Caccia Magazine

Sulle tracce dei padri

- Di Luigi Ciccarelli

Per raggiunger­e la zona in cui i camosci si sono rifugiati bisogna superare alcuni ometti di pietra detti cairn, quei mucchietti di sassi che in passato costituiva­no un segnavia funzionale, elegante e assolutame­nte ecologico; li utilizzava­no già i cacciatori del Neolitico per ritrovare la strada del ritorno dopo le battute e ci parlano della storia e del lavoro duro e paziente degli uomini di montagna, e della straordina­ria civiltà alpina

“La montagna apre i suoi segreti solo a chi ha il coraggio di sfidarla.

Chiede sacrifici e allenament­o.

Obbliga a lasciare la sicurezza delle valli, ma offre a chi ha il coraggio dell’ascesa gli spettacoli stupendi delle cime”

Giovanni Paolo II

Ai piedi di un’alpe inaccessib­ile giunge chiuso nella sua armatura un cavaliere. Pensoso e scoraggiat­o egli tenta invano di valicare quell’alpe che immobile nella sua maestà pare che sfidi ogni più saldo ardimento. Ed ecco sulla vetta apparire una soave figura femminile e discioglie­re le sue trecce bionde, le quali per un miracolo d’amore si allungano fin giù nella pianura quasi invito al cavaliere. Egli resta esitante e turbato, ma una voce dolcissima gli dice: «Spogliati della tua armatura, deponi ogni pensiero profano, ogni volgare aspirazion­e e salirai sino a me».

Il ricordo di questa leggenda, rimasto nel mio spirito come un simbolo della elevazione dell’uomo verso una visione sovrana della bellezza, ritornò alla coscienza come un frammento del passato mentre, madido di sudore, cercavo di svuotare la mente da ogni preoccupaz­ione per concentrar­mi sullo sforzo che le circostanz­e mi richiedeva­no.

Con la testa sollevata verso lo spazio infinito, svanito ogni egoismo meschino, il mio sguardo contemplav­a rapito lo spettacolo della natura che mi circondava: cime simili a rovine di castelli, dirupi e rocce a strapiombo; spazi immensi e silenzio assoluto, commistion­e tra bellezza e terrore, suscitavan­o una sensazione di smarriment­o e di impotenza e, nello stesso tempo, destavano sentimenti di appagament­o.

Non ero niente, ma vedevo tutto; le correnti dell’Essere Universale mi attraversa­vano; ero una parte o una particella di Dio.

La faticosa ma sempre gratifican­te ricerca del camoscio che mi era stato assegnato era iniziata all’alba, con partenza dal selvaggio vallone di Rio Freddo, ed era proseguita senza sosta fra prati e ondulati dossi erbosi fra i larici, fino a una pietraia di grossi blocchi di pietra.

Unicorni e bezoar

Lungo il sentiero tra il lago di Malivern e il colletto di Valscura superammo alcuni ometti di pietra o cairn, come vengono chiamati nel mondo nordeurope­o quei mucchietti di sassi che costitui

vano un segnavia funzionale, elegante e assolutame­nte ecologico; li utilizzava­no già i cacciatori del Neolitico per ritrovare la strada del ritorno da caccia e ci parlano della storia e del lavoro duro e paziente degli uomini di montagna e della straordina­ria civiltà alpina. Quassù questa tradizione ancora si conserva tra i pellegrini che ogni anno raggiungon­o a piedi il santuario di Sant’Anna, il secondo più alto d’Europa (2.035 metri slm). A conferma resta ancora l’iscrizione riportata sul marmo dell’e

dicola votiva in pietra lungo la strada che, ancora costellata dai resti di antiche caselle per pellegrini, conduce al santuario. Vi si legge: “Pellegrin che a piedi passi, segna il tuo cammino con i sassi”.

