«Nonostante la mia età ancora giovane» prosegue Federico «ho tanti bei ricordi, perché con queste persone ho iniziato a maturare la mia esperienza come canaio. Mi sono innamorato degli ariégeois perché sono rimasto colpito dalla loro eleganza, dal loro modo di cacciare in muta, dal collegamento che li lega al conduttore e dalle loro grandi qualità di naso e di gola; quando scovano il cinghiale, la loro voce, insieme a quella degli altri cani, rimbomba per tutta la valle. E allora la soddisfazione che proviamo nel vedere lavorare i nostri cani ci ripaga di tutti i sacrifici fatti nel corso degli anni e riusciamo a superare ogni ostacolo perché abbiamo un sorriso nel cuore, una grande passione che ci fa andare avanti».
Confronto e convivialità
La casa di caccia delle Giubbe Rosse è ubicata presso il bar Osteria da Rosalba, la moglie di Gerardo, nella frazione Capodichino ad Atina; è il punto di ritrovo per tutti i cacciatori sia nei giorni dedicati all’attività venatoria, sia in quelli in cui l’attività principale è il racconto, il confronto e la convivialità. Lì vicino la squadra ha allestito anche il mattatoio. «E sai chi si occupa di tutto, della pulizia dei locali e del loro ordine?» mi chiede Federico. «Gerardo, l’anima di questa squadra: è lui che quando la caccia è chiusa organizza giornate di semina, pulizia dei sentieri, pranzi, occasioni per sentirci uniti e programmare la stagione successiva. Quest’anno siamo stati molto in pena per lui perché è stato colpito dal covid-19, così come molti altri cacciatori; tanto è vero che abbiamo dovuto saltare alcuni giorni di caccia perché eravamo impossibilitati a raggiungere il numero consentito. Poi tutto è andato per il meglio e non vediamo l’ora di riprendere il cammino dove l’avevamo interrotto a causa della pandemia».