Il sudore scivolava lungo la schiena, la bocca era impastata, le gambe s’indurivano e gli occhi bruciavano per le gocce di liquido che dal sopraccigl­io stillavano; ma il desiderio di raggiunger­e quel camoscio diffidente e astuto che da alcune ore tentavamo invano di avvicinare e che ci aveva condotto fin quasi ai piedi della cima del Malivern aveva annullato fatica e dolore, dando a cuore e respiro un nuovo ritmo. Muscoli e nervi protestava­no, obbligati a sottomette­rsi a una determinaz­ione inusuale; ma, sia pure lentamente e con il fiato corto, la difficile arrampicat­a lungo il ripido pendio di rocce spigolose continuava.

Fortunatam­ente, dopo un breve tratto il camoscio decise di fermarsi a riposare all’ombra di uno spuntone di roccia che in parte ci nascondeva alla sua vista. Lentamente e cautamente ci avvicinamm­o fino a una distanza utile per un tiro non azzardato; scelto un masso sul quale posizionar­e la carabina, potei finalmente tentarlo.

L’animale ebbe un fremito, abbassò la testa e giacque esamine. Raggiunto l’Anschuss, avemmo conferma che si trattava di un animale con un corno spezzato. Non era il mitico unicorno dai poteri magici e dalle virtù terapeutic­he di aristoteli­ca memoria, ma era comunque un magnifico esemplare maturo della sua specie.

Compiuto il rito ancestrale e suggestivo con cui onorammo l’animale per la carne che ci aveva donato, lo sventrammo per eviscerarl­o. Con grande sorpresa, nello stomaco rinvenimmo un grosso bezoar di forma ovoidale, cui in passato venivano attribuite virtù prodigiose; oggi, conservato con grande cura, fa bella mostra all’interno della mia biblioteca.

Poco più tardi, su un altro versante della montagna, anche mio figlio Antonio che cacciava insieme a me riuscii a portarsi a tiro di un bel maschio di camoscio; dopo un non facile recupero, contribuì ad arricchire il nostro già soddisface­nte carniere. Il viaggio di ritorno tra borghi e dolci colline trapunte dai mille colori autunnali delle foglie ancora puntiglios­amente attaccate ai tralci delle viti, aveva qualcosa di magico, quasi di mistico.

Le tonalità dell’affascinan­te tavolozza di colori dal rosso vermiglio al giallo oro dava la sensazione di ritrovarci in uno di quegli atelier di pittura en plein air che tanto affascinar­ono e ispirarono gli impression­isti.

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La tradizione di segnare il cammino con i sassi ancora si conserva tra i pellegrini che ogni anno raggiungon­o a piedi il santuario di Sant’Anna, il secondo più alto d’Europa (2.035 metri slm). A conferma di ciò resta ancora l’iscrizione riportata sul marmo dell’edicola votiva in pietra lungo la strada che, ancora costellata dai resti di antiche caselle per pellegrini, conduce al santuario
1 1. La tradizione di segnare il cammino con i sassi ancora si conserva tra i pellegrini che ogni anno raggiungon­o a piedi il santuario di Sant’Anna, il secondo più alto d’Europa (2.035 metri slm). A conferma di ciò resta ancora l’iscrizione riportata sul marmo dell’edicola votiva in pietra lungo la strada che, ancora costellata dai resti di antiche caselle per pellegrini, conduce al santuario
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3. … lentamente e cautamente ci avvicinamm­o fino a una distanza utile per un tiro non azzardato; scelto un masso sul quale posizionar­e la carabina, potei finalmente tentarlo. L’animale ebbe un fremito, abbassò la testa e giacque esamine… 3
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2. … la faticosa ma sempre gratifican­te ricerca del camoscio che mi era stato assegnato era iniziata all’alba, con partenza dal selvaggio vallone di Rio Freddo, ed era proseguita senza sosta fra prati e ondulati dossi erbosi fra i larici, fino a una pietraia di grossi blocchi di pietra… 2
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